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Corte di Cassazione 11/06/2013

Equiparazione droghe leggere-pesanti: la Cassazione rimette alla Consulta

(Cas. Pen, sez. III, del 11 giugno 2013 n. 25554)

Anche la giurisprudenza di legittimità, (seppur in ritardo rispetto a quello di merito) prende positiva posizione sul tema della ipotizzata incostituzionalità della L. 49/2006 che ha profondamente (e per taluno in maniera surrettizia e contraddittoriamente) modificato il regime sanzionatorio e le norme penali in materia di stupefacenti.

Dopo l'intervento della Sesta Sezione della Corte di Cassazione (sent. n. 18804/13 del 28 febbraio/29 aprile 2013)[1], che, recentemente, aveva dichiarato manifestamente infondata la duplice questione di legittimità costituzionale, denunziata, sia in relazione all'iter di approvazione della L. 49/2006, sia riguardo allo specifico profilo dell'art. 73 dpr 309, interviene la Terza Sezione, con una pronunzia particolarmente interessante, non solo perchè di segno totalmente opposto alla prima, ma anche per la ricchezza e la corretta profondità della disamina operata.

Senza volere sottrarre al lettore il piacere di scorrere l'ampio testo dell'ordinanza, che permette – anche per chi non è più fresco di tali studi – una utile full immersion nei principi, sempre attuali, del diritto costituzionale, appare immediatamente evidente che l'approccio dei giudici di legittimità è teso a non lasciare nessuna zona di ombra in materia.

L'ordinanza in parola costituisce, quindi, la migliore e più plausibile antitesi alla sentenza di rigetto sopra citata, proprio perchè affronta, senza remore di sorta, l'argomento della costituzionalità, sia dell'art. 73 – nello specifico – sia dell'intero complesso normativo della legge 49 del 21 febbraio 2006, quale momento di conversione del DL 30 dicembre 2005 n. 272.

Pregevole appare lo sviluppo sistematico-argomentativo, giacché il Collegio prende atto della proposizione di tre dubbi di costituzionalità che possono sinteticamente ricondursi

 1   alla dedotta assenza dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza (previsti dal comma 2 dell'art. 77 Cost.) dell'art. 4 bis dl 272/2005 nel suo assetto originario, oltre  che alla carenza dell’ulteriore carattere dell’omogeneità (sia oggettiva-materiale, che funzionale-finalistica) atteso, per converso, l'evidente eterogeneità ed autonomia delle materie inserite in tale decreto-legge;
  2  alla dedotta assenza dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza (previsti dal comma 2 dell'art. 77 Cost.) dell'art. 4 bis dl 272/2005, ove esso apporta modifiche all'art. 73 dpr 309/90.

Tali presupposti non sono, infatti, stati invocati in sede di conversione, in quanto, a fronte di un testo originario legislativo di specifica, limitata e circoscritta portata, si sono introdotti, addirittura, ben 23 articoli concernenti gli stupefacenti.

Difetterebbe, inoltre, sull'abbrivio di tali considerazioni anche il requisito della omogeneità e coerenza interna, connotato essenziale che collega in un unicum D.L. e relativa L. di conversione;

   3 al dedotto inadempimento del legislatore italiano a rispettare gli obblighi normativi di natura comunitaria (governati dall'art. 117 comma 1 Cost.), che nella fattispecie sono individuabili in alcune specifiche determinazioni contenute nella decisione 757/GAI/2004.

 Dopo avere preliminarmente delineato i compiti del giudice dinanzi alla proposizione di una questione di legittimità costituzionale, una volta, indi, accertata la pertinenza e rilevanza della questione sollevata, rispetto alla fattispecie trattata nel giudizio, la Suprema Corte giunge ad affrontare il tema sotto il profilo contenutistico.

Pur tralasciando di ripercorrere pedissequamente il complesso iter argomentativo sviluppato dai giudici di legittimità, non si può non rilevare che emerge pacifica la circostanza che l'ordinanza coglie – prima facie - la “profonda distonia di contenuto, di finalità e di ratio tra il decreto legge n. 272 del 2005 in generale, e anche tra le disposizioni dell'art. 4 in particolare, e le nuove norme introdotte in sede di conversione con le quali è stata sostanzialmente posta una nuova disciplina a regime sulle sostanze stupefacenti...”.

Sulla base di questo convincimento, la Corte sviluppa, poi, ulteriori significative considerazioni (tra tutte il rilevante numero di articoli – 23 – aggiunti in legge di conversione) che corroborano il sospetto di costituzionalità sollevato ex parte e recepito dal giudice.

Viene, così, evidenziata la necessaria coincidenza – concreta e teleologica - fra l'oggetto del DL e le norme che vengano inserite ex novo nella fase della conversione in legge dello stesso.

Nel caso concreto, il Collegio ravvisa la “totale estraneità delle nuove norme rispetto all'oggetto ed alle finalità del decreto-legge”, situazione che venne ad evidenziarsi anche in sede parlamentare (V. pg. 16 ordinanza) e che può essere desunta agevolmente per implicito, ad avviso della S.C., dalla nuova titolazione della L. 49/2006, la quale ha aggiunto all’originale  indicazione anche le inedite parole “e modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309”.

Si verte, pertanto, in ipotesi del cd. “abuso della prassi”.

Tale vizio si ravvisa quando si sia in presenza della scelta (opinabile) del Governo di introdurre “un maxi-emendamento innovativo rispetto al contenuto originario del decreto legge, al fine di sostituire parzialmente od interamente il testo e sul quale sarà poi posta la questione di fiducia.”

Deriva, quindi, dalle considerazioni richiamate, per la Corte di legittimità, il primo sospetto di incostituzionalità della novella del 2006.

In via subordinata alla questione sin qui tratteggiata i giudici esaminano il dedotto profilo dell’assenza del presupposto della necessità ed urgenza, in riferimento all’art. 77 Cost ..

Tale eccezione trova il proprio fondamento prodromico nella denegata eventualità che il Giudice delle leggi dovesse ritenere che, nella fattispecie, sussista, comunque, quel carattere di omogeneità fra DL e legge di conversione, che la eccezione principale riterrebbe esclusa.

In buona sostanza, il difetto del duplice requisito (necessità ed urgenza) – previsto dal comma 2° dell’art. 77 Cost. – risulterebbe, comunque, evidente, posto che (in conformità ai principi sanciti dalla sentenza della Corre Costituzionale n. 171 del 2007) è principio incontroverso che il decreto legge deve sempre subire uno scrutinio di legittimità, non apparendo possibile ed ammissibile l’affermazione secondo la quale la legge di conversione sia idonea a sanare in qualche modo i vizi del decreto stesso.

Osserva, infatti, in modo del tutto condivisibile, l’ordinanza in commento – richiamando la giurisprudenza costituzionale formatasi anche in epoca successiva alla citata sentenza del 2007[2] - che ammettere una tale facoltà emendatrice, significherebbe creare una situazione di conflitto di attribuzioni fra Parlamento e Governo, nello svolgimento dell’attività normativa.

Dirimente sul punto è apparso, poi, il richiamo alla sentenza n. 22 del 2012, la quale, nel caso concreto, si segnala come pertinente, in quanto ha rinforzato “il collegamento funzionale tra i due atti (DL e legge n.d.a.) alla stregua delle tesi più tradizionali che vedevano la legge di conversione come <> alla disciplina adottata dal governo”.

Su tali premesse, la Corte conclude nel senso di ritenere non manifestamente infondato il lamentato difetto del duplice requisito della necessità ed urgenza, traendo anche dall’esame dei lavori parlamentari, ulteriore argomento a sostegno  dell’accoglimento dell’eccezione di incostituzionalità.

Il ragionamento sviluppato dai giudici di legittimità comporta, dunque, la conseguenza che tutti quegli altri distinti e specifici aspetti, involgenti la violazione dell’art. 117 Cost., in relazione alla denunziata discrasia fra normativa interna e normativa comunitaria in materia di stupefacenti, riguardando una specifica norma (l’art. 73 commi 1, 1 bis e 5) del più ampio complesso legislativo, accusato in radice di incostituzionalità, devono essere ritenuti assorbiti nella questione principale e genetica, così sollevata.

L’ordinanza appare, dunque, ictu oculi veramente convincente sul piano della prospettazione dei quesiti ed indubbiamente meditata in ordine alle argomentazioni che formano la trama di supporto della complessiva questione.

Non va dimenticato, però, che al di là del profilo giuridico, il quale, a lume di logica e di ragione, dovrebbe costituire, l’esclusivo aspetto in base al quale addivenire ad una decisione, viene agitata - di chi si oppone all’accoglimento delle eccezioni in più sedi sollevate – una più profonda e sottile questione di politica criminale, la quale viene privilegiata per la manutenzione della Legge sugli stupefacenti, così novata, in funzione di esigenze di tutela sociale e di indiscriminata repressione proibizionistica.

