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Corte di Cassazione 25/01/2013

RESISTENZA A PUBBLICO UFFICIALE
Per la resistenza a pubblico ufficiale serve un’opposizione concreta ed efficace

(Corte d'Appello Napoli, Sezione 7 penale, 4 dicembre 2012, n. 5187)

 

Resistenza a Pubblico Ufficiale - Resistenzaa Pubblico Ufficiale - Configurabilità - Condotta volta ad impedire ed ostacolare l'esplicazione della pubblica funzione - Consapevolezza della qualifica rivestita dal Pubblico Ufficiale - Condotta autolesionistica - Finalità - Contrastare il compimento di un atto dell'ufficio - Caso concreto - Comportamento dell'imputato - Proferimento di frasi intimidatorie - Successiva condotta autolesionistica - Ravvisabilità del delitto in parola
(Corte d'Appello Napoli, Sezione 7 penale, Sentenza 4 dicembre 2012, n. 5187)

 

È configurabile il delitto di resistenza a pubblico ufficiale a fronte di una condotta volta ad impedire ed ostacolare l'esplicazione della pubblica funzione, opponendosi in maniera concreta ed efficace all'atto che il pubblico ufficiale sta legittimamente svolgendo, con la consapevolezza della qualifica rivestita da quest'ultimo e dell'espletamento da parte sua di un'attività del proprio ufficio. In tal senso, anche una condotta autolesionistica posta in essere dal soggetto agente può essere sussunta nell'alveo del reato sempre se finalizzata ad ostacolare o contrastare il compimento di un atto dell'ufficio ad opera del pubblico ufficiale. Nella fattispecie è indubbia la sussistenza di tale delitto, avendo le diverse risultanze istruttorie evidenziato una condotta volontaria e consapevole da parte dell'imputato, consistita dapprima nel rivolgere agli ufficiali frasi dal contenuto intimidatorio e poi, una volta condotto presso gli uffici, nel minacciare di lanciarsi dal balcone rompendo i vetri con la testa, onde impedire ai verbalizzanti di compiere un atto del proprio ufficio, ovvero di procedere alla sua identificazione e denuncia a suo carico per un tentativo di truffa in precedenza perpetrato con artifici e raggiri caduti sotto la diretta percezione dei verbalizzanti.


La tesi difensiva

In primo grado l’imputato si era difeso dall’accusa di aver pronunciato parole minacciose all’indirizzo di ufficiali di P.G., intenti a raccoglierne le generalità dopo averlo fermato a seguito di un tentativo di truffa. Il fatto era stato qualificato resistenza a pubblico ufficiale, delitto previsto e punito dall’art. 337 c.p. La difesa aveva eccepito che vi fosse stata un’erronea valutazione delle risultanze processuali, atteso che l’utilizzo di espressioni minacciose, nei confronti dei verbalizzati, sarebbe «una forma di contestazione a posteriori della pregressa attività svolta dai pubblici ufficiali». Nessuna resistenza fisica era stata riscontrata (nella ricostruzione svolta dal medesimo difensore); ne era seguita la (non accolta) richiesta di assoluzione.

 

C’è contestazione e contestazione

Il secondo grado di giudizio riesamina, e (ri)falsifica, le prospettazioni difensive. In particolare, è anzitutto l’elemento cronologico a essere univoco: contrariamente a quanto sostenuto dall’imputato, i fatti dicono che la condotta oppositiva è stata posta in essere durante – e non dopo – l’attività dei pubblici ufficiali. Amplius, la tesi della contestazione comunque penalmente non rilevante sembra poco convincente. Quando una mera contestazione diventa resistenza? La Corte di Appello di Napoli, dissipato ogni dubbio in ordine alla corretta valutazione delle risultanze processuali, riscontra: una condotta volontaria e consapevole volta ad impedire che i verbalizzanti compissero l’atto del proprio ufficio; il minacciare atti di autolesionismo (lanciarsi dal balcone e rompere i vetri con la testa). In entrambe le dinamiche la condotta è evidentemente provvista di concreta efficacia interdittiva nei confronti della pubblica funzione; si va perciò ben oltre il mero dissenso o la mera contestazione (verbale).

 

I principi

In diritto, è sufficiente ad integrare una resistenza a pubblico ufficiale «una qualsiasi condotta idonea a impedire o ad ostacolare l’esplicazione della pubblica funzione, opponendosi in maniera concreta ed efficace all’atto che il pubblico ufficiale sta legittimamente compiendo, con la consapevolezza della qualifica rivestita da quest’ultimo e dello svolgimento da parte sua di un’attività del proprio ufficio». In particolare, la condotta descritta nel caso in esame non lascia spazio a dubbi in ordine al perseguimento dell’effetto di impedire agli ufficiali di P.G. il compimento degli atti del proprio ufficio (a partire dell’identificazione dell’imputato, per concludersi con l’avvio di un procedimento penale a suo carico). Principi ben radicati con applicazioni sempre nuove.

 

 

Gianluca Denora, Professore a contratto di diritto penale e criminologia
Dipartimento di giurisprudenza Università degli studi "Aldo Moro"

da diritto24.ilsole24ore.com
 

Venerdì, 25 Gennaio 2013
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