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Articoli 21/10/2004

Il complesso di Indianapolis Lo stile di guida di alcune “divise”.

La “pressione psicologica” al volante crea uno stato di forte emozionalità che diminuisce le capacità razionali.

Il complesso di Indianapolis
Lo stile di guida di alcune “divise”.

La “pressione psicologica” al volante crea uno stato di forte emozionalità che diminuisce le capacità razionali.

di Siegfried Sthor *

“Il commissario Montalbano sentì arrivare l’auto di servizio …
la macchina si catapultò ultrasonica,
frenò con grande stridore sparando raffiche di ghiaietta
che rimbalzarono in tutte le direzioni,
poi ci fu un disperato ruggire di motore imballato,
un lacerante cambio di marcia,
un acuto sgommare,
un’altra raffica di ghiaietta.
Il conducente aveva fatto manovra…
Gallo, che pativa del complesso di Indianapolis…”

Andrea Camilleri. La voce del violino.

nnanzitutto un saluto a tutti gli amici della Polizia, dei Carabinieri e della Polizia municipale, di quella penitenziaria e della Guardia di Finanza.
A quelli che si rivolgono a me per migliorare la loro guida ma anche a quelli che mi fermano per strada e, facendo il loro dovere, mi tolgono qualche punticino dalla patente.
La descrizione che Camilleri fa della guida dell’agente Gallo corrisponde a un certo prototipo di agente-Schumacher che fortunatamente è in via di estinzione.
Infatti due cose mi colpiscono in questo guidatore.
La prima è la mancanza di rispetto per la meccanica, per l’automobile; l’inutile spreco di carburante, di pneumatici, che comporta questo stile di guida.
E questo spesso viene associato al disprezzo per l’auto che gli viene affidata.
L’altra è il costante tentativo di mostrare, di esibire, le proprie abilità proprio attraverso l’automobile.
Per un agente quest’ultimo aspetto viene contaminato dalla percezione del proprio servizio come di una attività in “emergenza permanente”.
Uno specchio di questo vissuto del proprio ruolo lo abbiamo nel fatto che raramente vengono indossate le cinture di sicurezza, nonostante le disposizioni recitino che:
“il concetto di servizio di emergenza non è certamente assimilabile “tout court” al servizio d’ istituto ma deve essere inteso come stato di pericolo concreto ed attuale nel più generale contenuto del servizio”.
Quando poi si creano veramente le condizioni di emergenza e occorre arrivare a destinazione con rapidità, bisogna sempre far prevalere la certezza di “arrivare” sul “quando” arrivare.
Ma al di là di tutto questo, c’è un aspetto che accomuna l’agente al guidatore normale: l’emozione che provoca l’alta velocità.
E chi opera in servizio di Polizia può sentirsi non solo autorizzato, ma persino in dovere di spingere oltremodo sull’acceleratore.
Questa “pressione psicologica” al volante crea uno stato di forte emozionalità (al quale si aggiungono elementi di ulteriore emozione come il suono acuto della sirena) che diminuisce le capacità razionali di valutazione della situazione: sia rispetto alla velocità e alla padronanza del veicolo, che rispetto alla situazione dell’intervento operativo che ci si appresta a svolgere.
Insomma, l’emozione va sempre tenuta sotto controllo affinché non prevalga sulla valutazione razionale della situazione.
E poi ricordiamoci che il fatto di avere la patente, ancorché quella di servizio, non vuol dire che lo Stato ci abbia dato quella formazione alla guida sicura che sarebbe auspicabile per tutti coloro che si trovano ad operare con auto o moto in servizio.
Di conseguenza nessuno può pretendere da un’agente velocità + sicurezza e non c’è quindi alcuna reale (istituzionale) pressione psicologica che ci spinga, in
servizio, a una eccessiva velocità al volante.
Occorre invece avere la capacità di pre-vedere, di immaginare possibili pericoli: questo vale quando siamo al volante ma anche quando attraversiamo le strisce pedonali o assistiamo ad un Rally (altra situazione di grande indisciplina e sprezzo del pericolo da parte di alcuni spettatori).
Non mi stanco mai di ripetere che la sicurezza al volante sta nella nostra abilità solo per un terzo, mentre per i due terzi è determinata dalla capacità di prevedere i potenziali pericoli.
Se fossimo una società un po’ meno ipocrita, potremmo aprire, almeno una volta al mese, i cancelli degli autodromi e lasciare che chi ha il complesso di Indianapolis si sfoghi in pista invece di travolgere vecchiette sulle strisce pedonali; probabilmente però qualcuno avrebbe da obiettare che così si istiga alla velocità, si spingono i giovani a rischiare e allora si lascerà tutto così facendo affidamento sulla capacità delle forze dell’ordine di reprimere un fenomeno preoccupante.
Ma abbiamo visto che anche un nostro poliziotto, l’agente Gallo, è vittima pure lui del “complesso di Indianapolis”: che sia stato contagiato?

* Ex pilota di Formula Uno –
Direttore della scuola di guida sicura "GuidarePilotare"




di Siegfried Sthor *

Giovedì, 21 Ottobre 2004
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