DEI DELITTI E DELLE PENE: RIFLESSIONI PER UNA SOCIETÀ PIÙ SICURA, ALMENO SULLA STRADA. di Lorenzo Borselli * | |
Fare di un uomo un criminale è la peggiore condanna che questi può avere dalla società. È, del resto, il fondamento del diritto penale, così come lo avevano concepito i nostri antenati latini con lo Ius e ancor prima nell’antico Egitto, quando la legge era Maat, la Regola. Si puniva un uomo, e lo si rendeva criminale, perché aveva rubato, violentato o ucciso. All’epoca però i pirati erano di altra levatura. Arrivavano nel cuore della notte, strisciavano nelle viuzze delle cittadelle costiere e depredavano, stupravano e uccidevano. Oggi i pirati arrivano al volante: non li senti nemmeno, da quanto sono veloci. Occhi arrossati, movimenti rallentati, riflessi inesistenti. Fai appena in tempo a capire che è troppo tardi e solo se sei fortunato puoi riaprire gli occhi, ma non vedi più niente allo stesso modo. Vivi come la gente del mercato di Sarajevo, con lo sguardo atterrito sui tetti lontani o sulle finestre socchiuse, tutti potenziali bersagli della canna di un cecchino là appostato, che spara a vanvera. Quell’arma – ogni giorno di più – ce l’abbiamo tutti puntata addosso. Perché è proprio vero che i comportamenti alla guida possono essere criminali, alla stregua di quelli di un rapinatore che irrompe armato in una banca o che sequestra un suo simile per ottenere in cambio soldi e agiatezze che non gli sarebbero altrimenti riservate. In Italia, dove l’ingiusto profitto è sulla carta severamente punito, abbiamo però tutti capito che così non va. I reati sono sempre troppi e i detenuti anche, nonostante gli indultini. Ma che cos’è che non funziona? Ce lo chiediamo all’indomani dell’ultimo scontro assassino, quello di Reggio Emilia, dove un uomo ubriaco e drogato di 34 anni, habitué della recidiva al volante, ha violato la Regola per la quinta volta. In altre quattro occasioni la società gli ha concesso di riprovarci. Per una legge troppo leggera (non vogliamo dire garantista in assoluto) l’uomo è stato fermato e denunciato 4 volte per lo stesso motivo. Se pensiamo a quante volte siamo stati fermati negli ultimi tempi (mai), abbiamo davvero la misura della verità: il serial killer del volante viveva così, sempre ubriaco e drogato, ed ogni giorno è stato una minaccia per tutti noi. Eppure la società avrebbe dovuto essere al sicuro dalla prima volta in cui è stato fermato: nonostante ciò ha perseverato, ha reiterato la sua condotta e puntualmente le sue violazioni sono state segnalate all’Autorità Amministrativa – il Prefetto – ed a quella Giudiziaria – il Giudice – che hanno sospeso la patente e condotto l’azione penale. D’altra parte è stato proprio sotto la pressante necessità di giustizia e riparo che gli uomini, nel corso della storia, si sono inventati i codici penali: per dissuadere il suo simile dall’intraprendere azioni ingiuste e per punire severamente – ed esemplarmente – chi le aveva nonostante ciò intraprese. Un castigo, una punizione, a volte per restituire al reo la violenza che ha esercitato, altre volte, soprattutto nella modernità, per correggerne i comportamenti. Esattamente come una sculacciata. Ma oggi ci chiediamo: siamo nel giusto? È questa la giusta misura? Perché francamente ci sembra che qualcosa non vada come dovrebbe e quel che più ci preoccupa è che tutto passa in silenzio. Ci chiediamo se le sanzioni penali o quelle amministrative possano ancora bastare per prevenire questi atti criminali della circolazione stradale. Per una volta siamo smarriti e sorpresi dai silenzi dei media, dei politici o delle altre associazioni che tante altre volte, ma non per quelle due ragazzine rimaste esanimi sulla tangenziale di Reggio Emilia, si sono schierate urlanti per difendere i diritti di una collettività. Il loro silenzio è un’occasione mancata, che contribuisce a lasciarci tutti nel mirino casuale ed assassino dei moderni sniper della strada. Credevamo che le sanzioni penali potessero costituire il mezzo più efficace per la nostra sopravvivenza, ma evidentemente ci siamo sbagliati. Il codice della strada italiano prevede sanzioni amministrative per quasi tutte le sue fattispecie di violazione, ad eccezione della guida in stato di ebbrezza, uno dei reati più diffusi nel nostro stato ed una delle violazioni più gravi al CDS. Chi alza il gomito o chi si droga subisce l’immediato ritiro della patente, che viene sospesa dal Prefetto, mentre il