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Offende tramite il blog: è diffamazione aggravata

(Tribunale Varese, Uff. GIP, 08 aprile 2013, n. 116)

Questa sentenza del G.I.P. del Tribunale di Varese affronta uno degli argomenti più dibattuti degli ultimi tempi che ha visto anche aspri scontri tra giuristi ed Istituzioni. Si fa riferimento, in particolare, alla responsabilità di un blogger per i contenuti immessi in rete tramite il sito di cui è titolare, anche se ovviamente questo discorso può essere allargato ad altri strumenti del web ed in particolare del web 2.0.

Nel caso di specie la blogger viene condannata per diffamazione in quanto sul proprio sito avvia una campagna denigratoria nei confronti delle case editrici a pagamento, utilizzando espressioni ed immagini pesanti ed offensive rivolte, in particolare, ad una responsabile editoriale. Tale comportamento ha dato luogo, secondo quello che è lo spirito della Rete, ad ulteriori messaggi offensivi di terze persone ovviamente non bannati dalla responsabile del blog.

L’organo giudicante nel motivare la propria decisione distingue innanzitutto tra affermazioni che per quanto forti si risolvono in una critica legittima, anche se particolarmente accesa ed affermazioni che per il loro contenuto offensivo si rivelano palesemente diffamatorie.

Inoltre lo stesso G.I.P. si trova nell’evidente difficoltà di inquadrare giuridicamente il fenomeno Internet ed in particolare il blog ai fini della configurazione del reato. In questo caso, ritorna in auge “l’antica” ma ancora molto attuale questione dell’equiparazione tra comunicazione giornalistica su Internet e comunicazione tradizionale della carta stampata, che nel caso di specie viene giustamente negata dall’organo giudicante sulla scorta, anche, di un’ampia conforme giurisprudenza di merito (G.i.p. Tribunale Oristano, sent. 25 maggio 2000, n. 137) e di legittimità (Cass, V, n. 1907 del 16 luglio–1° ottobre 2010). L’assunto fondamentale rimane quello del divieto dell’analogia “in malam partem” in materia penale ed a nulla vale una ricostruzione storico-interpretativa dell’ art. 1 della L. 8 febbraio 1948, n. 47 che potrebbe condurre l’interprete ad attribuire a un sito Internet, sulla base di caratteristiche intrinseche e fenomeniche, nonché formali (la registrazione) la natura di “stampa”.

Lo stesso G.I.P. però ritiene che il sito in argomento costituisce la base per la costruzione di un gruppo settoriale di interesse, composto da scrittori esordienti, o aspiranti tali, mediante la discussione di temi comuni e partendo da questo importante presupposto è possibile quindi giungere alle conclusioni che sono proprie della sentenza.

Nessun dubbio sussiste in merito alla configurabilità della diffamazione aggravata in quanto ci si trova nell’ambito di una comunicazione rivolta a più persone e viene utilizzato un “mezzo di pubblicità”.

Inoltre ai fini dell’’attribuzione soggettiva di responsabilità all’imputata essa viene qualificata come diretta sia per i contenuti pubblicati dall’imputata che per quelli inseriti dagli altri utenti. Difatti l’imputata in qualità di amministratrice del sito viene ritenuta responsabile di tutti i contenuti di esso accessibili dalla Rete a prescindere dall’esistenza di filtri. Non rileva, al fine di escludere la responsabilità penale dell’imputata, la clausola di attribuzione esclusiva di responsabilità agli autori dei commenti contenuta in un “regolamento” di natura esclusivamente privata per l’utilizzazione del sito. Gli stessi autori possono al massimo concorrere al reato, se identificati.

La ricostruzione e le conclusioni del G.I.P. del Tribunale di Varese possono ritenersi sostanzialmente corrette. Difatti stante il divieto di analogia in materia penale, non sembra possibile assimilare le comunicazioni via internet a quelle telefoniche o alla stampa, mentre appare opportuno avvalersi di un'interpretazione estensiva delle espressioni "scritti" e "disegni" di cui all’art. 595 c.p., riferibile anche ai contenuti diffusi via internet.