In concreto, taluno sostiene che non si possa sacrificare la sostanza alla forma, anche se questa dovesse non apparire corretta.

Ritiene chi scrive – nutrendo la soddisfazione di constatare che la Suprema Corte, con l’ordinanza in commento, ha, autorevolmente, confermato quelle osservazioni svolte dal sottoscritto in numerosi commenti pubblicati in tempo non sospetto – che, nella fattispecie, non si tratti di una mera contrapposizione dialettica fra forma e sostanza.

Nel caso di specie, invece, la posta in gioco è certamente più alta.

Il giudizio di costituzionalità involge, infatti, il modo e lo stile delll’opera legiferativa dei nostri Governi in materia di stupefacenti, argomento dove – pur dovendo superare la sterile inconcludenza e la esclusiva autoreferenzialità di numerose iniziative pseudo normative – non si deve mai avere timore di discutere concretamente ed approfonditamente, per giungere nel più breve tempo possibile a risultati tangibili ed a soluzioni serie e strutturali.

Dalla Corte Costituzionale è, dunque, lecito attendersi un intervento  coraggioso, netto, che ricusi logiche compromissorie; quindi, una decisa indicazione agli organi competenti istituzionale su come si deve legiferare.

Se la riforma del 2006 fosse ritenuta non conforme ai vigenti principi costituzionali, non si deve, dunque, nutrire alcuna preoccupazione al ripristino della normativa precedente, questo è il vero senso dell’ordinanza della Terza Sezione.

(Altalex, 9 luglio 2013. Nota di Carlo Alberto Zaina. Per approfondimenti sul tema, si consiglia il volume "Disciplina penale degli stupefacenti. Condotte, sanzioni, profili processuali" di Simone Marani, Altalex Editore, 2012.)

_______________

[1]    Cfr. Questione ''cannabis'': profili di conformità costituzionale ed europea, Cassazione Sez. VI, sentenza 29.04.2013 n° 18804, su www.altalex.com e su http://www.diritto.it/.

[2] Ad adiuvandum vengono richiamate sia la sent. 128/2008, che la 355/2010, entrambe emesse dalla Consulta.

 

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III PENALE

Sentenza 9 maggio - 11 giugno 2013, n. 25554


(Presidente Squassoni – Relatore Franco)

Ritenuto in fatto

 

 

1. Con sentenza del 27 gennaio 2012 la corte d'appello di Trento confermò la sentenza emessa il 24 marzo 2010 dal giudice del tribunale di Trento, che aveva dichiarato M.V. colpevole del reato di cui all'art. 73, comma 1, d.p.R. 309 del 1990, per essersi, in data ..., rifornito con L.A. di un quantitativo di circa kg. 3,860 di sostanza stupefacente di tipo hashish, poi trasportato da ... a ... sulla sua auto, e lo aveva condannato, con le attenuanti generiche, alla pena di anni 4 di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa (pena base: anni 6 di reclusione ed Euro 26.000,00).

2. L'imputato, a mezzo dell'avv. Michela Porcile, propone ricorso per cassazione deducendo:

2.1 contraddittorietà della motivazione sulla sua responsabilità in quanto: -la sua partecipazione al viaggio era stata parziale e il L. gli aveva celato l'acquisto e l'identità del fornitore; - i verbali di arresto e di sequestro contenevano meri elementi indiziari da cui non si ricavava una interpretazione univoca dei fatti; - le foto mostravano che il L. non aveva occultato lo zainetto ma lo teneva tra le gambe; - era viziata la motivazione con cui si respingeva l'istanza di rinnovazione del dibattimento; - la deposizione dell'ispettore di polizia e le intercettazioni telefoniche erano inconferenti.

2.2 vizio di motivazione sul mancato riconoscimento della attenuante del fatto di lieve entità di cui all'art. 73, comma 5, d.p.R. 309 del 1990.

2.3 mancata riduzione della pena, con la concessione della sospensione condizionale.

3. L'avv. Michela Porcile, in prossimità dell'udienza, ha depositato una lunga ed articolata memoria con la quale eccepisce la illegittimità costituzionale dell'art. 4-bis del decreto-legge n. 272 del 2005, come introdotto dalla legge di conversione n. 49 del 2006, in riferimento agli artt. 77, secondo comma, e 117, primo comma, Cost..

Ricorda che il testo originario dell'art. 73 del d.p.R. 309 del 1990 prevedeva due distinti reati a seconda dell'oggetto materiale della condotta: i primi tre commi riguardavano le c.d. droghe pesanti, ossia le sostanze elencate nelle tabelle I e III dell'art. 14, prevedendo (per l'ipotesi di cui al comma 1) la pena della reclusione da 8 a 20 anni e della multa da Euro 25.822 a Euro 258.228, mentre il quarto comma riguardava le c.d. droghe leggere, ossia le sostanze catalogate nelle tabelle II e IV dell'art. 14, prevedendo la pena della reclusione da 2 a 6 anni e della multa da Euro 5.164 a Euro 77.468. L'impianto della normativa era quindi costruito sulla dualità droghe pesanti - droghe leggere, con due circuiti separati in base alla qualità della sostanza stupefacente, il che, secondo la difesa, corrisponderebbe anche alla soluzione indicata dalla decisione quadro 2004/757/GAI del Consiglio del 25.10.2004. Questo sistema è stato stravolto dalle modifiche normative apportate al d.P.R. 309 del 1990, ed in particolare all'art. 73, dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49 (di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272), con le quali è stata soppressa la distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere; è stata prevista (al posto delle precedenti quattro) una sola tabella in cui sono convogliate tutte le sostanze stupefacenti; ed è stata prevista per tutte le condotte indicate nei commi 1 e 1 bis ed indistintamente per tutte le sostanze (anche per quelle in precedenza qualificate droghe leggere) la pena della reclusione da 6 a 20 anni e della multa da Euro 26.000 a Euro 260.000.

La difesa, quindi, eccepisce che queste modifiche portate in sede di conversione in legge sono incostituzionali in riferimento all'art. 77, secondo comma, Cost., per come interpretato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di decretazione d'urgenza e, da ultimo, dalla sentenza n. 22 del 2012. Ricorda che il decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, composto di soli sei articoli, recava misure urgenti dirette a garantire la sicurezza e il finanziamento per le prossime Olimpiadi invernali di Torino, la funzionalità della amministrazione dell'interno, ed il recupero di tossicodipendenti recidivi. Con la legge di conversione furono però approvati emendamenti che hanno introdotto nel decreto ben 23 nuovi articoli relativi alla disciplina delle sostanze stupefacenti, e hanno inciso profondamente sul testo dell'art. 73 d.p.R. 309 del 1990, eliminando la distinzione delle sostanze vietate in base alla loro nocività e portando un consistente aumento di pena per le condotte relative alle c.d. droghe leggere.

La difesa ricorda che la sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 2012, concludendo un percorso iniziato con la sentenza n. 29 del 1995 (che aveva ammesso il sindacato di costituzionalità sul presupposto del “caso straordinario di necessità e di urgenza”) e proseguito, tra l'altro, con le sentenze n. 171 del 2007 e n. 355 del 2010 (che avevano distinto fra le disposizioni aggiunte in sede di conversione che non siano del tutto estranee rispetto al contenuto della decretazione d'urgenza e quelle che siano eterogenee rispetto a tale contenuto) ha ritenuto illegittime, per violazione dell'art. 77, secondo comma, Cost., le norme inserite nel corpo del decreto-legge attraverso emendamenti approvati con la legge di conversione, che non facevano parte ab origine del testo del decreto e che siano del tutto estranee alla materia ed alle finalità del medesimo.

3.1. Ciò premesso, la difesa esprime un primo dubbio di legittimità costituzionale del citato art. 4-bis del decreto-legge n. 272 del 2007, sotto il profilo della mancanza, nell'ipotesi in esame, del caso straordinario di necessità e di urgenza che legittimi la decretazione di urgenza nel suo assetto originario. Osserva che nella specie il difetto di questo requisito sarebbe “evidente” e non potrebbe ritenersi sanato dalla approvazione della legge di conversione perché tale mancanza, una volta intervenuta la conversione, si traduce in un vizio del procedimento della relativa legge (sentenze nn. 29 del 1995, 341 del 2003, 171 del 2007). Rileva inoltre che la mancanza del requisito emerge anche dalla circostanza che il decreto-legge n. 272 del 2005 non è dotato della necessaria caratteristica della omogeneità, né sotto il profilo dell'oggetto (omogeneità oggettivamateriale) né sotto quello delle finalità (omogeneità funzionale-finalistica), come risulta dalla sua stessa rubrica, relativa ad una pletora di materie distinte ed al perseguimento di almeno due distinte finalità (garantire i finanziamenti ed il sicuro svolgimento delle olimpiadi invernali e favorire il recupero dei tossicodipendenti recidivi, finalità quest'ultima che peraltro mancava palesemente del requisito dell'urgenza dato che le olimpiadi invernali dovevano svolgersi dopo poco più di un mese). Rileva anche che il caso straordinario di necessità e di urgenza deve essere uno e singolo per ogni decreto-legge e che l'omogeneità tele-ologica non può essere spezzata, come invece avviene con evidenza fin dalla rubrica del decreto-legge n. 272 del 2005.