Giudice sottopone il trasgressore all’azione penale, perché quella condotta ha provocato un serio pregiudizio alla sicurezza pubblica, che si conclude sempre più spesso, ma dopo un certo periodo di tempo, con i pagamento di un’ammenda nemmeno troppo salata. Proprio questa procedura, attualmente in vigore, ci consente di vedere, e comprendere, la differenza: un atto amministrativo, la sospensione della patente, assicura un intervento rapido e categorico, che esercitato con lo scopo di proteggere la comunità dalla condotta del trasgressore, coglie nel segno. In prospettiva, invece, l’azione penale è più complessa, e finisce che se da una parte la norma amministrativa consente all’operatore di agire e basta, dall’altra il Giudice spesso si trova nell’impossibilità di pronunciarsi in tempi stretti, o di giungere alla condanna, come è capitato assai spesso. Allora, ci chiediamo, il problema potrebbe essere questo: abbiamo lo strumento per togliere i cecchini dai tetti, ma non lo sappiamo usare? Perché restituire quelle patenti a componenti della società che non sanno adattare le proprie rispettive condotte a quelle della collettività? Basta con le domande retoriche e proviamo a fare un ragionamento. Con quale tipo di sanzioni possiamo prevenire i comportamenti a rischio? Nel numero di maggio dell’American Journal of Public Healt, la rivista dei procuratori a stelle e strisce, sono state gettate lunghe ombre sull’ipotesi che le sanzioni penali possano costituire nei fatti un mezzo di dissuasione efficace. A suffragio della tesi, che per essere esposta negli Usa richiede tanto coraggio, sono stati portati a confronto i dati del consumo di sostanza stupefacente nella superproibizionista San Francisco e nella fin troppo libertina Amsterdam: il tasso di consumo resta lo stesso. Ci viene da pensare, allora, che un ruolo determinante lo deve giocare la società, educando e facendo crescere le nuove generazioni con nuove e condivise consapevolezze. Gli stessi ricercatori hanno poi dimostrato che le persone trasgrediscono meno quando sanno che saranno senz’altro scoperte, mentre le pene che hanno mostrato effetti preventivi non sono molte, anche perché spesso restano inapplicate o inopportune. Spesso infatti ci imbattiamo in applicazioni di condanne a decenni dalla consumazione del reato. Meglio sarebbe, invece, agire sul controllo visibile, sulla presenza vera sulla strada: magari a vedere più divise sull’asfalto avremmo effetti maggiormente positivi rispetto a pene cantate come severe ma applicate solo sulla carta o in ritardo. Infatti non è solo la severità della pena che dissuade la gente dall’assumere certi atteggiamenti, ma la certezza di essere puniti e di doverne pagare le conseguenze. Lo spauracchio della patente a punti aveva avuto un grande effetto, che però è già finito perché di fatto nulla è cambiato, a parte quei pochi pizzicati dall’autovelox o etilometri, o proprio i più sfortunati che hanno visto una paletta alzarsi davanti a sé. In Inghilterra metà della popolazione carceraria è dentro per reati connessi alla circolazione, ma noi un clima da terrore parigino, da restaurazione non lo vogliamo. Nel nostro ragionamento ci permettiamo una valutazione: qualche pena condizionale, ci piacerebbe vederla applicata. Magari come misura di sicurezza o di prevenzione, che viene spesso applicata ai delinquenti abituali, di professione o per tendenza. Infatti, se è vero che nessuno (o quasi) fa mai un giorno di galera per reati stradali, anche dopo aver provocato morti e feriti, è anche vero che la sola norma amministrativa non può da sola proteggere lo stato e preservare la necessità di punire chi provoca tanta devastazione, magari facendo intervenire i servizi sociali e introdurre, finalmente, la partecipazione degli psicologi del traffico. Al legislatore il compito di stabilire sanzioni tenendo conto dei fattori di rischio che possono portare una persona ad usare alcol o droga, come per esempio la frequentazione di certe compagnie o una particolare attitudine. Nessuno vuole toccare Caino, per carità, ma qualcosa deve essere fatta: perché ci dispiace vedere tanta devastazione nel mondo, ma ci dispiace ancor di più constatare che non sappiamo vedere quella guerra che si combatte sulle nostre strade, sotto i nostri occhi, con un nemico che ci tiene tutti sotto tiro, l’indifferenza.
* Sovrintendente della Polizia Stradale
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