«Voglio stringere la mano a quel camionista eroe»
L'uomo ripensa a quel camionista che lo ha aiutato negli istanti più disperati della sua vita, quando dopo lo schianto in autostrada il cuore della sua bimba di 8 anni non batteva più, e altre auto rischiavano di piombare loro addosso da un momento all'altro
«Non so chi sia quel camionista: era giovane e magro, e da una scritta sul cassone del tir ho capito che era bosniaco: è sparito poco dopo avermi aiutato a salvare la vita a mia figlia, ma vorrei rivederlo per stringergli la mano e ringraziarlo». Abdelhamid Haddach ha trascorso una giornata da incubo e una notte insonne davanti al letto della figlia Jihan, ancora in condizioni gravissime, e finalmente si prende una pausa per mangiarsi il primo panino dopo 36 ore. L'uomo ripensa a quel camionista che lo ha aiutato negli istanti più disperati della sua vita, quando dopo lo schianto in autostrada il cuore della sua bimba di 8 anni non batteva più, e altre auto rischiavano di piombare loro addosso da un momento all'altro.
Quello sconosciuto li ha protetti piazzando il suo tir di traverso e creando una barriera. E alla fine è sparito nel nulla, prima che qualcuno avesse fatto in tempo a farsi dire il suo nome o a ringraziarlo. «Ricordo solo che parlava bene italiano, ci siamo capiti facilmente», racconta l'uomo in una saletta di fronte alla Terapia intensiva del «Papa Giovanni XXIII», mentre al suo fianco una parente tiene stretta la mano di sua moglie. La coppia sembra esausta, dopo due giorni di lacrime e preghiere di fronte a quella bimba che è sfuggita alla morte in mezzo a un’autostrada ma che non è ancora fuori pericolo. Domenica, nelle ore successive all’incidente, Jihan è stata sottoposta a un intervento neurochirurgico per il gravissimo trauma cranico e a uno di chirurgia plastica per le ferite al viso. Nella notte successiva le sue condizioni sono ulteriormente peggiorate, tanto che si è reso necessaria una nuova operazione.
«Io l'ho guardata bene, sono sicuro che si salverà, Inshallah», mormora Haddach, 45 anni, marocchino in Italia dal 1997 e da 15 anni operaio in un mobilificio di Pieve di Soligo (Treviso), dove abita. L'uomo ha ancora davanti agli occhi la scena dello schianto, avvenuto domenica alle 7 durante il ritorno della famiglia dalle vacanze vicino a Marrakech. «Poco dopo il casello di Dalmine — racconta — mi sono spostato sulla quarta corsia per sorpassare un bilico che viaggiava sulla terza. Proprio a metà sorpasso, all’altezza di una curva, il camion si è spostato entrando nella mia corsia. Per non restare schiacciato contro la barriera ho frenato di colpo. La mia macchina ha fatto un testacoda, ha urtato il new jersey con la parte anteriore e poi si è schiantato più forte con quella posteriore». Lo schianto ha catapultato all’esterno la bimba, che stava dormendo sul sedile posteriore: «La portiera posteriore si è spalancata e mia figlia è stata scagliata fuori. È finita con la testa contro la barriera. Sono subito corso a soccorrerla: aveva il viso coperto di sangue, e non respirava». Mentre il camion che aveva provocato l'incidente continuava la sua corsa senza fermarsi, Haddach si è accorto che le auto in arrivo sulle corsie di marcia più veloce rischiavano di piombare addosso alla sua Ford Galaxy, rimasta di traverso tra la terza e la quarta: «Mi sono alzato per segnalare alle auto di fermarsi, e quando ho visto quel tir che rallentava ho segnalato al camionista di mettersi di traverso per proteggerci, e per fortuna ha capito subito». L'autoarticolato del bosniaco ha fatto una breve manovra e si è piazzato in modo da sbarrare tre corsie, lasciando libera per il traffico solo la prima: «Ho visto che è sceso dal camion per segnalare alle auto di spostarsi, e per piazzare il triangolo in mezzo alla strada. Poi è venuto ad aiutarmi». Sembrava che ci fosse poco da fare per la piccola Jihan: «Il camionista ha portato dell'acqua per lavarla dal sangue, e io ho provato a farle la respirazione bocca a bocca. Per fortuna in quel momento sono arrivati quei volontari».
Cioè i sette membri della Croce rossa di Lomazzo che stavano andando nel Mantovano per una gara di pronto soccorso e che, trovatisi di fronte l'incidente, sono subito intervenuti: «Uno di loro ha cominciato subito con il massaggio cardiaco, mentre io continuavo con la respirazione. In un paio di minuti mia figlia si è ripresa, ha cominciato a muoversi, e si anche messa piangere. Per me è stato un grandissimo sollievo, mi si è riaperto il cuore». Sono stati istanti infiniti ma che sono durati in tutto un quarto d’ora, il tempo perché sul posto arrivassero un'ambulanza del 118 e una pattuglia della Stradale di Seriate. I volontari di Lomazzo sono risaliti sul loro pulmino e il camionista, dopo un gesto di saluto, si è rimesso al volante ed è sparito nel traffico senza prima ancora che qualcuno fosse riuscito a capire come si chiamasse. Da quel momento per Abdelhamid Haddach e la moglie sono cominciate lunghe ore di ansia e di paura, seduti in Terapia intensiva nell’attesa che Jihan riapra gli occhi e che i medici dicano loro che non c’è più pericolo per la sua giovane vita. Un pericolo non ancora scongiurato: «Abbiamo solo la speranza. Ma sappiamo che in questa storia siamo stati fortunati, tante persone prima in strada e poi qui in ospedale ci hanno dato il loro aiuto per salvare la nostra bambina. Voglio ringraziare tutti e vorrei stringere la mano anche a quel camionista, se mai si riuscirà a trovarlo. L'Italia è stata buona con noi».