Quanto al requisito richiesto dalla norma, secondo cui gli atti lesivi devono essere diretti alla persona offesa, non si hanno dubbi che ciò accada allorché il messaggio sia veicolato da posta elettronica all’indirizzo del destinatario. Più problematica risulta l’ipotesi in cui l’offesa sia veicolata attraverso un mezzo che raggiunge più persone contemporaneamente (newsgroup, mailing list, siti web). In questi casi, si ritiene non si integri il delitto di ingiuria, bensì quello di diffamazione aggravata.

L’ampia casistica in materia di condotte diffamatorie presenta un intimo legame con l’attività giornalistica e la libertà di informazione, tale che l’evoluzione della giurisprudenza ne risulta fortemente influenzata. Si registra che un vastissimo numero di pronunce sia diretto all’accertamento della possibilità di invocare le scriminanti del diritto di cronaca e del diritto di critica nell’ambito della professione giornalistica.

Ma si pensi alle opinioni espresse attraverso siti internet, newsgroup e blog, che non necessariamente costituiscono mezzi di informazione giornalistica e per le quali non sono invocabili i diritti di cronaca o di critica.

Per molti, però, il diritto di critica non sarebbe una mera specificazione del diritto di cronaca e come tale non sarebbe invocabile esclusivamente da chi esercita l’attività giornalistica.

Il diritto di critica ha un carattere autonomo e può essere esercitato da chiunque, nel rispetto dei confini stabiliti dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia di diritto di cronaca: a) utilità sociale dell’informazione; b) verità; c) forma civile dell’esposizione dei fatti.

(Altalex, 16 maggio 2013. Nota di Michele Iaselli. Vedi anche l'eBook I nuovi reati informatici di Mauro Lanzieri)

 

Tribunale di Varese

Sentenza 22 febbraio - 8 aprile 2013, n. 116

 

REPUBBLICA ITALIANA

TRIBUNALE DI VARESE

UFFICIO DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice, Giuseppe Battarino

ha pronunziato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente

 

SENTENZA

 

ai sensi degli artt. 438ss.,533, 535, 538 ss. c.p.p. nei confronti di: L.R., nata il ***** a Rovigo,

Difesa di fiducia dall’Avv. Jenny Cantù del Foro di Varese, presente;

PARTE CIVILE : S.T., presente, assistita dall’Avv. Paola Croci del Foro di Milano, presente;

IMPUTATA

del delitto previsto e punito dagli artt. 81 cpv. e 595, commi 1,2 e 3, c.p., nonché 13, Legge n. 47/1948 e perseguibile ai sensi dell’art. 30 della Legge 223/1990, perché, in più momenti esecutivi del medesimo disegno criminoso, comunicando con più persone attraverso la rete Internet ed in particolare diffondendo notizie e scritti, utilizzando il proprio nome e cognome o, anche, utilizzando lo pseudonimo di Y, sul sito Internet OMISSIS, intraprendeva una campagna denigratoria nei confronti delle case editrici a pagamento (di cui all’acronimo EAP), campagna denigratoria denominata NOEAP, per mezzo della quale ledeva la reputazione di S.T. in quanto rappresentante della casa editrice *****, con sede legale in *****.

In particolare, pubblicando tali asserzioni sul citato sito internet, affermava che:

- la casa editrice ***** doveva essere considerata “a pagamento”;

- S.T. aveva offeso ed insultato L.R., con parole in realtà mai pronunciate dall’interessata;

- apostrofava gli editori a pagamento, tra i quali includeva ST con gli epiteti “cloache editoriali”; “truffatori; “signori truffa”; “cosche mafiose” “strozzini” e simili;

- attribuiva a S.T. affermazioni e frasi mai profferite;

- diffondeva immagini virtuali riferibili a ST atte a ridicolizzare la stessa;

- indicava la casa editrice ***** come “stampatore, editore che non offre distribuzione e produzione e produttore di libri di pessima qualità”;

- offendeva direttamente ed esplicitamente ST con i seguenti epiteti “*arpia*”; “*repressa del cazzo*”; “*urticante peggio di una medusa*”; “*non ha altro da dire che non siano le solite stronzate*”.

In ***** sino al 25 settembre 2010

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

L’imputata, in sede di udienza preliminare, ha chiesto di essere giudicata con rito abbreviato.

Si è costituita parte civile S.T., che ha accettato gli effetti del giudizio.

