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Corte di Cassazione 22/04/2013

Farmaci che alzano il tasso alcolemico non ''salvano'' il conducente

(Cas. Pen., sez. IV, 03 aprile 2013, n. 15562)
Foto di repertorio dalla rete

Il conducente che è consapevole di assumere medicinali in grado di incidere sulla presenza di alcool nel sangue, non deve mettersi alla guida. E' quanto emerge dalla sentenza 3 aprile 2013, n. 15562 della Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione.

Il caso vedeva un uomo, dopo aver provocato, alla guida della sua vettura, un incidente stradale, essere sottoposto alla prova dell'etilometro, il quale segnalava la presenza di alcool nel sangue ad un livello superiore a 1,5 g/l.

Sebbene il conducente avesse ammesso di aver assunto dei farmaci idonei ad alterare i valori del tasso alcolemico in misura superiore a 0,5 g/l. e di aver bevuto alcolici a pranzo, fino alle ore 15, l’accertamento effettuato dai carabinieri era avvenuto ben 9 ore dopo, chiaro indizio, secondo il ricorrente, dell’incidenza causale dei medicinali assunti sulla persistenza di un alto tasso alcolemico.

L'espletamento di una perizia sarebbe stato quindi assolutamente necessario al fine di individuare in quale misura i medicinali avessero influito sulla protrazione nel tempo degli effetti dell'alcool, dal momento che l'accertamento anche di una minima influenza avrebbe potuto condurre alla conclusione che senza quei farmaci il tasso alcolemico del ricorrente sarebbe stato inferiore a 1,5 g/l, con tutte le conseguenze anche in ordine al trattamento sanzionatorio.

Gli ermellini sono di contrario avviso: "non può certo ritenersi che l'espletamento di una perizia, diretta ad accertare l'idoneità dei farmaci assunti dal ricorrente ad alterare i valori del tasso alcolemico in misura superiore a 0,5 g/l., assumesse il carattere della indispensabilità ai fini del decidere", atteso che comunque il ricorrente, che conosceva gli effetti dei farmaci che assumeva, mai avrebbe dovuto porsi alla guida di un'autovettura.

(Nota di Simone Marani)

 

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
Sentenza 15 marzo – 3 aprile 2013, n. 15562

(Presidente D’Isa – Relatore Marinelli)

 

Ritenuto in fatto

 

Con sentenza in data 8 ottobre 2010 il Tribunale di Pistoia-sezione distaccata di Pescia dichiarava B.G. colpevole del reato di cui all'articolo 186 commi 2 lett.c) e 2 bis del decreto legislativo 30.04.1992 n. 285 (commesso il (omissis) ) e lo condannava alla pena di Euro 4.000,00 di ammenda, di cui Euro 2.280,00 in sostituzione ex art.53 L.689/1981 della pena di mesi 2 di arresto, oltre al pagamento delle spese processuali.

Avverso tale sentenza il difensore di B.G. proponeva appello.

La Corte di appello di Firenze, con sentenza del 20.04.2012, in riforma della sentenza emessa nel giudizio di primo grado, concesse le attenuanti generiche, rideterminava la pena nella misura di mesi uno e giorni dieci di arresto ed Euro 1.146,00 di ammenda, sostituendo la pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria pari ad Euro 1.520,00 di ammenda, con la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nel certificato penale; confermava nel resto.

Avverso tale sentenza B.G. personalmente proponeva ricorso per Cassazione e concludeva chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi:

1) mancata assunzione di una prova decisiva richiesta dalla difesa dell'imputato. Sosteneva sul punto il ricorrente che egli aveva richiesto l'espletamento di una perizia al fine di accertare l'idoneità dei farmaci da lui assunti ad alterare i valori del tasso alcolemico in misura superiore a 0,5 g/l. Osservava ancora che egli aveva assunto alcolici durante il pranzo e comunque non oltre le ore 15,00 e che l'accertamento era stato eseguito dai Carabinieri ben nove ore dopo. Quindi il fatto che egli ben nove ore dopo l'assunzione di alcolici presentasse ancora un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l era un chiaro indizio dell'incidenza causale dei medicinali che assumeva sulla persistenza di un alto tasso alcolemico. L'espletamento di una perizia sarebbe stato quindi assolutamente necessario al fine di individuare in quale misura i medicinali avevano influito sulla protrazione nel tempo degli effetti dell'alcol, dal momento che l'accertamento anche di una minima influenza avrebbe potuto condurre alla conclusione che senza quei farmaci il tasso alcolemico del ricorrente sarebbe stato inferiore a 1,5 g/l, con tutte le conseguenze anche in ordine al trattamento sanzionatorio.