3.2. La difesa prospetta quindi un secondo dubbio di legittimità costituzionale in relazione all'art. 4-bis del decreto-legge n. 272 del 2005, nella parte in cui reca modifiche all'art. 73 del d.P.R. 309 del 1990. Ricorda che il disegno di legge di conversione fu presentato al Senato arricchito da un maxiemendamento di spropositata ampiezza, il cui oggetto non coincideva, nemmeno alla lontana, con quello del decreto-legge, ne stravolgeva il contenuto e ne faceva venire meno la già dubbia omogeneità e coerenza interna con l'introduzione di ben 23 articoli dedicati alla materia degli stupefacenti e comportanti una complessa revisione del d.P.R. 309 del 1990. Gli articoli da 4-bis a 4-vicies ter condensano il contenuto del disegno di legge S-2953 da tempo rimasto arenato al Senato, dopo un lungo e molto ricco percorso legislativo. Ciò evidenzia in modo inconfutabile che si tratta di normativa carente del requisito dell'urgenza e della necessità, del resto mai nemmeno invocato in sede di conversione. Secondo il ricorrente, la natura di “normativa a regime, del tutto slegata da contingenze particolari, inserita tuttavia nella legge di conversione di un decreto-legge”, che non fa riferimento a “situazioni già esistenti e bisognose di urgente intervento normativo, ma in via generale e ordinamentale per tutti i casi futuri” (cfr. sent. n. 22 del 2012) è dimostrata anche dal rinvio contenuto nell'art. 4-bis ad un decreto del Ministro per la salute, da emanarsi di concerto con il Ministro della Giustizia sentita la Presidenza del Consiglio, per la determinazione della soglia quantitativa di sostanza stupefacente oltre la quale la detenzione può essere punita, sicché per l'integrale effettiva operatività della normativa d'urgenza si deve addirittura attendere l'emanazione di un decreto ministeriale. La difesa pertanto ribadisce i dubbi di incostituzionalità per l'evidente insussistenza del caso di necessità e di urgenza e per l'arbitraria disomogeneità delle disposizioni introdotte rispetto al contenuto del decreto-legge. Osserva che, d'altra parte, se l'art. 4-bis non fosse del tutto estraneo rispetto al contenuto del decreto-legge, sarebbe evidente la sua incostituzionalità per l'impossibilità di giustificarlo sotto il profilo della urgenza e necessità.

3.3. La difesa, infine, prospetta un terzo dubbio di legittimità costituzionale dell'art. 4-bis in riferimento all'art. 117, comma 1, Cost., sotto il profilo della rispondenza agli obblighi di natura comunitaria. In particolare, osserva che il detto art. 4-bis, nella parte in cui ha eliminato la dualità di fattispecie incriminatrici a seconda della diversa nocività delle sostanze stupefacenti, si pone in aperta dissonanza rispetto agli obiettivi enunciati nel “considerato 5” e nell'art. 4 della decisione quadro 2004/757/GAI del Consiglio dell'UE, il che determina indirettamente la violazione dell'art. 117, comma 1, Cost. Prospetta altresì l'opportunità di un rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, già art. 234 TCE, alla Corte di Giustizia UE per verificare la compatibilità, in via interpretativa, del citato art. 4-bis rispetto all'art. 4 della detta decisione quadro 2004/757/GAI, nella parte in cui pretende da ciascuno Stato membro la previsione di “pene detentive effettive, proporzionate e dissuasive” in relazione anche al reato di traffico di sostanze stupefacenti, pene già in via indicativa quantificate nel prosieguo del testo normativo. La difesa ricorda inoltre che la proporzionalità delle pene è principio sancito dall'art. 49, comma 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (CDFUE), laddove prevede che “le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato”. Secondo la difesa, l'eliminazione della distinzione tra c.d. droghe leggere e c.d. droghe pesanti e il rilevantissimo aumento delle pene edittali per le condotte aventi ad oggetto le prime, non sarebbe conforme né al principio di proporzionalità rispetto al disvalore espresso dalla condotta incriminatrice né all'esempio di proporzionalità predisposto a livello comunitario, con la medesima decisione quadro, con risposte sanzionatorie differenziate a seconda del grado di offensività della condotta. La difesa ricorda inoltre che, con la trattatizzazione della Carta di Nizza, il principio di proporzionalità è entrato a far parte del diritto primario dell'Unione Europea, vincolante per i legislatori nazionali. 11 citato art. 4-bis, quindi, si porrebbe doppiamente in contrasto col diritto Eurounitario: sia con l'art. 4 della decisione quadro 2004/727/GAI, sia col principio di proporzionalità delle pene di cui all'art. 49, comma 3, della CDFUE.

Considerato in diritto

1. Va innanzitutto valutato se le prospettate questioni di legittimità costituzionale siano rilevanti nel presente giudizio. A tal fine è indispensabile una preliminare delibazione sui primi due motivi di ricorso, il cui eventuale accoglimento, con una conseguente pronuncia di annullamento con rinvio, renderebbe le questioni stesse irrilevanti.

Tali due motivi sembrano, però, non accoglibili, perché si risolvono in realtà in censure in punto di fatto della decisione impugnata, con le quali si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali, e perché appaiono comunque infondati, avendo la corte d'appello fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulle ragioni per le quali ha ritenuto, da un lato, provata la responsabilità dell'imputato e, dall'altro lato, non riconoscibile l'attenuante speciale del fatto di lieve entità di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 309 del 1990.

La prova del concorso dell'imputato nell'acquisto dell'hashish il 4.2.2008 in Bologna, è stata invero desunta dalla valutazione complessiva degli indizi, ed in particolare dalla considerazione: - che dall'insieme delle intercettazioni telefoniche emergeva che il viaggio era stato preventivamente concordato tra i due; - che erano irrilevanti alcuni rilievi della difesa; - che la tesi del viaggio per vendere un quadro era inverosimile; - che dal verbale di sequestro risultava che lo zainetto con la droga era occultato sotto il sedile del passeggero; - che erano irrilevanti le modalità con cui l'auto del M. si era fermata in autostrada anche perché egli non avrebbe potuto fuggire a piedi; - che quindi non era necessaria la riapertura del dibattimento.

Il mancato riconoscimento della attenuante speciale del fatto lieve è stato poi plausibilmente motivato con la considerazione che l'imputato era consapevole del consistente quantitativo di sostanza stupefacente trasportata sulla sua auto e che il suo contributo non era stato lieve ma essenziale per la riuscita dell'operazione concordata.

2. La difesa ha altresì chiesto la riduzione della pena in modo da ottenere il beneficio della sospensione condizionale.

In relazione a questo motivo l'eccepita questione di legittimità costituzionale appare rilevante. I giudici del merito hanno invero fissato come pena base quella di anni sei di reclusione ed Euro 26.000,00 di multa, poi ridotta ad anni 4 di reclusione ed Euro 20.000 per le attenuanti generiche. Stante anche l'assoluta mancanza di motivazione sul punto, è evidente che la pena base è stata individuata nel minimo edittale fissato dal vigente testo dell'art. 73, comma 1, d.p.R. 9 ottobre 309 del 1990 (come sostituito dall'art. 4-bis del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, introdotto dalla legge di conversione 21 febbraio 2006 n. 49), il quale appunto prevede la pena della reclusione da sei a venti anni e della multa da Euro 26.000 a Euro 260.000. Qualora invece la eccepita questione di costituzionalità fosse accolta e fosse quindi annullato il citato art. 4-bis, con l'aumento di pena ivi previsto per le c.d. droghe leggere (e fosse conseguentemente ripristinata l'efficacia della disposizione di cui al previgente testo dell'art. 73 che, al comma 4, prevedeva per la sostanza tipo hashish la pena della reclusione da due a sei anni e la multa da Euro 5.164 ad Euro 77.468), la pena base, e quindi anche quella finale, dovrebbero essere fissate in una misura notevolmente inferiore, quanto meno prossima al diverso minimo edittale di due anni di reclusione. Deve invero sicuramente escludersi, in base alla motivazione della sentenza impugnata sulla gravità del reato sotto il profilo oggettivo e soggettivo, che nel caso in esame il giudice di merito avrebbe ugualmente fissato la pena base in sei anni di reclusione, ossia in una misura corrispondente non più al minimo ma al massimo edittale.

