Lunedì 01 Luglio 2024
area riservata
ASAPS.it su

La Cassazione: «Al lavoro in moto?
Niente indennizzo in caso di incidente»

NAPOLI - Se il dipendente può arrivare al lavoro a piedi o con i mezzi pubblici, in caso di incidente stradale sul proprio mezzo non ha diritto a nessun indennizzo. A sancirlo è stata nelle scorse ore la Corte di Cassazione, che ha rigettato il ricorso di un lavoratore della società partecipata Terme di Stabia di Castellammare.

L’uomo aveva chiamato in giudizio l’Inail chiedendo una «rendita da infortunio in itinere», dato che l’incidente era avvenuto nel tragitto che intercorre tra la sua abitazione e il posto di lavoro. I fatti risalgono al 15 settembre del 1997 quando il dipendente di Terme stava percorrendo corso Garibaldi a Castellammare a bordo della propria motocicletta. Improvvisamente un’automobile aveva cambiato bruscamente la direzione di marcia, investendo l’uomo che riportò gravi lesioni alle gambe.

Nella causa che ne seguì, il dipendente di Terme aveva affermato di aver avuto necessità di utilizzare il proprio mezzo per poter raggiungere in tempo, entro le 7, il posto di lavoro distante circa due chilometri dal luogo della propria abitazione. Questo poiché la prima corsa dell’autobus di linea era prevista per le 7 e 20. Per questo, il lavoratore aveva chiesto la costituzione di una rendita da infortunio, citando l’Inail e chiedendone la condanna al pagamento dell’indennità dovuta per legge. Ma ieri la Cassazione, al termine di una disputa giudiziaria lunga e complessa, gli ha dato definitivamente torto.

Già nel 2009 la Corte d’Appello di Napoli aveva rigettato l’impugnazione nei confronti dell’Istituto Nazionale Assicurazione sul Lavoro, ribadendo di fatto la sentenza emessa dal Tribunale di Torre Annunziata nel 2005. La Corte d’Appello, infatti, aveva ritenuto che «la scelta del ricorrente di usare il mezzo privato non fosse necessitata», rilevando inoltre che il prospetto degli orari degli autobus di linea «non consentiva di appurare le circostanze dedotte relativamente all'impossibilità di fare uso degli stessi per raggiungere il posto di lavoro».

Per il ricorrente, invece, il cosiddetto «rischio elettivo» (ossia il rischio causato dalla scelta arbitraria del lavoratore di preferire la moto ad altre soluzioni) avrebbe dovuto essere connesso al «criterio della ragionevolezza». Percorrere due chilometri a piedi, insomma, costringendo oltretutto l’uomo a muoversi di casa molto tempo prima avrebbe comportato un affaticamento che si sarebbe ripercosso «dannosamente» sull’attività lavorativa.

Un ragionamento che non ha fatto presa sui giudici. E infatti la Cassazione, con sentenza n. 6725 del 18 marzo scorso, ha rigettato l’ulteriore ricorso dell’uomo, che aveva impugnato la decisione della Corte d’Appello sottolineandone il «vizio di motivazione». «Anche a voler ammettere che il ricorrente avesse necessità di utilizzare il mezzo proprio in assenza di soluzioni alternative – si legge nella sentenza – la decisione impugnata risulta sorretta dall’accertamento che, in ogni caso, il tragitto era percorribile a piedi ovvero utilizzando un mezzo di trasporto pubblico. (…) Tanto basta per configurare il rischio elettivo e per rigettare il ricorso».

 

di Francesco Ferrigno
ilmattino.it
 

Giovedì, 21 Marzo 2013
stampa
Condividi


Area Riservata


Attenzione!
Stai per cancellarti dalla newsletter. Vuoi proseguire?

Iscriviti alla Newsletter
SOCIAL NETWORK