2) Violazione e/o errata applicazione di legge, con riferimento al trattamento sanzionatorio, in quanto la pena irrogata al ricorrente sarebbe eccessiva e sproporzionata rispetto al reato commesso. Osservava infatti la difesa che il B. non risultava aver contribuito alla causazione del sinistro, che egli si era messo alla guida ben nove ore dopo l'assunzione di alcol, a dimostrazione della sua prudenza, che quindi si era trattato di ubriachezza incolpevole, dal momento che egli, pur non essendo a conoscenza dell'esatta entità degli effetti che i farmaci che assumeva potevano produrre, pur tuttavia usò la prudenza di aspettare nove ore prima di mettersi alla guida della sua autovettura.

3) Manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, dal momento che i giudici della Corte territoriale, da un lato, avevano affermato l'incidenza dei farmaci assunti dal B. sulla durata degli effetti dell'assunzione di alcol, dall'altro avevano considerato irrilevante, ai fini della scelta tra le tre fattispecie di reati previste dalle lettere a), b), c) dell'art.186, 2 comma, del Codice della Strada, il fatto che tali effetti persistessero ancora nell'imputato a distanza di nove ore dal momento in cui aveva assunto del vino.

 

Considerato in diritto

 

I proposti motivi di ricorso sono manifestamente infondati.

Per quanto attiene al primo si osserva che secondo la giurisprudenza di questa Corte, "anche nel vigente codice di procedura penale la rinnovazione del giudizio in appello è istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente quando il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti" (Cass. Pen., Sez.Un., 24 gennaio 1996, Panigoni, RV 203974).

Nella fattispecie che ci occupa pertanto non può certo ritenersi che l'espletamento di una perizia diretta ad accertare l'idoneità dei farmaci assunti dal B. ad alterare i valori del tasso alcol emico in misura superiore a 0,5 g/1 assumesse il carattere della indispensabilità ai fini del decidere, atteso che comunque il ricorrente, che conosceva gli effetti dei farmaci che assumeva, mai avrebbe dovuto porsi alla guida di un'autovettura. Anche gli ulteriori motivi di ricorso che attengono al trattamento sanzionatorio sono manifestamente infondati.

La decisione impugnata risulta infatti sorretta da conferente apparato argomentativo, che soddisfa appieno l'obbligo motivazionale, anche per quanto concerne la dosimetria della pena. E appena il caso di considerare che in tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di questa Suprema Corte non solo ammette la c.d. motivazione implicita (Cass., Sez. 6, 22 settembre 2003 n.227142) o con formule sintetiche (tipo "si ritiene congrua" vedi Cass., sez.6, 4 agosto 1998, Rv.211583), ma afferma anche che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all'art.133 c.p., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Cass., sez.3, 16 giugno 2004 n. 26908, Rv.229298). Si tratta di evenienza che certamente non sussiste nel caso di specie, avendo la Corte territoriale espressamente chiarito le ragioni in base alle quali ha ritenuto di concedere all'imputato le circostanze attenuanti generiche e di rideterminare la pena la pena nella misura di mesi uno e giorni dieci di arresto ed Euro 1.146,00 di ammenda, sostituendo la pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria pari ad Euro 1.520,00 di ammenda e concedendo altresì i doppi benefici. Il ricorso proposto non va in conclusione oltre la mera enunciazione del vizio denunciato e dunque esso è inammissibile con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

 

da Altalex

 



Lunedì, 22 Aprile 2013
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