Emerge da quanto sopra che la questione rilevante nel presente giudizio e da sottoporre alla Corte costituzionale deve essere circoscritta all'art. 4-bis del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, introdotto dalla legge di conversione 21 febbraio 2006 n. 49, nella parte in cui, nel sostituire il precedente testo dell'art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 309 del 1990, ha abolito la distinzione tra c.d. droghe leggere e droghe pesanti ed ha conseguentemente innalzato in misura notevole le pene edittali relativamente alle condotte aventi ad oggetto le sostanze stupefacenti c.d. leggere.

Sempre in relazione alla rilevanza della questione, giova sottolineare che ciascuna delle disposizioni e norme della legge di conversione che qui vengono in rilievo sostituisce, in tutto o in parte, e quindi abroga, la corrispondente disposizione e norma del testo unico n. 309 del 1990, sicché la sua dichiarazione di incostituzionalità comporterebbe la reviviscenza delle seconde, con conseguente applicazione, nel caso di specie, del più favorevole trattamento sanzionatorio previsto da queste ultime (pena edittale della reclusione da 2 a 6 anni e della multa da Euro 5.164 a Euro 77.468, anziché della reclusione da 6 a 20 anni e della multa da Euro 26.000 a Euro 260.000).

È invero pacifico che l'accertamento della invalidità di una norma abroga-trice ed il suo annullamento da parte della Corte costituzionale, specialmente se per vizi di forma o procedurali, determina la caducazione dell'effetto abrogativo, con conseguente ripristino della norma precedentemente abrogata, come costantemente ritenuto dalla giurisprudenza costituzionale (sent. n. 108 del 1986; n. 314 del 2009).

Va ulteriormente precisato che il deteriore trattamento sanzionatorio stabilito nella suddetta norma dell'art. 4-bis, trova il suo presupposto nella unificazione delle tabelle che identificano le sostanze stupefacenti, con inclusione della cannabis e dei suoi prodotti nella prima delle predette tabelle. Nel caso di specie appare perciò rilevante anche la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni di cui all'art. 4-vicies-ter, comma 2, lett. a) e comma 3, lett. a) n. 6, del decreto-legge n. 272 del 2005, sostitutive, rispettivamente, degli artt. 13 e 14 del d.P.R. 309 del 1990.

3. Appare opportuno ancora precisare che la questione che in questo giudizio assume rilevanza e viene quindi sollevata riguarda dunque le specifiche norme, come dianzi individuate e delimitate, che eliminano la distinzione tra i due tipi di sostanze stupefacenti e conseguentemente aumentano le pene dianzi previste dall'art. 73, comma 4, per le sostanze (nella specie, cannabis e suoi prodotti) che erano indicate dalle tabelle II e IV dell'art. 14.

Invero, sebbene la questione venga prospettata con riferimento all'art. 77, comma 2, Cost., e quindi per un vizio formale, sembra plausibile, stante il particolare tipo di vizio, che una eventuale pronuncia di annullamento possa incidere non sulle disposizioni, ma sulle singole norme introdotte dalla legge di conversione che dovessero essere ritenute sganciate dal contenuto originario del decreto-legge. Difatti, il prospettato vulnus al parametro costituzionale di riferimento non discende dall'operazione di integrazione, in sé considerata, bensì dalla totale estraneità, per materia e finalità, delle norme inserite, con la conseguenza che la verifica del rispetto del parametro va condotta caso per caso, avuto riguardo al contenuto delle norme stesse.

4. La questione di costituzionalità va sollevata, in via principale, in relazione alla seconda delle tre eccezioni proposte dalla difesa.

La prima eccezione ha ad oggetto sempre l'art. 4-bis del decreto-legge n. 272 del 2005, in riferimento all'art. 77 Cost., ma viene proposta sotto il profilo della mancanza, nel testo del decreto-legge, sia del presupposto del caso straordinario di necessità e di urgenza, sia del requisito della omogeneità (con riguardo all'oggetto ed alla finalità). L'eccezione appare però prospettata in modo perplesso, dal momento che non è chiaro se la censura si indirizza soltanto contro le nuove norme introdotte in sede di conversione ovvero anche avverso il testo originario del provvedimento d'urgenza, il cui vizio si estenderebbe poi alle norme successivamente inserite.

In particolare, la denuncia di mancanza del necessario carattere della omogeneità sembrerebbe riferita, più che alle norme aggiunte, al testo originario del decreto-legge, dal momento che vengono specificamente elencate la pluralità di materie distinte su cui esso interveniva (assunzione di personale della Polizia di Stato; misure per l'amministrazione civile dell'interno; finanziamento delle olimpiadi anche con istituzione di apposita lotteria; esecuzione di pene detentive per tossicodipendenti con programmi di recupero; diritto di voto degli italiani all'estero) e le differenti finalità perseguite.

Deve allora osservarsi che, in quanto si rivolge avverso il provvedimento governativo, l'eccezione è comunque irrilevante perché in questo giudizio non deve applicarsi nessuna delle norme dell'originario decreto-legge, e ciò a prescindere da ogni considerazione circa la effettiva ravvisabilità di una loro disomogeneità finalistica. Se invece si rivolge alle norme del decreto come modificato dalla legge di conversione, l'eccezione di carenza di omogeneità coincide con la seconda eccezione, perché ciò che rileva è la disomogeneità, o meglio l'estraneità fra le norme introdotte in sede di conversione ed il contenuto o la finalità del provvedimento d'urgenza.

Analogamente, anche la denuncia di mancanza del presupposto della necessità ed urgenza sembrerebbe rivolta avverso l'originario decreto-legge, in quanto nella memoria si parla di vizio non sanato dalla approvazione della legge di conversione e di evidente carenza dell'urgenza per le disposizioni dirette a favorire il recupero dei tossicodipendenti recidivi. Sotto questo aspetto, però, l'eccezione è anch'essa priva di rilevanza, sempre per il motivo che nella specie non debbono applicarsi norme dell'originario decreto-legge, a prescindere da ogni considerazione sulla sua non manifesta infondatezza. Se invece la censura si rivolge avverso le nuove norme introdotte dalla legge di conversione, allora occorre distinguere. Se si condivide la tesi, qui sostenuta, che queste norme sono del tutto estranee al contenuto ed alle finalità del decreto-legge, allora non ha importanza la sussistenza dei presupposti di necessità ed urgenza (sentenza n. 355 del 2010), atteso che è stato spezzato il nesso di collegamento col provvedimento governativo e il vizio di legittimità si prospetta invece, come si vedrà, proprio in ragione di tale totale estraneità. Se invece si ritenga che le nuove norme non siano del tutto estranee, neppure in questo caso l'eccezione è manifestamente infondata e pertanto, come si chiarirà in seguito, la relativa questione va sollevata in via subordinata.

5. La terza eccezione di costituzionalità prospettata con riferimento all'art. 117, comma 1, Cost., sotto il profilo del contrasto con la decisione quadro 2004/757/GAI del Consiglio dell'UE e col principio di proporzionalità delle pene di cui all'art. 49, comma 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, resta assorbita dall'accoglimento della seconda eccezione relativa al possibile contrasto con l'art. 77, comma 2, Cost..

6. Quanto alla non manifesta infondatezza, va preliminarmente ricordato che, come è ben noto, nel caso in cui le parti prospettino una questione di legittimità costituzionale, il giudice non deve stabilire se essa sia fondata o infondata, compito questo di esclusiva competenza della Corte costituzionale, bensì unicamente se sia o non sia manifestamente infondata. Il giudice deve quindi limitarsi ad una valutazione sommaria, per rilevare che esista, a prima vista, un dubbio plausibile di costituzionalità ed a svolgere un controllo finalizzato ad escludere le questioni prive di serietà e di ponderazione, sollevate solo a fini dilatori.

Nella specie, la seconda questione di legittimità costituzionale prospettata dal ricorrente è, oltre che rilevante, anche plausibile, non sollevata a fini meramente dilatori, e dotata di serietà e ponderazione. Sussiste almeno un serio dubbio di illegittimità costituzionale, il che è sufficiente ad escludere la manifesta infondatezza della questione.

