Sicurezza stradale anno 1961
Il problema veniva affrontato e spiegato con servizi dalle immagini molto più forti di quelle attuali: l’informazione per la soluzione di un problema che iniziava a crescere muovendo i primi passi
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(ASAPS) Frugando negli archivi dei filmati Rai passati anni addietro nelle nostre televisioni, o in quelle dei genitori, si ritrovano situazioni particolari e stimoli per notare il grande cambiamento subito dalla nostra Italia nel giro di pochi anni.
I famosi “cinegiornali” antesignani degli speciali delle testate giornalistiche odierne, affrontavano il problema del traffico e della incidentalità in maniera sostenuta e forte, non risparmiando immagini di morti e macchine accartocciate sicuri che saggiare le conseguenze di certi atteggiamenti alla guida potesse accendere una maggiore responsabilità nei pochi automobilisti di allora.
Se, infatti, nel 1961 Arnoldo Foà con la sua voce autoritaria ammoniva e chiedeva maggior rispetto delle regole e moderazione di velocità nella guida all’interno di in un neonato Raccordo Anulare che sopportava il traffico di una normale circonvallazione odierna, va detto che allora, a fronte di un numero inferiore del parco veicoli (7.068.817 mezzi di cui 2.449.123 auto) si contarono 306.889 incidenti che causarono ben 8.987 morti (più del doppio del 2011) e 218.945 feriti.
Quindi il problema, se vogliamo, era maggiore e doveva essere affrontato in maniera importante e seria.
Nel filmato si vedono scene di traffico che al giorno d’oggi non impaurirebbero neppure un diciottenne al primo giorno di foglio rosa. Eppure complice un codice della strada giovane, veicoli meno sicuri e con dispositivi di sicurezza praticamente assenti e l’euforia degli anni sessanta, sulle strade rimanevano vittime centinaia di persone a seguito di paurosi incidenti già allora rilevati dalle pattuglie della Stradale che cominciavano, in questo modo, il lungo e impegnativo lavoro che li vede tuttora impegnati, con Carabinieri e Polizie Locali, sui chilometri d’asfalto aumentati in maniera impressionante.
Nel breve filmato si fa riferimento a titoli di giornali che quotidianamente riportano notizie di incidenti stradali e di morti, si racconta come ognuno pensi di essere infallibile alla guida e, soprattutto, si richiama alla necessità o meno di mostrare immagini crude per sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema dell’incidentalità.
Allora i funzionari Rai responsabili della comunicazione non ebbero dubbi e mostrarono quanto i loro archivi potevano proporre, senza indugio, e dire che il palinsesto della giovane Rai non proponeva film dalle scene raccapriccianti o servizi con ricostruzioni di efferati omicidi. La nazione era abituata a guardare la televisione in maniera rilassata, infatti ai primi tre posti per gradimento c’erano trasmissioni come Campanile Sera, L’amico del giaguaro e Studio Uno.
Eppure allora pensarono bene di sensibilizzare l’opinione pubblica senza porsi troppi scrupoli perché avevano già idea che la problematica potesse esplodere nel giro di pochi anni assumendo proporzioni impressionanti.
Così è stato, tanto si è fatto che il numero di incidenti e morti dopo una ulteriore espansione sì è proporzionalmente ridotto.
A fronte dei tanti sforzi, delle parole, dei fiumi d’inchiostro e delle iniziative di persone e Associazioni a favore della sicurezza stradale, è rimasta però la paura di urtare la suscettibilità delle persone informandole anche attraverso la visione di immagini forti e crude.
E anche grazie a queste campagne che l’Europa, e con lei l’Italia, si è prefissata e viaggia verso l’obiettivo di dimezzare il numero delle vittime della strada dal 2010 al 2020. Per riuscirci, però, non bisogna nascondersi dietro a un dito e non guardare per non sapere.
L’informazione, in questo caso, è il volano principale, anche a costo di dover soffrire alla vista di lamiere accartocciate o di lenzuoli bianchi stesi sull’asfalto. (ASAPS)
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