La ricorrenza sul sito OMISSIS delle espressioni riportate nel capo d’imputazione è documentata ampiamente.

In sostanza il sito, che, incontestatamente, è amministrato dall’imputata, è stato sede di un vivace dibattito tra aspiranti scrittori o scrittori esordienti, avente ad oggetto, tra l’altro, la specifica difficoltà di trovare un editore adeguato per opere prime, o comunque per scrittori non già affermati.

Il contesto è di comune conoscenza: a fronte di pochi autori di testi che incontrano un editore realmente interessato – per motivi culturali o economici – alla pubblicazione e che dunque divengono scrittori editi, molti autori di testi devono rinunciare alle proprie ambizioni oppure accettare compromessi proposti da editori che richiedono, in forma diretta o indiretta, contributi alle spese di edizione; a loro volta questi editori offrono talora una reale attività di *editing* e una adeguata distribuzione, in altri casi difettano dell’una e dell’altra, mandando gli autori incontro a sicura delusione.

L’attività casa editrice *****, fondata e amministrata da S.T., è rientrata nell’oggetto della discussione svoltasi sul sito.

Premesso che la reale politica editoriale di ***** non è oggetto di valutazione in questo processo se non nei limiti in cui il riferimento ad essa consente di definire la continenza, o meno, delle espressioni ricorrenti sul sito, le questioni essenziali del giudizio, alla luce dell’imputazione, del materiale probatorio e delle argomentazioni difensive, riguardano l’obiettività delle condotte, l’attribuibilità soggettiva anche in ragione della natura del mezzo di diffusione, la qualificazione delle stesse.

Il postulato dell’accusa è l’esistenza di affermazioni asseritamente travalicanti il diritto di critica che vengono descritte nel capo di imputazione con diverso grado di analiticità.

In ordine ad esse va considerato – seguendo l’ordine delle condotte così come descritte – che:

l’affermazione secondo cui la casa editrice è da considerare “a pagamento” non costituisce reato, risolvendosi l’espressione in una sintesi opinabile ma non offensiva delle suaccennate forme di partecipazione al costo editoriale;

parlare di “parole mai pronunciate” o, più oltre di “affermazioni e frasi mai profferite” come forma di offesa mediante attribuzione di falsità non soddisfa i caratteri di chiara enunciazione dell’accusa e non consente di affermare la penale responsabilità dell’imputata;

gli epiteti “cloache editoriali”, “truffatori”, signori della truffa”, cosche mafiose”, “strozzini”, attribuiti alla categoria genericamente individuata come editori a pagamento, e inclusiva della persona offesa, sono obiettivamente tali da lederne l’onore e il decoro;

la diffusione di immagini mortificanti e allusive, frutto di montaggio, direttamente riferite a S.T. è obiettivamente tale da lederne l’onore e il decoro; così pure è a dirsi dell’uso nei suoi confronti dei termini
“arpia”, “repressa del cazzo”, “urticante peggio di una medusa” e “solite stronzate” riferito a sue affermazioni;

non integrano il reato, risolvendosi in forte ma legittima critica, le affermazioni circa la “pessima qualità” di talune produzioni editoriali.

Nel formulare le accuse il Pubblico Ministero fa riferimento alle leggi n. 47/1948 e n. 223/1990 e contesta, senza ulteriore specificazione, la violazione dei commi primo, secondo e terzo dell’art. 595 c.pen..

Si deve pertanto ritenere che egli abbia inteso contestare la comunicazione con più persone e l’utilizzazione del mezzo della stampa, omologato alla “rete internet”, così definita in imputazione.

Anche al fine di definire il titolo di attribuzione soggettiva delle condotte si deve richiamare in sintesi lo sviluppo della questione dell’uso della Rete come strumento giornalistico.

Nella ricostruzione sinora prevalente in giurisprudenza di merito (leading case: G.i.p. Tribunale Oristano, sent. 25 maggio 2000, n. 137) e di legittimità (Cass, V, n. 1907 del 16 luglio – 1° ottobre 2010) si è negata l’’assimilabilità della comunicazione giornalistica su Internet a quella tradizionale della carta stampata. L’argomento principe è di tipo testuale, con riferimento al contenuto dell’art. 1 L. 8 febbraio 1948, n. 47 e dell’art. 57 c.pen., ritenendo che l’eventuale assimilazione sarebbe frutto di estensione analogica *in malam partem*, evidentemente inammissibile in campo penale.

