In questi giorni, in fondo, non è accaduto niente di particolare.
I soliti incidenti, il solito numero di morti, i soliti pirati in giro
per le strade. Sì, avete capito bene, soliti pirati. E i pirati,
fedeli all’immagine stereotipa che la tradizione mitologica ci tramanda,
sono gente cattiva, che arriva nel cuore della notte sbarcando con le
scialuppe dalle loro feluche ancorate alla rada, piombando sui villaggi
della costa, uccidendo, stuprando e depredando. Mamma, li saraceni!
Lo diciamo, perché è la verità. Noi da mesi teniamo
la cronaca sotto controllo e i nostri referenti di tutte le forze di polizia
pronti a riferirci notizie riguardanti questa ultima emergenza stradale:
la pirateria.
Monitoriamo e immagazziniamo dati secondo i quali ormai, lo affermiamo
con assoluta certezza, non c’è più un giorno senza
che episodi criminali del genere non si verifichino. È un fenomeno
non propriamente nuovo, ma sicuramente incisivo, perché oltre a
creare un condiviso allarme sociale, mette la società davanti ad
un grande dilemma: che fare coi pirati identificati? Credere alle loro
puntuali buone ragioni, ai pentimenti dichiarati ai giudici, far finta
di essere persuasi che in fondo in quei momenti – dopo aver investito
magari due pedoni ed averli lasciati agonizzanti sul selciato – è
possibile perdere la testa?
Gli ultimi giorni sono stati terribili… Violenti, cattivi, spietati:
avremmo addirittura bisogno di creare nuovi aggettivi, di coniare parole
adatte per loro.
I terribili episodi di Brescia e Palermo, da soli, sono più che
sufficienti a rappresentare questo microcosmo che purtroppo sembra ormai
destinato a far parte del sistema strada, che ha avuto perfino necessità
di vedere applicata una modifica del codice penale, alla voce “omissione
di soccorso a seguito di incidente stradale”…
Perfino i più crudeli corsari mostravano maggiore misericordia
di questi moderni predoni della vita, lasciando ai propri nemici più
odiati la possibilità di cavarsela in qualche isola sperduta dei
Caraibi, con una pistola carica – ma di un solo colpo suicida –
ed una fiaschetta d’acqua dolce.
Alle nostre vittime, invece, un colpo secco senza frenata e via, ancora
di nuovo giù con l’acceleratore, come se mettere più
strada possibile con quella tragedia potesse in qualche modo servire a
nascondersi, a non farsi prendere.
Oppure massacrare un uomo colpevole solo di aver difeso la moglie che
aveva tamponato, secondo un cinico nesso casuale. Per i due “giustizieri”,
padre e figlio titolari di un’impresa funebre, sono scattate le manette
per omicidio preterintenzionale… ma siamo sicuri che quel pugno sferrato
al viso del padre di famiglia, ucciso davanti alla moglie ed alla bambina
di 4 anni, non volesse andare oltre il solo colpire? Che vuol dire, in
fondo colpire? Si sferra un pugno per far valere le proprie ragioni? Che
ragioni sono, un graffio alla carrozzeria? Non sarebbe meglio dire omicidio
volontario per futili motivi?
Proviamo ribrezzo a pensare che la strada, oggi, sia meta di queste scorrerie,
sia teatro di sciagure che potrebbero in qualsiasi istante veder coinvolti
noi, i nostri familiari, i nostri amici.
C’è una nuova forma di crimine, allora, con il quale dobbiamo
imparare a misurarci, e che vede davanti a noi un nemico insidioso, che
potrebbe davvero essere il vicino della porta accanto.
A Zurigo, appena pochi giorni fa, un pirata della strada è stato
condannato a 18 mesi di carcere – senza condizionale – ed alla
confisca dell’automobile: si tratta di una pena che in Svizzera è
stata definita “esemplare” e che il Tribunale Distrettuale di
Zurigo ha dispensato al termine di un dibattimento acceso e sfiancante.
Il Pubblico Ministero aveva chiesto anche di più, spingendo gli
animi – durante l’arringa conclusiva – per ottenere una
pena di 2 anni e 3 mesi di carcere, mentre la difesa (qui in Italia sarebbe
già un successo), aveva ribattuto pretendendo “solo”
4 mesi di prigione.
Ma quello che ci deve far riflettere è che quel pirata della strada
non aveva ancora ucciso nessuno, arrivando solo a commettere – a
più riprese – reati di pericolo per la società: nel
2002, infatti, la Polizia Stradale svizzera lo intercettò nell’autostrada
A1 a ben 193 km/h, in un tratto in cui vige la limitazione di 80 all’ora.
Lampeggianti e sirene non servirono, e il pirata scappò per ben
10 chilometri alle pattuglie, senza mai scendere sotto i 180, fino a quando
un imponente blocco pose fine al tentativo di fuga. Gli agenti, quando
lo presero, scoprirono che era una vecchia conoscenza della Stradale,
con la patente già ritirata per la stessa ragione e con altri procedimenti
a carico per infrazioni al codice svizzero: un recidivo, dunque, di quelli
che noi non riusciamo a tener lontani dal sistema “strada”.