7. Ciò posto, si rammenta che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 22 del 2012, ha ricordato come uno degli indici in base ai quali verificare se in un decreto-legge “risulti evidente o meno la carenza del requisito della straordinarietà del caso di necessità e d'urgenza di provvedere”, è costituito dalla “evidente estraneità” della norma censurata rispetto alla materia disciplinata da altre disposizioni del decreto-legge in cui è inserita (sent. n. 171 del 2007; sent. n. 128 del 2008). Il riconoscimento dei presupposti di cui all'art. 77, secondo comma, Cost. è quindi collegato “ad una intrinseca coerenza delle norme contenute in un decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico. La urgente necessità del provvedere può riguardare una pluralità di norme accomunate dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate, ovvero anche dall'intento di fronteggiare situazioni straordinarie complesse e variegate, che richiedono interventi oggettivamente eterogenei, afferenti quindi a materie diverse, ma indirizzati all'unico scopo di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare”. Da ciò la Corte ha tratto la conclusione che “la semplice immissione di una disposizione nel corpo di un decreto-legge oggettivamente o teleologicamente unitario non vale a trasmettere, per ciò solo, alla stessa il carattere di urgenza proprio delle altre disposizioni, legate tra loro dalla comunanza di oggetto o di finalità”. Pertanto, “l'inserimento di norme eterogenee all'oggetto o alla finalità del decreto spezza il legame logico-giuridico tra la valutazione fatta dal Governo dell'urgenza del provvedere ed i provvedimenti provvisori con forza di legge”. Invero, la “ratio implicita nel secondo comma dell'art. 77 Cost., impone il collegamento dell'intero decreto-legge al caso straordinario di necessità e urgenza, che ha indotto il Governo ad avvalersi dell'eccezionale potere di esercitare la funzione legislativa senza previa delegazione da parte del Parlamento”, e di tale ratio costituisce esplicitazione, pur non avendo rango costituzionale, l'art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, laddove prescrive che il contenuto del decreto-legge “deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo”.

Per quanto concerne in particolare la legge di conversione, la citata sent. n. 22 del 2012 ha affermato che “La necessaria omogeneità del decreto-legge, la cui interna coerenza va valutata in relazione all'apprezzamento politico, operato dal Governo e controllato dal Parlamento, del singolo caso straordinario di necessità e urgenza, deve essere osservata dalla legge di conversione”. La Corte ha quindi enunciato il “principio della sostanziale omogeneità delle norme contenute nella legge di conversione di un decreto-legge”, principio costituzionale confermato dal regolamento del Senato e richiamato da messaggi e lettere del Presidente della Repubblica. Alla stregua di tale principio, deve dunque ritenersi che “l'esclusione della possibilità di inserire nella legge di conversione di un decreto-legge emendamenti del tutto estranei all'oggetto e alle finalità del testo originario non risponda soltanto ad esigenze di buona tecnica normativa, ma sia imposta dallo stesso art. 77, secondo comma, Cost., che istituisce un nesso di interrelazione funzionale tra decreto-legge, formato dal Governo ed emanato dal Presidente della Repubblica, e legge di conversione, caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare rispetto a quello ordinario”, anche sotto il profilo della particolare rapidità e della necessaria accelerazione dei tempi di questo procedimento.

La Corte costituzionale ha riconosciuto che le Camere ben possono, “nell'esercizio della propria ordinaria potestà legislativa, apportare emendamenti al testo del decreto-legge, che valgano a modificare la disciplina normativa in esso contenuta, a seguito di valutazioni parlamentari difformi nel merito della disciplina, rispetto agli stessi oggetti o in vista delle medesime finalità”, o anche solo per esigenze meramente tecniche o formali, ma ha specificato che esorbita invece dalla sequenza tipica del procedimento “l'alterazione dell'omogeneità di fondo della normativa urgente, quale risulta dal testo originario, ove questo, a sua volta, possieda tale caratteristica” (in caso contrario vi sarebbero problemi di legittimità dello stesso decreto-legge). In definitiva, “l'innesto nell'iter di conversione dell'ordinaria funzione legislativa può certamente essere effettuato, per ragioni di economia procedimentale, a patto di non spezzare il legame essenziale tra decretazione d'urgenza e potere di conversione. Se tale legame viene interrotto, la violazione dell'art. 77, secondo comma, Cost., non deriva dalla mancanza dei presupposti di necessità e urgenza per le norme eterogenee aggiunte, che, proprio per essere estranee e inserite successivamente, non possono collegarsi a tali condizioni preliminari (sentenza n. 355 del 2010), ma per l'uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione gli attribuisce, con speciali modalità di procedura, allo scopo tipico di convertire, o non, in legge un decreto-legge”. In sostanza, secondo questa sentenza costituzionale, le norme inserite nel decreto-legge nel corso del procedimento di conversione che siano “del tutto estranee alla materia e alle finalità del medesimo”, sono costituzionalmente illegittime, per violazione dell'art. 77, secondo comma, Cost..

Questi principi sono stati poi confermati dalla Corte costituzionale con l'ordinanza n. 34 del 2013, che ha ribadito i limiti alla emendabilità del decreto-legge indicati dalla sentenza n. 22 del 2012 “in una prospettiva contenutistica ovvero finalistica, richiamando le norme procedimentali che riflettono la natura della legge di conversione come legge funzionalizzata e specializzata, che non può aprirsi a qualsiasi contenuto ulteriore”. Le Camere pertanto possono emendare il testo del decreto-legge nel rispetto del contenuto o della finalità del provvedimento governativo e, “nel caso di provvedimenti governativi ab origine a contenuto eterogeneo, il limite all'introduzione di ulteriori disposizioni in sede di conversione è costituito dal rispetto della ratto”. Quando le norme introdotte in sede di conversione risultassero del tutto estranee alla ratio del decreto-legge, si registrerebbe uno “scostamento intollerabile della funzione legislativa” dal parametro costituzionale.

Insomma, secondo la Corte costituzionale, le norme aggiunte in sede di conversione, ove siano del tutto eterogenee al contenuto o alle ragioni di necessità ed urgenza proprie del decreto, devono ritenersi illegittime perché esorbitano dal potere di conversione attribuito dalla Costituzione al Parlamento.

Questi principi sono stati poi ricordati, dopo la sentenza n. 22 del 2012, dal Presidente della Repubblica in una lettera del 22 febbraio 2012 ai Presidenti delle Camere ed al Presidente del Consiglio dei ministri, con la quale, richiamati il precedente messaggio presidenziale del 29 marzo 2002 (di rinvio del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 4 del 2002), viene ribadita “la necessità di limitare gli emendamenti ammissibili, in sede di conversione dei decreti-legge, a quelli sostanzialmente omogenei rispetto al testo originario del decreto, in considerazione della particolare disciplina costituzionale e regolamentare del procedimento di conversione nonché a garanzia del vaglio preventivo spettante al Presidente della Repubblica in sede di emanazione del decreto-legge e di quello successivo sulla legge di conversione, anche per la difficoltà di esercitare la facoltà di rinvio prevista dall'art. 74 della Costituzione in prossimità della scadenza del termine tassativo di 60 giorni fissato per la conversione in legge” e viene ricordato che il mancato rispetto di tale regola espone le disposizioni “al rischio di annullamento da parte della Corte costituzionale per ragioni esclusivamente procedimentali ma di indubbio rilievo istituzionale”.

8. Le disposizioni e le norme che qui vengono in rilievo non facevano parte del testo originario del decreto-legge sottoposto alla firma del Presidente della Repubblica, ma sono state inserite nel decreto-legge n. 272 del 2005 per effetto di emendamenti approvati in sede di conversione. Si tratta di norme facenti parte di un corpo di nuove disposizioni, con le quali non vengono disciplinate situazioni esistenti e bisognose di urgente intervento normativo per le ragioni che avevano ispirato il decreto-legge, bensì viene posta una normativa “a regime” sulla disciplina delle condotte illecite aventi ad oggetto sostanze stupefacenti. Questa nuova normativa effettivamente appare del tutto slegata da contingenze particolari ed è stata tuttavia introdotta dalla legge di conversione in un decreto-legge avente contenuto e finalità del tutto estranei, denominato “Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell'Amministrazione dell'interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi”.

Il preambolo del provvedimento provvisorio con forza di legge così recita: “Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di prevenire e contrastare il crimine organizzato ed il terrorismo interno ed internazionale, anche per le esigenze connesse allo svolgimento delle prossime Olimpiadi invernali, nonché di assicurare la funzionalità dell'Amministrazione dell'interno; Ritenuta altresì la straordinaria necessità ed urgenza di garantire l'efficacia dei programmi terapeutici di recupero per le tossicodipendenze anche in caso di recidiva”.

Il testo originario conteneva sei articoli, rubricati rispettivamente: “Assunzione di personale della Polizia di Stato” (art. 1) al fine “di prevenire e contrastare il crimine organizzato ed il terrorismo interno ed internazionale, anche per le esigenze connesse allo svolgimento delle Olimpiadi invernali, nonché per assicurare la funzionalità dell'Amministrazione dell'interno”; “Personale della carriera prefettizia” (art. 2); “Finanziamenti per le Olimpiadi invernali” (art. 3), anche con la istituzione di una lotteria istantanea; “Esecuzione delle pene detentive per tossicodipendenti in programmi di recupero” (art. 4); “Adempimenti finalizzati all'esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all'estero” (art. 5); “Entrata in vigore” (art. 6).

