C’è un altro modo, oggi, di essere cattivi.
Lo spunto per una doverosa riflessione ci giunge da Parma, dove un giovanotto
di 33 anni non ha gradito le rimostranze di un uomo che avrebbe potuto
essere suo padre, un uomo che di anni ne ha 68.
Non importerebbe quello che è successo sulla strada, ma è
bene raccontare lo stesso. Il giovane destinato a divenire carnefice
guidava troppo veloce, e ha fatto arrabbiare un anziano destinato a
diventare vittima, che faceva quello che i nonni hanno sempre fatto:
badava ai nipotini.
Pochi secondi sono bastati al giovane uomo destinato a diventare carnefice
per sragionare su quel gesto con la mano, un apostrofo giudicato troppo
offensivo e per di più osato da un anziano.
Un secondo per inchiodare le ruote e ingranare quel po’ di retromarcia
necessaria a tornare indietro, un rewind che normalmente avrebbe messo
sale in zucca, e che invece quella zucca l’ha svuotata, riempiendola
di ormoni che ancora sopivano.
Un istante e diviene vivo il dramma plurimo di due uomini. Il carnefice
si chiama Benedetto, la vittima Nicolino. Quel "cos’è che
hai detto?" è uscito dalla bocca del giovane senza pretesa
di risposta o chiarimento alcuno, e il pugno del carnefice è
finito tremendo sul viso della vittima, stramazzata a terra esanime,
sotto gli occhi dei due nipotini atterriti.
Mentre scriviamo queste righe, Nicolino è attaccato ad una macchina
al Maggiore, la testa aperta in sala operatoria da un équipe
di specialisti che hanno rimosso un ematoma enorme.
La notizia, per la verità, non è rimbalzata più
di tanto. Cos’è , in fondo, un pugno? Cos’è un’aggressione,
un coma, quando viene originato in strada per "motivi di viabilità"?
A noi, invece, sembra di essere davanti ad un infinito ripetersi di
gesti e routine di ordinaria follia stradale. Gesti di una crudeltà
tale da svuotare l’individuo di ogni sovrastruttura fino a farlo regredire
ad un primitivo stato emozionale in cui si dibattono esclusivamente
bisogni primari e disperazione: uno stato d’animo che odora di bestialità,
che nel bisogno di appagamento che il carnefice trae dall’essere lui
il protagonista assoluto, già instabile e umorale, lo conduce
inesorabilmente verso un abisso fatto di velocità e vessazioni.
Per non incappare in situazioni come queste, a noi sembra, serve parecchia
fortuna. Non solo nei pugni di carnefice irretito da una rimostranza
(non importa se legittima), ma anche nella rotta di un ubriaco contromano,
di un serial killer del volante, di un sasso dal cavalcavia.
Più genericamente, dalla ordinaria follia stradale che oggi viviamo,
condita anche da tanta violenza.
Tutto in una strada in cui le regole sembrano dettarle i cattivi. Sì,
perché la strada è davvero dei cattivi, anche se nessuno
lo vuole ammettere, anche se spesso non ce ne accorgiamo.
Nessuno può dire dove si trovino ma li sentiamo ovunque, e ne
avvertiamo, una perfida vicinanza. Magari dietro l’angolo che stiamo
per svoltare o nella medievale ansia che ci pervade per la paura, quando
guidiamo, di non tornare a casa.
Pare quasi, allora, che la strada si sia finalmente mostrata quale veramente
è: un inferno, un girone dantesco, o nella migliore delle ipotesi
una Corte dei Miracoli, proprio come Victor Hugo aveva immaginato nella
notte parigina, dove i malvagi si riunivano prima di lasciarsi andare
alle loro scorrerie, un "magico cerchio dove gli sbirri che vi
si avventuravano scomparivano ridotti in briciole".
Speriamo almeno che la triste vicenda di Benedetto il carnefice e di
Nicolino la vittima serva a farci riflettere.
Speriamo che i tanti carnefici e vittime che sono in noi comprendano
che se stavolta abbiamo avuto la fortuna di non esserci, dietro l’angolo
– nella notte della strada – la nostra esistenza potrebbe
essere stravolta in un batter d’occhio, soltanto per essere al posto
sbagliato nel momento sbagliato.
*Sovrintendente
Polizia Stradale