Proprio la recidiva reiterata e specifica, ha indotto i magistrati giudicanti
del Tribunale di Zurigo a imboccare la strada della pena esemplare, adottando
una linea dura che, almeno nelle aspettative, dovrebbe avere un effetto
dissuasivo nei confronti della pirateria elvetica. “La confisca della
vettura e la sua vendita – aveva dichiarato il Ministero Pubblico
Jürg Boll – hanno un carattere fortemente dissuasivo e dovrebbero
imporsi anche a livello di Tribunale federale”. Il bolide utilizzato
per le scorrerie del giovane pirata, esattamente come le feluche date
alle fiamme dopo la cattura dei corsari settecenteschi, è già
stato acquisito al patrimonio dello stato dopo essere stato sequestrato
al pari di una qualsiasi “arma del delitto” e rivenduta. I proventi
dell’asta, in caso di atti di pirateria con vittime, potrebbero servire
anche – esattamente come chiesto dall’Asaps in questi giorni
di particolare violenza stradale – come primo risarcimento alle famiglie
di chi resta.
Ma non perdiamo di vista i nostri fratelli svizzeri: la battaglia contro
la violenza stradale non è limitata alle azioni di un pugno di
magistrati. Nella miglior tradizione calvinista, infatti, l’ordine
resta una priorità del governo federale elvetico, tanto che il
giro di vite è sempre più serrato: a Lucerna i vertici della
Polizia Cantonale hanno chiesto al Dipartimento della Giustizia Cantonale
di disporre la rottamazione delle vetture sequestrate a seguito di reati
stradali particolarmente gravi (per pericolo), mentre a Basilea sembra
essere già consolidata la tendenza di vendere all’incanto
le automobili sequestrate.
In Italia, solo a Treviso regge per ora la tesi del veicolo come arma
del delitto, sequestrato in caso di procedimenti penali contro conducenti
sorpresi al volante in stato di ebbrezza. Un gesto isolato, su cui pesano
acredini e polemiche: se una misura non è condivisa, difficilmente
potrà tenere a lungo. Nel frattempo ringraziamo i magistrati veneti,
e quelli che hanno intrapreso strade analoghe, per il loro coraggio e
la loro determinazione.
Torniamo però alla Svizzera. Il tema “pirati della strada”
è stato – in questi ultimi giorni – estremamente dibattuto,
anche in chiave più strettamente politica, cavalcato dalla parte
politica che si è battuta contro la naturalizzazione – messa
ai voti – dei cittadini stranieri di seconda e terza generazione.
Questo perché nel paese dei Cantoni, la statistica ha evidenziato
che la maggior parte degli atti di pirateria ha visto la partecipazione
attiva di cittadini extracomunitari (se così si può dire
in Svizzera), soprattutto quelli di origine balcanica: possibile?
Anche in Italia – va detto senza timori – il problema di una
verifica dei requisiti minimi delle cosiddette “altre patenti”,
quelle cioè conseguite all’estero, è effettivamente
consistente, e negli speciali osservatori dell’Asaps istituiti per
monitorare i casi eclatanti di pirateria o di aggressione alle divise,
non è sfuggita una congrua partecipazione di cittadini dell’est
– ma anche del nordafrica o dell’america latina – alla
commissione di reati stradali o di gravissime violazioni al codice.
Nella confederazione, va detto, lo stereotipo del pirata extracomunitario
dei paesi orbitanti alla ex Unione Sovietica è stato notevolmente
amplificato dall’esibizione in un canale televisivo locale di un
pirata straniero, che ha vantato le proprie prodezze nel corso di una
popolare trasmissione, suscitando lo sdegno collettivo, in alcuni casi
con reazioni addirittura xenofobe, ed attirando su di sé anche
l’attenzione della Polizia Stradale e dei magistrati, che lo attendevano
fuori degli studi televisivi e che gli hanno immediatamente ritirato la
patente, indagandolo per reati stradali che potrebbero costargli –
appunto – tre anni di carcere e 40mila franchi di multa.
La recente campagna mediatica varata dal Touring Club Svizzero (TCS) è
però estremamente indicativa del clima di condivisione della battaglia.
Questo perché la classe dirigenziale elvetica ha immediatamente
colto i casi più eclatanti facendo proprie le necessità
d’intervento, reagendo al pericolo che certi isolati atteggiamenti
trasgressivi potessero in qualche modo divenire costume consuetudinario:
il fenomeno delle corse clandestine, con l’intervento della Polizia
che ha sgominato una banda nella zona portuale di Basilea, o i due 17enni
arrestati rispettivamente a Zurigo, in A1 dove uno di loro era stato intercettato
a 234 chilometri orari ed a Losanna, al termine di un inseguimento nelle
strade della città.
Comunque, senza stare a riportare la lista degli episodi, l’emergenza
si è fatta sentire nelle stanze dei bottoni, tanto che lo stesso
Ministro dei Trasporti Moritz Leuenberger, lo stesso che spinge per abbassare
i limiti di velocità in autostrada (!), ha dichiarato al settimanale
SonntagsZeitung, che chiederà l’adozione di “misure più
repressive nei confronti dei conducenti che violano sistematicamente i
limiti di velocità”. Entrando nello specifico, il ministro
parla sì di confiscare le armi del delitto, i veicoli, ma anche
di detenzione preventiva. Tanto per chiarire quale sia il clima in Svizzera,
i magistrati non si sono fatti pregare, e si registrano già –
a Zurigo – casi di detenzione preventiva contro pirati della strada
recidivi.
Nelle immagini di corredo a questo articolo, riproduciamo – per gentile
concessione del TCS – i manifesti della campagna elvetica contro
la pirateria, promossa in collaborazione con SGA e l’agenzia pubblicitaria
“Publicis”.
Secondo Jean Marc Thévenaz, capo del dipartimento TCS sicurezza
stradale, il club punta con la campagna ad avvisare i pirati della strada
sulle conseguenze del loro modo di guidare.