Le finalità pertanto erano diverse: rafforzare le forze di polizia e la funzionalità del ministero dell'interno per prevenire e combattere la criminalità organizzata e il terrorismo nazionale e internazionale; garantire il finanziamento per le olimpiadi invernali; favorire il recupero dei tossicodipendenti detenuti; assicurare il diritto di voto degli italiani residenti all'estero. E tuttavia, almeno per molte delle disposizioni, si sarebbe forse potuta anche ravvisare una certa sostanziale omogeneità finalistica, una comunanza di ratio, individuabile probabilmente nella urgente necessità di garantire l'effettivo e sicuro svolgimento delle olimpiadi invernali.

Nel testo originario del decreto erano quindi contenute due sole disposizioni, inserite nell'art. 4, che riguardavano non già la disciplina delle sostanze stupefacenti, quanto piuttosto lo specifico e circoscritto tema dell'esecuzione di pene detentive nei confronti di tossicodipendenti recidivi che avessero in corso programmi terapeutici di recupero presso servizi pubblici o una struttura autorizzata.

In particolare, il citato art. 4 si limitava a statuire in ordine all'abrogazione dell'art. 94-bis del d.P.R. 309 del 1990, introdotto dalla allora recentissima legge 5 dicembre 2005, n. 251 (c.d. legge ex Cirielli), con la specifica finalità di evitare che le innovazioni portate da tale legge potessero causare come conseguenza una massiva e pregiudizievole ricarcerizzazione di condannati tossicodipendenti, categoria questa ritenuta naturalmente recidivante.

Ed invero, l'art. 8 della detta legge 5 dicembre 2005, n. 251, aggiungendo l'art. 94-bis al d.P.R. 309 del 1990 sugli stupefacenti, riduceva da 4 a 3 anni, per i recidivi, la pena massima che consentiva l'affidamento in prova finalizzato all'attuazione del programma terapeutico; mentre l'art. 9, aggiungeva la lettera c) al comma 9 dell'art. 656 cod. proc. pen., escludendo dalla sospensione della esecuzione della pena i recidivi, compresi i tossicodipendenti che avessero già in corso un programma terapeutico. Dopo pochi giorni dalla loro entrata in vigore, queste disposizioni (effettivamente dissonanti rispetto al disegno di legge governativo sugli stupefacenti da tempo fermo al Senato) furono eliminate dall'art. 4 del decreto-legge 30 dicembre 2005 n. 272, il quale dispose: a) l'abrogazione del citato art. 94-bis appena introdotto dall'art. 8 della legge ex Cirielli; b) la modifica della lettera c) aggiunta dall'art. 9 di detta legge al comma 9 dell'art. 656 del cod. proc. pen., nel senso di ripristinare la sospensione della esecuzione della pena fino a 4 anni per i tossicodipendenti con programma terapeutico in atto, anche se recidivi. Come si è già ricordato, nel preambolo del decreto-legge le disposizioni dell'art. 4 vennero appunto giustificate con la “straordinaria necessità ed urgenza di garantire l'efficacia dei programmi terapeutici di recupero per le tossicodipendenze anche in caso di recidiva”.

Facendo riferimento a detto art. 4, nella seduta del Senato del 19 gennaio 2006, fu presentato, direttamente in aula, un maxiemendamento governativo, interamente sostitutivo dell'articolo unico del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 272, nel quale venne inserita una buona parte del contenuto del disegno S 2953, del novembre 2003, fermo nelle competenti Commissioni referenti del Senato, e cioè una articolata ed ampia nuova disciplina della materia in sostituzione delle corrispondenti disposizioni del testo unico sulle sostanze stupefacenti di cui d.P.R. 309 del 1990. Nella seduta alla Camera del 6 febbraio 2006, poi, il Governo pose la fiducia sul disegno di legge di conversione nel testo delle Commissioni, identico a quello già approvato dal Senato.

9. Ora, appare non manifestamente infondato il dubbio di una profonda distonia di contenuto, di finalità e di ratio tra il decreto-legge n. 272 del 2005 in generale, e anche tra le disposizioni dell'art. 4 in particolare, e le nuove norme introdotte in sede di conversione con le quali è stata sostanzialmente posta una nuova disciplina a regime sulle sostanze stupefacenti in sede di conversione. La distonia appare evidente se si considera la finalità, la ratio, ossia la ragione di necessità e urgenza che giustificava il decreto-legge nel suo complesso, che era quella di garantire, sotto l'aspetto finanziario e di polizia, un effettivo e sicuro svolgimento delle prossime olimpiadi invernali.

Ma la distonia contenutistica e teleologica appare sussistere anche se ci si limita a considerare l'art. 4 del decreto, e cioè l'unica disposizione che aveva un labile riferimento al tema degli stupefacenti, ed anzi, più precisamente, al tema dell'esecuzione delle pene detentive per gli assuntori abituali di sostanze stupefacenti condannati. Questo articolo, infatti, non toccava nemmeno incidentalmente o indirettamente la materia delle sostanze stupefacenti e la disciplina del trattamento sanzionatorio dei relativi illeciti, ma riguardava esclusivamente aspetti concernenti le modalità di esecuzione della pena per i tossicodipendenti recidivi già condannati, tanto che recava il titolo “Esecuzione delle pene detentive per tossicodipendenti in programmi terapeutici”, mentre nel preambolo del provvedimento d'urgenza si dichiarava che la sua ratio e finalità era quella di “garantire l'efficacia dei programmi terapeutici di recupero per le tossicodipendenze anche in caso di recidiva”. Era dunque questo il “caso straordinario” che giustificava la “necessità e urgenza” di provvedere e legittimava l'esercizio della funzione legislativa senza delega da parte del Parlamento. Con la legge di conversione, invece, l'art. 4 venne fatto seguire da una serie di ben 23 articoli aggiuntivi (dall'ari 4-bis all'art. 4-vicies ter, a loro volta articolati in numerosissimi commi e con i relativi allegati), che non apportavano modifiche in qualche grado interrelate funzionalmente con le previsioni dell'originario art. 4, bensì modificavano profondamente l'assetto disciplinatorio “a regime” in materia di stupefacenti.

Per quanto più specificamente concerne le norme rilevanti in questo giudizio, con questi articoli aggiuntivi, sostituendo, in parte qua, il precedente testo dell'art. 73, si incideva pervasivamente, tra l'altro, sul previgente sistema classificatorio delle sostanze stupefacenti e psicotrope (riducendo le quattro tabelle previgenti ad una sola, nella quale erano convogliate indifferentemente tutte le sostanze considerate comunque stupefacenti) nonché in misura notevole sulle pene edittali per gli illeciti aventi ad oggetto c.d. droghe leggere, equiparate a quelle pesanti (oltre che su altri importanti aspetti che non rilevano in questo giudizio, come la soglia quantitativa oltre la quale la detenzione è punibile, le conseguenze amministrative, le misure restrittive della libertà personale e di movimento nei confronti di “qualificati” assuntori di stupefacenti, e così via).

Secondo la richiamata giurisprudenza della Corte costituzionale, l'oggetto della legge di conversione deve tendere a coincidere con quello del decreto di urgenza e comunque le nuove norme da essa poste devono possedere una omogeneità funzionale-finalistica con quelle del decreto originario. Ora, non appare sussistere una tendenziale coincidenza, una omogeneità materiale e teleologica tra la disposizione abrogatrice contenuta nell'art. 4 del decreto d'urgenza e la riforma organica del testo unico sugli stupefacenti posta con la legge di conversione, o almeno, per quanto qui rileva, con l'aumento delle pene per le c.d. droghe leggere e la loro parificazione a quelle c.d. pesanti. Invero, l'unica norma in materia di stupefacenti aggiunta in sede di conversione che non appare del tutto estranea alla ratio dell'art. 4 è l'art. 4-undecies, strettamente connesso all'esecuzione del programma terapeutico del tossicodipendente.

Può osservarsi che qualora si ritenesse che la mera circostanza che il primo comma dell'art. 4 richiamava, per sopprimerlo, l'art. 94-bis del d.P.R. 309 del 1990 (ivi inserito da 22 giorni), sia sufficiente a rendere “non del tutto estranea” alle ragioni di necessità e urgenza che lo supportavano l'intera riscrittura del testo unico sugli stupefacenti, allora, seguendo il medesimo ragionamento, dovrebbe pure ritenersi che, poiché il secondo comma del medesimo art. 4 richiamava, per modificarlo, l'art. 656, comma 9, lett. c), cod. proc. pen., nel caso di specie si sarebbe potuto pure riscrivere, con apposito maxiemendamento d'aula - saltando quindi anche l'esame in sede referente - tutta la disciplina sulla esecuzione penale. In tal modo si consentirebbe ad ogni Governo, e alla sua maggioranza, di approfittare di qualunque, anche marginale ed effimera, “emergenza” per riformare interi settori dell'ordinamento, utilizzando l'eccezionale potere di legiferare mediante provvedimenti d'urgenza e la speciale procedura privilegiata della loro conversione, che al contrario costituisce una fonte funzionalizzata e specializzata.