A diversa soluzione si perviene ipotizzando che si tratti invece di mera deduzione interpretativa, non analogica, fondata sull’applicazione di un criterio storico sistematico al citato art. 1 L. 8 febbraio 1948, n. 47.

Dall’esame dei lavori preparatori, che come è noto risalgono all’Assemblea Costituente nella sua attività di legislazione ordinaria, emergono, nella seduta del 6 dicembre 1947, nell’ambito della discussione sull’art. 2 (attuale art. 1) della legge recante disposizioni sulla stampa, tre passaggi illuminanti: il presidente e relatore Cevolotto si preoccupa di richiamare – in termini di disciplina liberale da riacquistare – la L. 28 giugno 1906 n. 278, che limitava gli interventi repressivi “delle edizioni, degli stampati e di tutte le manifestazioni del pensiero”; lo stesso relatore segnala la modifica del testo nel senso di ritenere “stampa” qualsiasi riproduzione ottenuta non con “mezzi meccanico-fisici o chimici” bensì “meccanici o chimico-fisici”; il deputato Colitto chiede e ottiene che non si parli di “riproduzioni impresse” bensì, più largamente, “ottenute”.

Tutto ciò segnala la volontà del legislatore di prevedere, a ogni buon fine, una disciplina che potesse tenere conto del superamento della pura e semplice “impressione con mezzi meccanici” (tale era la primigenia espressione del progetto di legge) di gutenberghiana memoria, rispetto ai progressi della meccanica, della fisica, della chimica; questo progresso ha oggi prodotto una forma di editoria, quella su Internet, del tutto identica (e in alcuni casi anche sostitutiva, con quotidiani on demand, su tablet, editati a domicilio e così via) a quella che produce caratteri impressi su carta; e del resto, a ben vedere, l’informatica e la telematica altro non sono che applicazione combinata di mezzi (di variazioni di stato) meccanici, fisici, chimici; in questo quadro interpretativo la L. 7 marzo 2001, n. 62, non è fonte di “rilettura” della L. 8 febbraio 1948, n. 47, bensì sopravvenienza coerente (nella sua equiparazione tra più prodotti editoriali) con un concetto di stampa idoneo ab origine a ricomprendere la sopravvenienza dei quotidiani o periodici – ora normalmente registrati e oggetto di benefici – su Internet.

Se questo è vero, compete peraltro all’interprete attribuire a un sito Internet, sulla base di caratteristiche intrinseche e fenomeniche, nonché formali (la registrazione) la natura di “stampa”.

Nel caso di specie il sito OMISSIS non ha caratteristiche di informazione ascrivibili alla “stampa” ma costituisce la base per la costruzione di un gruppo settoriale di interesse, composto da scrittori esordienti, o aspiranti tali, mediante la discussione di temi comuni (valga il richiamo a Cass., III, n. 10535 dell’11 dicembre 2008 – 10 marzo 2009).

Ne discendono le conseguenze qui rilevanti.

Quanto alla qualificazione del fatto è corretto da parte del Pubblico Ministero parlare di comunicazione con più persone; sussiste l’aggravante di cui all’art. 595, terzo comma, c.pen. sotto il profilo dell’’utilizzazione di “mezzo di pubblicità”, non sotto il profilo dell’’essere l’’offesa recata “col mezzo della stampa”.

Quanto all’’attribuzione soggettiva di responsabilità all’imputata, essa è diretta, non mediata dai criteri di cui agli artt. 57 ss. c.pen.; la disponibilità dell’amministrazione del sito Internet rende l’imputata responsabile di tutti i contenuti di esso accessibili dalla Rete, sia quelli inseriti da lei stessa, sia quelli inseriti da utenti; è indifferente sotto questo profilo sia l’esistenza di una forma di filtro (poiché in tal caso i contenuti lesivi dell’altrui onorabilità devono ritenersi specificamente approvati dal *dominus*), sia l’inesistenza di filtri (poiché in tal caso i contenuti lesivi dell’altrui onorabilità devono ritenersi genericamente e incondizionatamente approvati dal dominus).

