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Automobile di famiglia, volante per tutti: ma il proprietario deve monitorarne l’utilizzo

Foto di repertorio dalla rete

Respinta l’idea che la messa a disposizione del veicolo per i componenti del nucleo familiare possa rappresentare un alibi per il proprietario. Su quest’ultimo ricade comunque l’onere di avere sempre ben presente la persona a cui la conduzione del veicolo viene affidata, per poter poi adempiere all’obbligo di comunicare l’identità del soggetto che ha compiuto una violazione del Codice della strada (Cassazione, ordinanza 16952/13).

 

Il caso
Automobile familiare unica: soluzione che può proteggere l’ambiente – meno veicoli in strada, meno smog –, e, soprattutto, può rendere più sostenibili i bilanci domestici, con spese potenzialmente ridotte. Ma tale situazione non libera il proprietario – ufficiale – del veicolo dall’onere di monitorarne costantemente l’utilizzo. Casus belli è l’«eccesso di velocità» contestato dalla Polizia stradale, che, però, può soltanto prender nota della targa, senza riuscire a identificare il conducente. Passaggio successivo è, per questo, il confronto col proprietario del veicolo, che però non fornisce «i dati personali e della patente di guida del conducente del veicolo, al momento del rilevamento dell’infrazione». Conseguenziale è il «verbale della Polizia stradale», con cui viene contestata al proprietario del veicolo la violazione dell’articolo 126 bis del Codice della strada. E per i giudici – prima il Giudice di pace, poi quello del Tribunale – l’azione della Polizia stradale è assolutamente legittima.

 

Anche dinanzi ai giudici della Cassazione, però, l’uomo contesta le ragioni del verbale, ribadendo di non aver potuto «fornire i dati del conducente, avendo egli», il giorno della violazione del Codice della strada, «affidato il veicolo a terze persone – delle quali forniva le generalità – e non essendo egli a bordo della vettura». Ma appiglio fondamentale, in realtà, è il richiamo alla idea di «automobile di famiglia, guidata da parenti stretti del proprietario»: non è possibile, in questi casi, sostiene l’uomo, «un dovere di conoscenza, là dove ci si trovi in presenza di un libero utilizzo della macchina dell’ambito familiare». Perché, allora, domanda infine l’uomo, non ritenere «giustificata la non conoscenza, da parte sua, dei dati del conducente»? Nonostante tutto, però, la linea portata avanti dall’uomo viene ritenuta non apprezzabile dai giudici della Cassazione, i quali, condividendo quanto stabilito in secondo grado, spiegano che, anche di fronte all’idea di «auto di famiglia», il proprietario del veicolo «è tenuto a conoscere l’identità dei soggetti ai quali ne affida la conduzione», proprio per potere «adempiere al dovere di comunicare l’identità del conducente» laddove venga contestata una violazione del Codice della strada.


da dirittoegiustizia.it

 

Venerdì, 26 Luglio 2013
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