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Il Belgio e i motociclisti: “le dueruote sono pericolose? E allora scopriamo perché”
Un incredibile (e semplicissimo) studio condotto dalle autorità su 200 incidenti, 100 dei quali mortali, scopre “l’acqua calda”: velocità, strade, ostacoli e abbigliamento…
Perché non farlo anche noi?

Di Lorenzo Borselli
Foto di repertorio dalla rete

(ASAPS) BRUXELLES, 1 luglio 2012 – Se in Francia i motociclisti non se la passano troppo bene, in termini ovviamente di sicurezza (clicca qui), anche in Belgio la situazione non è proprio rosea. E se nell’Esagono francese il rischio di un motard di farsi male è 27 volte più alto rispetto a un automobilista, nel territorio di re Alberto II il fattore di pericolo, sempre rispetto agli altri conducenti di veicoli a motore, è ritenuto superiore di 12 volte: nel corso del 2012, più di 100 motocilisti hanno infatti perso la vita nel piccolo stato federale, mentre il numero di feriti ha superato le 500 unità.
Lo rivela la prima edizione del “Motac” – acronimo di MOTorcycle Accident Causation – uno studio recentemente perfezionato a Bruxelles dagli esperti dell’IBSR, l’Istituto Belga per la Sicurezza Stradale interamente dedicato al tema delle dueruote, il cui risultato offre spunti interessantissimi per le autorità locali in materia di strategia di contrasto a questa forma di sinistrosità che, purtroppo, rende il biker una vittima prediletta della violenza stradale.
“Motac” – cofinanziato da SPF Mobilité et Transports, un’agenzia (Servizio Pubblico Federale) che in stile “Enac” analizza ogni aspetto della mobilità del paese – ha potuto contare su un pool di esperti, selezionati tra l’engineering, il law-enforcement e il soccorso sanitario e tecnico, e su un dossier costituito da 200 fascicoli giudiziari relativi a sinistri mortali o gravi, tutti avvenuti in Belgio tra il 2009 e il 2010 e tutti consegnati per l’analisi dagli uffici dei pubblici ministeri.

 

Lo scopo dello studio è semplice: determinare le cause o i fattori di aggravio nei sinistri motociclistici e stabilire una serie di quadri “tipo” sui quali intervenire. Un esempio semplicissimo: una moto esce di strada in una curva e il conducente perde la vita. Qual è la causa della perdita di controllo? Velocità? Degrado dell’asfalto? Concorso di questi fattori o per la presenza di altri veicoli? E il conducente, è morto per l’impatto diretto sul terreno o per impattato contro ostacoli tipo pali, muretti, rail, marciapiedi o alberi?
Insomma, distinzione tra causa di incidente e causa di lesione o morte, come da anni predica il presidente dell’AMI Marco Guidarini, che insieme all’ASAPS cerca di inculcare in testa che quando si cammina nella trincea della strada il rischio è molteplice, dal cecchino (il pirata della strada, l’alcol e la droga, la velocità o più generalmente il comportamento umano dell’attore o della controparte) alla mina antiuomo (ostacoli fissi in genere) fino al bombardamento a tappeto (degrado della strada).
Ciò che si aggiunge alle informazioni classiche, nello studio belga, sono le caratteristiche delle vittime e dei veicoli condotti come l’età, la professione, il grado di abilità quando accertabile e il tipo di moto, secondo un’inedita ripartizione, per quanto logica, in sei categorie: sportive, stradali, basiche, leggere e scooter, custom e fuoristrada.
Alle informazioni note fa eco una congrua serie di notizie impossibili da accertare, come ad esempio il colpo di sonno.
L’uniformità dei rilievi effettuati dalla polizia, che nel 30% dei casi sono stati integrati da perizie di esperti nominati dalle autorità giudiziarie, ha comune reso il campione dei 200 casi sufficientemente rappresentativo per lo studio, che è così pienamente considerabile uno spaccato aderente alla realtà.

Il ruolo del motociclista: spesso è la vittima “corresponsabile”
Il 35% degli incidenti è autonomo, senza il coinvolgimento di altri veicoli, ma il dato che più di altri ci sembra importante è che in base alle analisi e ai rilievi, il 90% di questi sinistri è stato “provocato” dal motociclista stesso (ad esempio l’errore di manovra nel corso di una frenata o una sbandata) mentre il restante 10% non è attribuibile ad alcuna causa conosciuta
Più della metà dei sinistri autonomi – il 58% – è  avvenuto in curva (21 a sinistra e 16 a destra), mentre un solo incidente di questa tipologia è avvenuto in prossimità di un incrocio: in questo caso, ovviamente, la causa della perdita di controllo resta sconosciuta e potrebbe essere attribuita a un colpo di sonno come a un pirata della strada.
Il 65% degli incidenti motociclistici, invece, vede la collisione con un altro veicolo: nel 17% dei casi è avvenuto all’uscita del veicolo antagonista da una proprietà privata, mentre nel 42% i rilievi sono stati effettuati a un incrocio; solo il 13% dei sinistri pluriveicolari è avvenuto in una curva: 2 su 3 in una curva a destra.
Quando si parla di incidente stradale tra veicoli, ci si riferisce al prodotto di una somma di cause che inizia con la condotta di uno dei conducenti che trasforma una situazione di normalità in una di crisi; con la stessa logica – che noi della Stradale conosciamo bene – possiamo definire corresponsabile in un incidente anche il conducente la cui condotta non possa dirsi idonea ad evitare la dinamica d’impatto generata dall’altro o che ne aggravi comunque le conseguenze. Il caso più classico è quello di due veicoli che si scontrano in un rettilineo: una delle due invade la corsia dell’altro, ma se l’altro la percorre a velocità elevata non potrà evitare l’impatto e le conseguenze saranno tanto più gravi quanto più alta è la sua velocità.
I dati del Belgio dicono che il 62% degli incidenti tra moto e altri veicoli sono stati sicuramente scatenati dalla controparte ma emergono elementi di corresponsabilità dei centauri destinati purtroppo a gravare in maniera infausta sull’esito dello scontro almeno in 1 caso su 3: lo stesso rapporto (1:3) è stato rilevato nei casi di incidente tra auto e altri veicoli nei quali sia stato invece il motociclista a innescare l’urto (il 38%).
Interessante sfogliare le pagine riguardanti le cause d’incidente dichiarate o accertate dai conducenti dei veicoli venuti a impatto con una moto: non hanno visto il motociclista (54%) e hanno sottostimato la velocità con cui la moto sopraggiungeva (10%); dal canto loro, i biker hanno effettuato una manovra senza segnalarla con anticipo (52%),  hanno compiuto un sorpasso vietato o tenuto una velocità eccessiva in curva (15%) o semplicemente non hanno visto la controparte (11%).