Appare dunque non manifestamente infondato ritenere che l'introduzione delle nuove norme, ed in particolare delle norme dianzi indicate poste dagli artt. 4-bis e 4-vicies-ter, comma 2, lett. a) e comma 3, lett. a) n. 6, abbia travalicato i limiti della potestà emendativa del Parlamento tracciati dalle richiamate pronunce della Corte costituzionale.

10. Può aggiungersi che la totale estraneità delle nuove norme rispetto all'oggetto ed alle finalità del decreto-legge fu evidenziata anche in sede parlamentare già col parere sul disegno di legge n. 6297 espresso dal Comitato per la legislazione della Camera nella seduta del 1 febbraio 2006 col quale si richiamava il messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica del 29 marzo 2002 di rinvio della legge di conversione del decreto-legge n. 4 del 2002, e si prospettava la contrarietà delle nuove norme con “l'esigenza di garantire la specificità e l'omogeneità dei contenuti normativi recati nei provvedimenti di urgenza anche nella fase di esame parlamentare”. La mancanza di omogeneità fu inoltre manifestata da diversi parlamentari della minoranza in sede di dibattito sulla legge di conversione sia al Senato sia alla Camera.

D'altronde, potrebbe ritenersi che la totale estraneità all'oggetto ed alla ratio originari del provvedimento governativo d'urgenza delle modifiche al testo unico sugli stupefacenti sia stata ammessa ed enunciata dalla stessa legge di conversione, la quale, da ultimo, ha aggiunto nel titolo del decreto-legge le seguenti parole: “e modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309”.

Questa aggiunta sembra appunto mostrare che la modifica della normativa sugli stupefacenti di cui al d.P.R. 309 del 1990 (a parte la specifica e limitatissima norma sulla esecuzione della pena detentiva per i tossicodipendenti recidivi) non rientrava nell'oggetto e nelle finalità dell'originario provvedimento normativo come configurato dal Governo ed emanato dal Presidente della Repubblica, altrimenti non si sarebbe reso necessario modificarne il titolo aggiungendovi un nuovo oggetto. Né sembra potersi ritenere che con questo escamotage, ossia modificando e ampliando lo stesso titolo del decreto-legge in sede di conversione, si possano legittimamente inserire nel testo dell'originario decreto-legge norme “del tutto estranee alla materia e alle finalità del medesimo”, in sostanziale elusione del ricordato principio costituzionale posto dall'art. 77, secondo comma, Cost..

Per completezza può altresì osservarsi che nel caso in esame gli aspetti patologici delle modalità di svolgimento dell'iter legislativo potrebbero apparire ancora maggiori di quelli che avevano indotto il Presidente della Repubblica a rinviare alle Camere la legge di conversione del decreto-legge 25 gennaio 2002, n. 4. Nella specie, invero, la legge di conversione fu definitivamente approvata l'8 febbraio, ossia pochi giorni prima dello scioglimento delle Camere e dell'inizio delle olimpiadi, e fu poi promulgata il 21 febbraio. Quindi il Presidente della Repubblica, non potendo disporre un rinvio parziale, avrebbe potuto esercitare la sua prerogativa, a Camere sciolte e nell'imminenza della scadenza del termine di conversione, solo assumendosi la responsabilità di mettere a rischio le esigenze di sicurezza e lo stesso svolgimento delle Olimpiadi di Torino.

Può ancora osservarsi come il vulnus al sistema di ripartizione delle competenze normative costituzionalmente configurato potrebbe derivare anche dal c.d. abuso della prassi, da tempo invalsa, con cui il Governo presenta, nella prima lettura parlamentare dell'articolo unico del disegno di legge di conversione, un maxi-emendamento innovativo rispetto al contenuto originario del decreto-legge, al fine di sostituirne parzialmente o interamente il testo e sul quale sarà poi posta la questione di fiducia. In tal modo il contenuto della legge di conversione viene svincolato da quello del decreto-legge, ed è possibile approvare con un solo voto, con una discussione ridotta al minimo e senza possibilità da parte dell'assemblea di votare emendamenti, una disciplina legislativa del tutto nuova e completamente sganciata dal contenuto originario del decreto. In questo modo, in sostanza, il procedimento di conversione previsto dall'art. 77 Cost. non serve più a convenire in legge il contenuto di quei provvedimenti provvisori adottati dal Governo in casi straordinari di necessità e di urgenza, ma viene utilizzato come escamotage per far approvare un'iniziativa legislativa del tutto nuova, di fatto inemendabile, eludendo le regole ordinarie del procedimento legislativo.

11. Di conseguenza, l'indicata questione di legittimità costituzionale in riferimento all'art. 77, secondo comma, Cost. - prospettata sotto profilo della totale estraneità, rispetto all'oggetto ed alle finalità del decreto-legge, delle norme aggiunte in sede di conversione con cui è stata introdotta una nuova disciplina “a regime” in materia di sostanze stupefacenti, e in particolare, mediante la sostituzione del precedente testo dell'art. 73 (nonché degli artt. 13 e 14), è stata e-liminata la distinzione fra tali sostanze e previsto un aumento delle pene per gli illeciti relativi a quelle già indicate nelle tabelle II e IV dell'art. 14 - appare plausibile, seria e non manifestamente infondata ed, essendo rilevante nel giudizio, merita di essere sottoposta al naturale sindacato del giudice delle leggi.

12. Deve altresì essere sollevata in via subordinata l'altra questione eccepita sempre in riferimento all'art. 77 Cost., ma sotto il profilo della carenza del presupposto della necessità ed urgenza. Come si è dianzi osservato, si ritiene ravvisabile, per i motivi indicati, una totale estraneità ed eterogeneità tra le nuove norme ed il contenuto e le finalità di quelle del decreto-legge, e proprio sotto questo profilo viene sollevata questione di legittimità costituzionale.

Qualora però la Corte costituzionale dovesse invece ritenere che le norme dianzi specificate “non siano del tutto estranee rispetto al contenuto della decretazione d'urgenza”, allora dovrebbe essere effettuata anche per esse la valutazione in termini di necessità e di urgenza. Non appare invero manifestamente infondata l'eccezione subordinata della difesa secondo cui il difetto di tale requisito sarebbe evidente (nel senso indicato dalla sentenza n. 171 del 2007), risultando da diversi indici anche emergenti dal testo del decreto-legge come convertito.

Va invero qui sommariamente ricordato che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 171 del 2007, ha ritenuto che non è possibile sottrarre il decreto-legge al sindacato di legittimità per difetto del presupposto della necessità ed urgenza a causa della sua conversione, giacché “affermare che la legge di conversione sana in ogni caso i vizi del decreto significherebbe attribuire in concreto al legislatore ordinario il potere di alterare il riparto costituzionale delle competenze del Parlamento e del Governo quanto alla produzione delle fonti primarie”. Tale sindacato, peraltro, veniva limitato, da questa sentenza, agli aspetti di “evidente” carenza dei suddetto requisito. La Corte, in sostanza, attraverso la via delle “norme intruse” giunse a scrutinare la mancanza dei presupposti, dichiarando incostituzionale una disposizione tesa a correggere un problema di ineleggibilità del sindaco di XXXXXXX, aggiunta in sede di conversione ad un decreto relativo alla materia della finanza degli enti locali.

Anche con la sentenza n. 128 del 2008, la Corte dichiarò l'illegittimità di una norma, aggiunta in sede di conversione, che disponeva l'esproprio del teatro (OMISSIS) in favore del Comune di XXXX, per l'assenza di collegamento con le altre disposizioni (in materia tributaria e finanziaria) del decreto-legge, sintomo peraltro della sua estraneità alle ragioni di straordinaria necessità ed urgenza che lo giustificavano.

In entrambi questi casi la Corte, attraverso la verifica di un collegamento tra disposizione introdotta in sede di conversione e i presupposti del decreto, ha verificato se i presupposti del decreto-legge originario potessero reggere anche le norme aggiunte.

Sulla base di questa giurisprudenza costituzionale si è quindi ritenuto che tutte le disposizioni di un decreto-legge devono essere ancorate al presupposto del caso straordinario di necessità e urgenza che legittima l'esercizio del potere legislativo senza delega da parte del Governo. E l'estraneità di taluna di dette disposizioni alla disciplina cui il presupposto della necessità e urgenza si riferisce, sarebbe segno evidente della carenza del presupposto stesso, che non può essere sanata dalla conversione del decreto. Si aggiunge che, se è vero che la legge di conversione non può sanare l'assenza dei requisiti di taluna delle disposizioni del decreto-legge, dovrebbe anche ritenersi che essa neppure possa legittimamente inserire ex novo nel decreto disposizioni che appaiono estranee alle ragioni di necessità e urgenza che giustificano le norme del decreto stesso.

