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Autovelox: necessaria la preventiva segnalazione documentata nel verbale di accertamento

(Tribunale Piacenza, sentenza 8 giugno 2013)

 

Foto di repertorio dalla rete

Il Tribunale di Piacenza, nella sentenza in commento in materia di circolazione stradale, ha affrontato il tema relativo alla possibilità di attribuire fede privilegiata alle dichiarazioni rese in giudizio dall’agente di p.g. verbalizzante circa preventiva segnalazione dell’apparecchio di rilevamento della velocità (preventiva segnalazione resa obbligatoria, con l’entrata in vigore dell’art. 3 del d.l. n. 117 del 2007, conv. nella l. n. 160 del 2007, per tutti i tipi e modalità di controllo effettuati con apparecchi fissi o mobili installati sulla sede stradale).

Ad avviso del giudice, evidenti ragioni di tutela del buon andamento, efficienza, efficacia ed imparzialità dell’azione amministrativa implicano in capo alla amministrazione procedente un correlativo onere di documentazione dell’adempimento di tale obbligo.

Ciò può avvenire mediante la predisposizione, da parte dell’Amministrazione, di appositi moduli prestampati (che rechino l’espressa menzione della presenza o dell’assenza di segnaletica mobile) da compilarsi in occasione della contestazione delle infrazioni.

Nel caso di specie, il modulo notificato, e prodotto in atti, non recava alcuna indicazione circa la presenza o meno di autovelox, e ciò in aperta violazione dell’art. 142 C.d.S., che assume rilevanza anche sotto il diverso e connesso profilo del vizio di motivazione dell’atto.

Ora, osserva il giudice, se l’atto pubblico, non impugnato con querela di falso, non essendo contestabile dalle parti, implica l’inammissibilità delle prove orali contrarie, a fortiori non può essere oggetto di prova orale “integrativa” a mezzo del funzionario autore dell’atto.

Essa, infatti, renderebbe incerto e modificabile in ogni tempo ed al di fuori dei modi e termini di legge il contenuto dell’atto amministrativo, rimuovendo pertanto ogni garanzia del corretto operato della P.A., che si verrebbe a trovare in una posizione di favor priva di addentellati normativi.

Ciò implica, conclude il Tribunale di Piacenza, “che il giudice di prime cure avrebbe dovuto attenersi alle risultanze dell’atto fidefaciente, così concludendo per l’assenza sui luoghi dell’apparecchio di rilevamento della velocità” e conseguente illegittimità del verbale di contestazione impugnato.

(Nota di Giuseppina Mattiello)

 

Tribunale di Piacenza

Sentenza 8 giugno 2013

n. 4356/2008 RG

 

La presente sentenza viene redatta secondo le indicazioni dettate dagli art.li 132 cpc e 118 disp. att. c.p.c.

1. L’appellante impugna la sentenza n. 792/08 con cui il Giudice di Pace di Piacenza ha respinto il ricorso proposto dall’odierno appellante avverso il verbale n. 804A/2007 notificatogli dalla Polizia Municipale dell’ Unione dei Comuni Bassa Val Trebbia e Val Luretta con il quale gli si contestava la violazione dell’art. 142.8 C.d.S. asseritamente avvenuta in località Gragnano (PC) in data 13.09.2007.

La sentenza resa dal giudice di prime cure viene censurata in quanto ingiusta ed iniqua ed in particolare per aver il G.d.P. attribuito fede privilegiata alle dichiarazioni dell’agente di p.g. verbalizzante, escusso in dibattimento sulle circostanze dell’infrazione contestata ed in specie sulla presenza o meno della segnaletica mobile; ciò sotto il profilo formale. Sotto il profilo sostanziale, i motivi d’appello – che ripercorrono le doglianze già svolte in prime cure – evidenziano come l’iter logico seguito da quel decidente appaia inficiato da un tendenziale favor per l’ Amministrazione appellata, “parte privilegiata”.

L’appellante chiede conseguentemente, in riforma della pronuncia di primo grado, annullarsi con qualsiasi formula il verbale de quo.

