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Corte di Cassazione 24/01/2013

Sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie: si applica il favor rei

(Cass. Civ., sez. tributaria, 24 gennaio 2013, n. 1656)

In ogni stato e grado del giudizio, anche d’ufficio, il giudice tributario può applicare un regime sanzionatorio più favorevole al contribuente quando la legge in vigore al momento dell’accertamento e quelle successive, prevedano sanzioni di diversa entità.

E’ quanto disposto dalla Corte di Cassazione con la sentenza 24 gennaio 2013, n. 1656.

Nel caso in esame, l'Ufficio Distrettuale delle Imposte dirette di Milano tramite  avviso d’accertamento, aveva contestato ad una banca l’omessa ritenuta alla fonte su interessi relativi a depositi in valuta presso altri istituti di credito ed istituzioni estere, detenuti dalla contribuente in qualità di “banca agente”.

Venivano, pertanto, irrogate diverse sanzioni, nonché una pena pecuniaria. Avverso tale atto impositivo, la società proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, che lo accoglieva, ma tale decisione veniva poi appellata dall'Agenzia delle Entrate, e la Commissione di secondo grado decideva che la Banca non doveva effettuare alcuna ritenuta alla fonte per i premi e gli interessi percepiti da istituzioni estere, essendo essa stessa investitrice.

Tale provvedimento veniva impugnato dinnanzi alla Commissione Centrale la quale, accoglieva il ricorso dell'Ufficio. Infine, avverso detta sentenza, Capitalia s.p.a. ha presentato ricorso per Cassazione,  fondato su quattro motivi.

Tra questi, la Suprema Corte ha giudicato degno di accoglimento quello relativo alla  mancata applicazione delle disposizioni di legge che in tema di sanzioni stabilivano un regime più favorevole rispetto alle norme, ormai abrogate, cui aveva fatto riferimento l’Amministrazione Finanziaria. La Corte ha precisato che: “costituisce ius recpetum il principio secondo cui, in forza dello ius superveniens più favorevole - correlatale anche allo Statuto del contribuente - può affermarsi che, in tema di sanzioni tributarie, alla abrogazione del principio di ultrattività delle disposizioni sanzionatorie è subentrato il principio del favor rei nella sua duplice prospettazione; nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che secondo la legge posteriore non costituisce violazione punibile; se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa si applica la legge più favorevole.”

Inoltre, i Giudici di Piazza Cavour hanno argomentato, condividendo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, che il principio del favor rei può venire applicato anche d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, purchè il procedimento sia ancora in corso e che il provvedimento impugnato non sia definitivo (Cass. n. 17069 del 2009; Cass. n. 1055/2008). Oltre a ciò, occorre è stato rilevato che il D.Lgs. n. 472/1997, art. 25, comma 2, rende attuabili le nuove disposizioni di favore per il contribuente ai processi in corso, purché il provvedimento di irrogazione non sia divenuto definitivo (Cass. n. 4408/2001).

Era dunque estendibile alla fattispecie in oggetto il nuovo regime sanzionatorio, trattandosi di violazioni commesse in epoca anteriore all'entrata in vigore della norma e non potendosi considerare definitivo il provvedimento irrogativo oggetto di ricorso, poiché esso era contestuale e collegato all'accertamento oggetto della lite. Per tali ragioni, in applicazione dei summenzionati principi, la Commissione Tributaria Centrale avrebbe dovuto applicare d'ufficio lo ius superveniens favorevole al contribuente, in quanto il nuovo regime è entrato in vigore il 1° aprile 1998, ovvero in pendenza del giudizio innanzi alla Commissione stessa.

Alla luce delle suesposte argomentazioni, la Cassazione ha stabilito che la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata al Giudice del merito che dovrà valutare la norma più favorevole da applicare al caso esaminato.

