L'INCHIESTA SULL'ATTENTATO DI BOSTON
L'Fbi mostra i frammenti degli ordigni
Una bomba era una pentola a pressione in uno zaino nero
Le tre piste dell'inchiesta: qaedisti, estremisti o lupo solitario
WASHINGTON – L’Fbi parla di un’indagine lunga su Boston e si aggrappa agli elementi – pochi – in suo possesso. Anche se è chiaro che gli investigatori non rivelano tutto quello che hanno raccolto in queste 48 ore frenetiche. Indizi o eventuali segnalazioni. Ricapitoliamo alcuni punti dell’inchiesta.
LE BOMBE – Due ordigni fatti con polvere nera e chiodi/biglie come proiettili. Incertezza sul sistema per attivarli: possibile il radiocomando, non esclusi timer e telefonino. La prima ipotesi pare la più probabile in quanto l’attentatore doveva scegliere il momento adatto per colpire. Una delle bombe era una pentola a pressione trasformata in trappola esplosiva ed era stata nascosta in una sacca nera. L’Fbi ha diffuso le foto di quello che è rimasto: sul metallo sono leggibili i numeri di serie. Piccolo elemento ma non trascurabile. Gli agenti esamineranno con cura anche il borsone. Ci sono anche delle biglie incollate insieme che dovevano provocare l’effetto lupara ma non sono in apparenza «partite».
I resti dello zaino nero che per l'Fbi conteneva la bomba (Ap) |
LE PENTOLE - Le pentole a pressione sono state usate dai terroristi per decenni, dall’Italia al Medio Oriente, da estremisti di destra come da anarchici, da mujaheddin pachistani ai separatisti dell’Eta. Anche gli ispiratori qaedisti hanno spesso consigliato l’uso di queste armi. Nel 2010 un militante pachistano aveva sistemata una pentola a pressione sulla vettura-bomba lasciata a Times Square, New York. Inspire, la rivista online dei qaedisti yemeniti, in un articolo intitolato «Fai la bomba nella cucina di tua mamma» aveva incoraggiato nel 2010 i suoi seguaci in Occidente a impiegarle.
LA TATTICA – Un’azione spettacolare contro un evento sportivo di massa, con doppio ordigno, sotto gli occhi delle telecamere. Tre aspetti che richiamano le tattiche qaediste. Rispetto al passato – ma questo era già emerso – i seguaci di Osama non hanno più la forza strategica e devono arrangiarsi con i «piccoli complotti». In questa cornice si può immaginare un’azione condotta da un militante che ha vissuto indisturbato negli Usa e magari è stato ispirato dall’esterno via Internet. Gli investigatori, però, non perdono di vista l’altra pista, quella degli estremisti di destra (o neonazi). Hanno dimostrato di poter colpire e uccidere anche su larga scala, sono una componente minoritaria che ha ripreso forza negli ultimi anni. Per ora, ufficialmente, le due teorie sono alla pari. Con una terza ipotesi: quella del gesto di un individuo che può aver agito per motivi politici (Jihad, ultradestra) o per altro. Il temuto lupo solitario.
I SOSPETTATI – Fino alle prime ore di martedì si è speculato a lungo su uno studente saudita piantonato in ospedale. Poi l’Fbi ha sostenuto che era soltanto un testimone ed ha in parte disinnescato le rivelazioni comparse sul sito israeliano Debka (non sempre accurato) che parlava del coinvolgimento di una cellula saudita. Tutto comunque resta fluido, in movimento. Interessante a questo proposito un commento dell’intelligence: «Per ora non sono emersi link con il qaedismo ma tutto può cambiare».
di Guido Olimpio
da Corriere.it