Sul punto, peraltro, con la sentenza n. 355 del 2010, la Corte ha cercato di distinguere tra “norme aggiunte eterogenee e norme aggiunte non eterogenee”, sottolineando che va “ulteriormente precisato che la valutazione in termini di necessità e di urgenza deve essere indirettamente effettuata per quelle norme, aggiunte dalla legge di conversione del decreto-legge, che non siano del tutto estranee rispetto al contenuto della decretazione d'urgenza”, mentre questa valutazione non occorre quando la norma aggiunta sia eterogenea rispetto al detto contenuto, essendo tale eterogeneità di per sé sintomo della mancanza dei presupposti. Anche questa sentenza, quindi, ha confermato il principio che tutte le disposizioni del decreto-legge convertito, ivi comprese quelle introdotte con la legge di conversione e non del tutto dissonanti rispetto al contenuto originario del decreto, devono essere assistite, pena l'illegittimità, dai requisiti della straordinaria necessità e urgenza.

Con la già ampiamente richiamata sentenza n. 22 del 2012, infine, la Corte ha scelto di non seguire la linea della verifica dei presupposti della disposizione aggiunta, ma ha limitato la stessa possibilità di emendare il decreto, in base alla funzione della conversione, rinforzando il collegamento funzionale tra i due atti, alla stregua delle tesi più tradizionali che vedevano la legge di conversione come “condizionata” alla disciplina adottata dal governo.

Nel caso in esame, pertanto, qualora si ritenesse infondata la questione di legittimità costituzionale qui sollevata in via principale per la ragione che le nuove norme in materia di stupefacenti non si trovino “in una condizione di totale eterogeneità rispetto al contenuto del decreto-legge” in virtù del formale aggancio all'art. 4 del medesimo, dovrebbe svolgersi su di esse il sindacato di sussistenza del necessario requisito della necessità ed urgenza.

13. Sotto questo profilo non appare manifestamente infondata l'eccezione, proposta in via subordinata, secondo cui la mancanza del requisito appare nella specie “evidente”. Può innanzitutto rilevarsi la assoluta mancanza di una motivazione nel preambolo dell'atto normativo e nella discussione parlamentare su quale fosse la straordinaria necessità che rendeva urgente, in quel momento, la riscrittura “a regime” del testo unico sugli stupefacenti. Gli interventi al Senato favorevoli all'emendamento, lo giustificarono con il richiamo all'indirizzo mi-noritario e ormai da tempo superato dalla Corte costituzionale, secondo cui la legge di conversione, per definizione, non sarebbe legata al requisito della necessità ed urgenza, con il che però sembra che implicitamente venisse riconosciuto che nella specie tali requisiti non ricorrevano. Inoltre, l'originario disegno di legge S 2953, il cui contenuto venne in gran parte incorporato nel maxiemendamento, non era stato inserito nel calendario dei provvedimenti da approvare prioritariamente, tanto che l'ultima seduta in cui le Commissioni riunite del Senato lo avevano esaminato risaliva alla primavera del 2005, il che sembra confermare che gli emendamenti aggiuntivi non rispondessero ai requisiti dell'urgenza e della necessità. Del resto, nella discussione al Senato il maxiemendamento venne illustrato e giustificato proprio quale conclusione di un lungo percorso legislativo che raccoglieva tre anni di esperienza parlamentare e con il quale si voleva chiudere una “annosa vicenda”. Esattamente la difesa sottolinea l'analogia tra questa situazione e quella esaminata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 128 del 2008, che dichiarò l'illegittimità costituzionale di una disposizione aggiunta in sede di conversione finalizzata appunto a risolvere una “annosa vicenda” relativa alla proprietà e alla gestione del teatro (OMISSIS) , il che, secondo la Corte, rivelava “l'assenza di ogni carattere di indispensabilità ed urgenza”.

Del resto l'aggiunta, con la legge di conversione, di un nuovo oggetto nel titolo del decreto-legge, oltre all'eterogeneità delle nuove norme, sembra evidenziare anche l'estraneità delle stesse alle ragioni di necessità ed urgenza del provvedimento governativo.

La difesa infine sottolinea anche (ma ciò, per la verità, non riguarda le norme applicabili in questa sede, dove non si discute sulla sussistenza del reato) come l'art. 4-bis faccia rinvio ad un futuro decreto del Ministro per la Salute, da emanarsi di concerto con il Ministro per la Giustizia, sentito il Presidente del Consiglio, per la determinazione della soglia quantitativa di sostanza stupefacente oltre la quale la detenzione può essere punita. Ciò dimostrerebbe appunto che l'art. 4-bis pone una “normativa a regime, del tutto slegata da contingenze particolari, inserita tuttavia nella legge di conversione di un decreto-legge”, che non fa riferimento a “situazioni già esistenti e bisognose di urgente intervento normativo, ma in via generale e ordinamentale per tutti i casi futuri” (sent. n. 22 del 2012), tanto che per l'effettiva integrale operatività della disposizione si deve attendere l’approvazione di un decreto ministeriale.

14. In conclusione, l'indicata questione di legittimità costituzionale, incidendo sul trattamento sanzionatorio (e quindi sulla decisione del relativo motivo di ricorso) appare rilevante in questo giudizio nei limiti dianzi specificati, ossia in relazione: a) all'art. 4-bis del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, introdotto dalla legge di conversione 21 febbraio 2006 n. 49, nella parte in cui modifica l'art. 73 del testo unico sulle sostanze stupefacenti di cui al d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e segnatamente nella parte in cui, sostituendo i commi 1 e 4 dell'art. 73, parifica ai fini sanzionatori le sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle II e IV previste dal previgente art. 14 (nel caso di specie: hashish) a quelle di cui alle tabelle I e III, e conseguentemente eleva le sanzioni per le prime dalla pena della reclusione da due a sei anni e della multa da Euro 5.164 ad Euro 77.468 a quella della reclusione da sei a venti anni e della multa da Euro 26.000 a Euro 260.000; b) all'art. 4-vicies-ter, comma 2, lett. a) e comma 3, lett. a) n. 6, del medesimo decreto-legge, nella parte in cui sostituisce gli artt. 13 e 14 del d.P.R. 309 del 1990, unificando le tabelle che identificano le sostanze stupefacenti, ed in particolare includendo la cannabis e i suoi prodotti nella prima di tali tabelle.

La questione è poi non manifestamente infondata in riferimento all'art. 77, secondo comma, Cost., in via principale, sotto il profilo della estraneità delle nuove norme inserite dalla legge di conversione all'oggetto, alle finalità ed alla ratio dell'originale contenuto del decreto-legge, e, in via subordinata, qualora le nuove norme siano ritenute non del tutto estranee al contenuto e alla finalità della decretazione d'urgenza, sotto il profilo della evidente carenza del presupposto del caso straordinario di necessità e urgenza.

Va pertanto sollevata questione di legittimità costituzionale delle suddette disposizioni e norme, nei limiti, sotto i profili e nei termini dianzi specificati.

Il giudizio deve essere sospeso sino all'esito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale.

 

P.Q.M.

 

La Corte Suprema di Cassazione visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;

ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva, nei termini dianzi indicati, questione di legittimità costituzionale: a) dell'art. 4-bis del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, introdotto dalla legge di conversione 21 febbraio 2006 n. 49, nella parte in cui ha modificato l'art. 73 del testo unico sulla sostanze stupefacenti di cui al d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e segnatamente nella parte in cui, sostituendo i commi 1 e 4 dell'art. 73, parifica ai fini sanzionatori le sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle II e IV previste dal previgente art. 14 a quelle di cui alle tabelle I e III, e conscguentemente eleva le sanzioni per le prime dalla pena della reclusione da due a sei anni e della multa da Euro 5.164 ad Euro 77.468 a quella della reclusione da sei a venti anni e della multa da Euro 26.000 a Euro 260.000; b) all'art. 4-vicies-ter, comma 2, lett. a) e comma 3, lett. a) n. 6, del medesimo decreto-legge, nella parte in cui sostituisce gli artt. 13 e 14 del d.P.R. 309 del 1990, unificando le tabelle che identificano le sostanze stupefacenti, ed in particolare includendo la cannabis e i suoi prodotti nella prima di tali tabelle, in riferimento all'art. 77, secondo comma, Cost., in via principale, sotto il profilo della estraneità delle nuove norme inserite dalla legge di conversione all'oggetto, alle finalità ed alla ratio dell'originale decreto-legge e, in via subordinata, sotto il profilo della evidente carenza del presupposto del caso straordinario di necessità e urgenza;

sospende il giudizio in corso sino all'esito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale;

dispone che, a cura della cancelleria, gli atti siano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale, e che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Pubblico Ministero nonché al Presidente del Consiglio dei Ministri, e che sia anche comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.




 

da altalex.com

 



 

Martedì, 11 Giugno 2013
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