(Nota di Maria Elena Bagnato)

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Sentenza 25 settembre 2012 - 24 gennaio 2013, n. 1656

Svolgimento del processo


A seguito della presentazione della dichiarazione dei sostituti di imposta per l'anno 1980, relativa agli interessi ed altri redditi da capitale da parte della Banca Generale di Credito s.p.a. (oggi Capitalia s.p.a.), l'Ufficio Distrettuale delle Imposte dirette di Milano notificava alla società avviso di accertamento con il quale rilevava l'omessa ritenuta alla fonte su interessi relativi a depositi in valuta presso banche ed istituzioni creditizie estere detenuti dalla contribuente in qualità di "banca agente", nella misura del 15% dell'importo di lire 115.290.000.

Veniva, altresì, irrogata la sopratassa per omesso versamento diretto di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 92, la sopratassa per omessa effettuazione della ritenuta alla fonte e, infine, la pena pecuniaria di cui al D.P.R n. 600 del 1973, art. 47, comma 2. Avverso detto atto impositivo la società proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano deducendo la non applicabilità della norma di cui all'art.26, terzo comma, del d.p.r. n.600/1973, stante la concentrazione, in capo a sè stessa, delle vesti rispettivamente di soggetto - id est banca agente incaricato del pagamento in Italia di interessi esteri (sostituto di imposta) e di soggetto destinatario del reddito (sostituito) trattandosi di interessi attivi maturati sui propri depositi e conti correnti intrattenuti con le corrispondenti estere. La Commissione Tributaria di primo grado accoglieva il ricorso, facendo proprie le ragioni addotte dalla ricorrente.

Proposto appello avverso detta sentenza dall'Agenzia delle Entrate, la Commissione di secondo grado rigettava il gravame osservando che la Banca era essa stessa investitrice, e quindi, non doveva effettuare alcuna ritenuta alla fonte per i premi e gli interessi percepiti da istituzioni estere.

Tale decisione veniva impugnata dinnanzi alla Commissione Centrale la quale, con sentenza 2623/08/2006, depositata il 23.3.2006, accoglieva il ricorso dell'Ufficio.

Avverso detta sentenza propone ricorso per Cassazione Capitalia s.p.a. affidandosi a quattro motivi. Resiste con controricorso l'Agenzia delle Entrate.

 

Motivi della decisione

 

1. La Commissione Tributaria Centrale, dato per pacifico che, nella specie, si trattava di titoli ed obbligazioni che i soggetti residenti in Italia possedevano nei confronti di banche ed istituzioni estere, per le quali la contribuente era solamente banca agente, e, quindi, tenuta alla ritenuta alla fonte o d'acconto al posto dei singoli clienti... e che la stessa contribuente non aveva escluso di essere detentrice anche di obbligazioni, titoli, conti correnti nei confronti di banche e istituzioni creditizie estere, dalle quali, perciò, percepiva interessi, giungeva alla conclusioni che gli stessi dovevano essere sottoposti alla prescritta imposizione fiscale.

1.1. A sostegno della decisione la Commissione Tributaria Centrale richiamava l'orientamento di questa Corte per cui "in tema di imposte sui redditi, in virtù della L. 18 febbraio 1999, n. 28, art. 14, applicabile, trattandosi di norma di interpretazione autentica e, quindi, assistita da efficacia retroattiva, anche ai rapporti non ancora definiti, il terzo periodo del D.P.R. 26 settembre 1973, n. 600, art. 26, comma 4, il quale prevede che la ritenuta sugli interessi, premi ed altri frutti di obbligazioni e titoli similari è effettuata a titolo di imposta "nei confronti dei soggetti esenti dall'IRPEG ed in ogni altro caso deve intendersi nel senso che la ritenuta si applica anche nei confronti dei soggetti esclusi dall'Iperg".