Lo scenario “tipo” del sinistro
La maggior parte dei sinistri con moto avviene fuori dell’agglomerato urbano (65%) e su strade senza incrocio, mentre il numero di incidenti in prossimità di crocevia è sostanzialmente identico in area extraurbana e in quella urbana.
Per andare in  moto ci vuole il bel tempo e infatti è proprio tra aprile e luglio che il barometro della sinistrosità si oppone al sole: il 62% degli incidenti si verifica tra la primavera e la piena estate e quasi sempre in assenza di precipitazioni atmosferiche (92%).

Biker: profilo di una vittima
Tra i 200 incidenti presi in esame, ci sono 108 vittime (102 motociclisti o passeggeri della moto, 5 ciclisti o pedoni, 1 automobilista) e 101 feriti gravi (98 motociclisti o passeggeri della moto e 3 altri utenti): il 98% dei centauri uccisi sulla strada sono di sesso maschile e solo 4 fascicoli analizzati dal Motac ha visto una donna protagonista. Gli esperti tengono a sottolineare che in tutti e quattro i casi, le motocicliste sono state vittima di scontri pluriveicolari con responsabilità ascrivibile alla controparte.
L’età media dei biker coinvolti in incidenti, invece, è di 40 anni, ma le proiezioni più approfondite rivelano che la fascia anagrafica tra i 25 e i 34 anni è quella più a rischio morte e inoltre che i neopatentati, nonostante rappresentino solo l’8% della categoria sono pesantemente coinvolti  nei sinistri con lesioni o morte.

La differenza tra motoveicolo e moto
Tra moto e moto c’è differenza, non trovate? Cosa può avere in comune uno scooterone con una simil-superbike? Ve lo diciamo noi: nulla.
Eppure in Italia, dove non si distingue in realtà nemmeno tra feriti e feriti gravi, dueruote sono dueruote e basta e nessuno si sogna, nemmeno su studi specifici, di operare differenze. A dirla tutta, nemmeno l’Istat (che continua a non annotare i dati relativi alle ebbrezze) fornisce i dati regionali divisi per categorie di veicoli.
In Belgio, lo studio Motac ha suddiviso la categoria dei motoveicoli in 6 classi: sportive, stradali, basiche, leggere e scooter, custom e fuoristrada.
La necessità di fare una differenza è chiara: chi usa uno scooter non lo fa in genere per divertimento o turismo (fatta salva la categoria dei maxi) e ha bisogno di attenzioni e politiche del tutto diverse da quelle di un rider puro, che magari si veste come un pilota per risalire un passo. Per limitare lo scooter, forse (ma lo diciamo noi a solo titolo esemplificativo), basterebbe potenziare o rivedere il trasporto pubblico.

Velocità, alcol e altro…
Il 36% dei centauri feriti o uccisi viaggiava troppo forte, ma nel 44% dei fascicoli non è stato possibile "dichiarare” con esattezza la velocità precisa alla quale cui il conducente procedeva: è opinione degli esperti che 1 centauro su due viaggiasse troppo forte. Potremmo qui chiamare in causa uno studio francese (mai che si possa citare lo stivale, nda) secondo il quale la velocità non commisurata o eccessiva del motard è causa diretta del 45% d’incidente autonomo, incidenza che scende al 23% nel caso degli autoveicoli.
Il rischio legato alla velocità è perfettamente delineato nel numero dei casi in cui la velocità è risultata il fattore decisivo (di causa o concausa): il 21% dei motociclisti feriti gravemente viaggiava troppo forte, ma tra quelli uccisi la percentuale sale al 50%.
E poi, la velocità alta è generalmente causa di un triplo rischio per il motociclista: perde il controllo, non può frenare ed è meno visibile per gli altri conducenti (ricordiamo la precedenza di fatto, clicca qui)
Sbagliare, in moto, è vietato: eppure il 20% dei motociclisti sottoposti a test dopo un incidente è da considerare positiva. Si tratta, purtroppo, di un dato empirico, visto che nel 2010 nessun analisi tossicologica è stata effettuata sui casi esaminati.

Conclusioni
Lo studio prosegue con miriadi di dati, che vanno dal costo sociale ai punti detratti e alle possibilità di pianificare strategie anche in relazione alla tipologia e quantità di infrazioni commesse, passando per la formazione del conducente e le campagne che dovrebbero essere intraprese fino ad arrivare alla necessità di modificare strade e procedure.
Insomma, conoscere per cambiare.  Come dice da sempre l’ASAPS.

 

 

 


 

Giovedì, 04 Luglio 2013
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