Non è certamente idonea a escludere la responsabilità penale dell’imputata la clausola di attribuzione esclusiva di responsabilità agli autori dei commenti contenuta in un “regolamento” di natura esclusivamente privata per l’utilizzazione del sito (gli autori, semmai concorrono nel reato, ma di essi in questo processo non vi è traccia di identificazione, né sono imputati).

Quanto alla questione, posta dalla difesa, della tardività della querela, sporta nel settembre 2010, rispetto al caricamento progressivo sul sito di contenuti offensivi, iniziato in epoca anche di molto precedente, si deve ritenere che la natura di reato di evento della diffamazione (Cass., V, 21 giugno – 25 luglio 2006, n. 25875, Cass., V, 4 – 17 aprile 2008, n. 1597) associata alla tipicità del mezzo faccia sì che la querela debba ritenersi tempestiva in ragione della effettiva percezione dell’offesa da parte della vittima, in occasione dell’accesso ai contenuti del sito.

La specificità del mezzo, e la lesività estrema e protratta derivante dalla recuperabilità dei contenuti diffamatori in ogni successivo momento (anche attraverso motori di ricerca o reindirizzamenti mediante
link o social network) dalla simultaneità degli accessi al sito, dalla possibile non coincidenza di accesso al sito e fruizione del contenuto eventualmente diffamatorio (cliccabile o non, scaricabile o non, pur in presenza di accertato accesso), fanno sì che, in un contemperamento concreto tra applicazioni meramente processuali del principio di favor rei e necessità di elevato grado di protezione della vittima, non possa negarsi alla stessa di poter sporgere querela, come è nel caso di specie avvenuto, in epoca successiva al caricamento dei contenuti diffamatori sul sito.

Le conseguenze sanzionatorie dei reati – si tratta di più azioni, unite dall’identità di disegno criminoso – possono essere contenute, in ragione della giovane età dell’imputata e di una sua possibile sottovalutazione delle condotte illecite, frutto di una diseducazione di cui essa stessa è vittima, in un contesto sociale di falsamente proclamata liceità di qualsiasi lesione dell’altrui personalità morale, tantopiù se veicolata dai mezzi di comunicazione, scegliendo la pena pecuniaria e applicando a suo favore le circostanze attenuanti generiche, da ritenersi equivalenti alle sussistenti aggravanti.

La pena base di euro milleottocento di multa, va dunque ridotta a euro milleduecento per le circostanze attenuanti generiche; aumentata di euro trecento per la continuazione, ridotta ai sensi dell’art. 442, secondo comma, c.p.p., per la scelta del rito, a euro mille di multa.

Consegue alla condanna il pagamento delle spese processuali.

L’incensuratezza della condannata consente di concedere i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna.

Conformemente alla richiesta presentata dal difensore di parte civile, va riconosciuto alla stessa il risarcimento del danno morale da reato, quantificabile in euro cinquemila, considerato il turbamento causato al soggetto e alla sua attività imprenditoriale, in non breve arco temporale. Va altresì pronunciata condanna al pagamento in favore della parte civile delle spese di costituzione e giudizio, che si liquidano in euro mille (euro trecentosessanta per la fase di studio, euro seicentoquaranta per la fase decisoria).

 

p.q.m.

 

visti gli artt. 438 ss., 533, 535 c.p.p.,

dichiara

L.R. responsabile dei reati ascrittile e, applicate le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti e la diminuente di cui all’art. 442, secondo comma, c.p.p., la

condanna

alla pena di euro mille di multa, oltre al pagamento delle spese processuali;

pena sospesa, non menzione;

Visti gli artt. 538 ss. c.p.p.

condanna

L.R. al risarcimento del danno in favore della parte civile ST, che liquida in euro cinquemila; nonché al pagamento delle spese di costituzione e giudizio che liquida in complessivi euro mille, oltre IVA e CPA.

Indica in giorni quarantacinque il termine per il deposito della motivazione.

Varese, 22 febbraio 2013.

IL GIUDICE DELL’UDIENZA PRELIMINARE
Giuseppe Battarino

 

 

 

 

da altalex.com

 

 

 

Martedì, 09 Aprile 2013
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