2. Con il primo motivo la ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato in riferimento all'art. 112 c.p.c., ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n.4. Secondo la prospettazione difensiva la Commissione Tributaria Centrale avrebbe del tutto omesso di pronunciarsi sulla richiesta di rigetto del ricorso per violazione dell'art.64 del d.p.r. 29.9.1973 n.600 malgrado la stessa ricorrente avesse formulato detta richiesta già in sede di ricorso dinnanzi alla Commissione Tributaria di 1^ grado e l'avesse ribadita innanzi alla Commissione Centrale. In particolare, la Commissione avrebbe del tutto omesso di pronunciarsi sulla eccezione di inconfigurabilità ovvero di impossibilità della immedesimazione tra soggetto sostituto e sostituito di imposta.

Il motivo non merita accoglimento.

Va, infatti, rilevato che, così come esposta nel ricorso, tale "richiesta" non costituisce nè una domanda nè un'eccezione in senso stretto ma esclusivamente una mera difesa che, peraltro, è stata, seppure succintamente, trattata e vagliata dalla sentenza impugnata.

3. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, ancora ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato in riferimento all'art. 112 c.p.c., con riguardo alla richiesta avanzata in caso di accoglimento del ricorso erariale di rideterminazione delle sanzioni irrogate. In particolare, la ricorrente lamenta la mancata applicazione, in ossequio al principio del favor rei, delle disposizioni di cui al D.L. n. 471 del 1997, art. 14, e del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 2, comma 2, le quali stabiliscono un regime più favorevole in tema di sanzioni rispetto alle norme, ormai abrogate, applicate nella specie dall'Amministrazione finanziaria.

Il motivo merita accoglimento.

In via generale, costituisce ius recpetum il principio secondo cui, in forza dello ius superveniens più favorevole - correlatale anche allo Statuto del contribuente - può affermarsi che, in tema di sanzioni tributarie, alla abrogazione del principio di ultrattività delle disposizioni sanzionatorie è subentrato il principio del favor rei nella sua duplice prospettazione; nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che secondo la legge posteriore non costituisce violazione punibile; se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa si applica la legge più favorevole. In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il principio del favor rei, introdotto dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3, è, secondo il successivo art. 25, comma 2, applicabile alle violazioni commesse anteriormente al 1 aprile 1998 (data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 472 cit.) applicabile ai procedimenti in corso.

La giurisprudenza di questa Corte è poi univoca nel ritenere che il principio trovi applicazione anche d'ufficio ed in ogni stato e grado del giudizio, a condizione che via sia un procedimento ancora in corso e che il provvedimento impugnato non sia definitivo (Cass. n. 17069 del 2009; Cass. n. 1055/2008 la quale ha statuito che la citata norma superveniens, entrata in vigore il 1.4.1998, incidente sul quantum della sanzione tributaria in senso favorevole al contribuente perchè sostituisce, alla somma delle singole sanzioni, speciali criteri di calcolo previsti per il concorso di violazioni e per la continuazione - è applicabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, e quindi anche in sede di legittimità (Cass. nn. 10599/2002, 12865/2001). Inoltre, il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 25, comma 2, rende espressamente applicabili le nuove disposizioni - in particolare, per quanto interessa, quelle contenute nell'art. 3, comma 3, stesso testo, introduttive del principio di legalità e di favore per il contribuente - ai processi in corso, "salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo (Cass. n. 4408/2001)".

Il nuovo regime sanzionatorio ben può applicarsi alla fattispecie oggetto di esame, trattandosi di violazioni commesse anteriormente all'entrata in vigore della norma e non potendosi considerare definitivo il provvedimento irrogativo oggetto di ricorso dal momento che esso è contestuale e strettamente correlato all'accertamento dedotto in lite.

Risulta, poi, per tabulas che lo ius superveniens favorevole al contribuente (essendo il nuovo regime entrato in vigore il 1 aprile 1998) è sopravvenuto nella pendenza del giudizio innanzi alla Commissione Tributaria Centrale la quale, in applicazione dei principi sopra illustrati, avrebbe dovuto applicarlo d'ufficio.

Sul punto, pertanto, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata al Giudice del merito che provvederà alla valutazione dell'incidenza sulla fattispecie della norma più favorevole.

4. Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 64, comma 1, ed omessa pronuncia circa un fatto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Secondo la prospettazione difensiva la Commissione Tributaria Centrale avrebbe errato nel legittimare la pretesa erariale all'evidenza contrastante con la corretta accezione del principio recato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 64, il quale statuisce che chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri, per fatti o situazioni a questi riferibili ed anche a titolo di acconto, deve esercitare la rivalsa se non è diversamente stabilito in modo espresso. Rivalsa che, nella specie, non poteva esercitarsi coincidendo nello stesso soggetto la qualità di sostituto e sostituito.

4.1. Il motivo è infondato.

La doglianza si fonda, infatti, su un assunto (la percezione di interessi spettanti in proprio alla Banca e non ai suoi clienti) che contrasta con i dati fattuali oggetto di giudizio ed accertati dalla sentenza impugnata.

4.2. La stessa ricorrente, infatti, espone (v. pag. 2 del ricorso) che l'avviso di accertamento impugnato aveva ad oggetto l'omessa ritenuta alla fonte su interessi relativi a depositi in valuta presso banche ed istituzioni creditizie estere detenuti dalla contribuente in qualità di "banca agente"; ma, soprattutto la Commissione Tributaria Centrale in tale ambito, ha -con accertamento in fatto non fatto oggetto di alcuna censura- espressamente affermato che si trattava di titoli, obbligazionì e quant'altro che i soggetti residenti in Italia possedevano nei confronti di Banche ed istituzioni estere, per le quali la contribuente era solamente banca agente.

5. Con il quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, art. 26, comma 3, nella parte cui la sentenza impugnata nulla statuiva sulla portata applicativa del terzo comma laddove il legislatore era intervenuto con norma di interpretazione autentica (D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, art. 1 bis, inserito nella legge di riconversione 28.2.1997 n. 30.

5.1. Il motivo è inammissibile.

Con detto mezzo la contribuente espone (pag.14 del ricorso) che "la decisione impugnata mentre si è dilungata sull'applicabilità del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 26, comma 4, nulla ha statuito sulla portata applicativa del terzo comma del medesimo art. 26".

L'applicabilità del citato art. 26, comma 4, affermata dalla C.T.C. costituisce autonoma ratio decidendi, indipendente da quella del comma 3, dello stesso articolo. L'idoneità di tale motivazione, non impugnata dalla ricorrente, a sorreggere da sola la decisione rende, quindi, vana la censura.

Il motivo è, comunque, infondato ostando al suo accoglimento: a) la definitività dell'accertamento in fatto compiuto dalla CTC (ovverosia che i titoli e le obbligazioni erano possedute da altri soggetti residenti in Italia per i quali la Banca fungeva da agente) che ha condotto al rigetto del terzo motivo e, soprattutto b) la circostanza (ricordata dalla contribuente a pag 2 del ricorso per cassazione) che l'accertamento è basato soltanto sull'omessa ritenuta alla fonte su interessi relativi a depositi... detenuti dalla contribuente in qualità di banca agente.

Tale ricostruzione in fatto rende inapplicabile l'art. 26, comma 3 (come autenticamente interpretato), perchè la norma nel fare esclusivo riferimento a frutti "percepiti" dalla banca nazionale non può che riguardare i frutti di spettanza della stessa banca e, non anche quelli materialmente riscossi (e, quindi, non percepiti) in nome e per conto dei terzi.

In conclusione, il primo, terzo ed il quarto motivo di ricorso vanno rigettati.

In accoglimento del secondo motivo la sentenza impugnata va cassata per quanto di ragione e la causa rinviata al Giudice del merito che provvederà anche in ordine al regolamento delle spese di questo grado.

 

P.Q.M.

 

La Corte, in parziale accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo grado, alla Commissione Tributaria della Regione Lombardia.

 

da Altalex

 

 



Giovedì, 24 Gennaio 2013
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