Resiste l’amministrazione appellata contestando tutto quanto ex adverso dedotto ed eccepito ed insistendo per il rigetto del gravame.

2. L’appello è fondato e merita accoglimento.

Anche in ragione della data della pretesa infrazione (13.09.2007) può rammentarsi l’arresto della Giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’obbligo della preventiva segnalazione dell’apparecchio di rilevamento della velocità previsto, in un primo momento, dall’art. 4 del d.l. n. 121 del 2002, conv. nella legge n. 168 del 2002, per i soli dispositivi di controllo remoto senza la presenza diretta dell’operatore di polizia, menzionati nell’art. 201, comma 1- bis, lett. f), del codice della strada, è stato successivamente esteso, con l’entrata in vigore dell’art. 3 del d.l. n. 117 del 2007, conv. nella l. n. 160 del 2007, a tutti i tipi e modalità di controllo effettuati con apparecchi fissi o mobili installati sulla sede stradale, nei quali, perciò, si ricomprendono ora anche gli apparecchi telelaser gestiti direttamente e nella disponibilità degli organi di polizia (così Cass. 656/2010; Cass. 13727/2011). L’obbligo di segnalazione, pertanto, sussisteva.

Evidenti ragioni di tutela del buon andamento, efficienza, efficacia ed imparzialità dell’azione amministrativa implicano in capo alla amministrazione procedente un correlativo onere di documentazione dell’ adempimento di tale obbligo; ed invero funzionale proprio all’attuazione di tali principi deve intendersi la predisposizione, da parte dell’Amministrazione, di appositi moduli prestampati da compilarsi in occasione della contestazione delle infrazioni; moduli che, pertanto, dovrebbero recare espressa menzione della presenza o dell’assenza di segnaletica mobile.

Nel caso di specie, viceversa, il modulo notificato, e prodotto in atti, non reca alcuna indicazione sul punto, neanche per implicito o per relationem. Palese è dunque l’inosservanza del disposto dell’art. 142 C.d.S., che assume rilevanza anche sotto il diverso e connesso profilo del vizio di motivazione dell’atto, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza appellata.

Per costante ed assolutamente consolidata giurisprudenza il verbale di accertamento, in quanto redatto dal pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, fa piena prova fino a querela di falso (cfr. da ultimo Cass. 15966/2012). Tanta e tale è l’ efficacia probatoria riconosciuta a tale documento da precludere al giudice ogni sindacato di merito su fatti e circostanze ivi riportate: il costante, se non ossessivo, riferimento della giurisprudenza in materia alla necessità di precludere al giudice ogni valutazione sulle modalità dell’accertamento (dispiegamento di uomini e mezzi, individuazione della sede stradale o della porzione di questa da sottoporre a controllo, individuazione del luogo ove posizionare l’apparecchiatura; in terminis da ultimo Sez. Un. 3936/2012) ben può ritenersi fondato, oltre che sul principio di salvaguardia della discrezionalità della pubblica amministrazione, anche sul rilievo, di ordine processuale e sostanziale, della impossibilità di spingere l’apprezzamento dei fatti di causa al di là di quanto risulti da un atto fidefaciente non ritualmente contestato. In altri termini, finché non sia proposta e definita la querela di falso, e non sia pertanto caducata, insieme con l’atto, la sua forza preclusiva di ogni contrario accertamento, non possono essere ammessi mezzi istruttori tesi a contrastare il contenuto dell’atto a fede privilegiata.

Ciò è invece esattamente quanto avvenuto nel caso di specie; non sfugge pertanto il rilievo, preliminare, della inammissibilità della prova orale articolata, dedotta ed illegittimamente ammessa ed esperita in primo grado.

3. Al vulnus dei principi regolatori della prova nel processo civile si affianca peraltro l’altrettanto grave lesione dei principi di buon andamento, efficienza, efficacia ed imparzialità dell’azione amministrativa. Se infatti l’atto pubblico, non impugnato con querela di falso, non essendo contestabile dalle parti, implica l’inammissibilità delle prove orali contrarie (ciò che vale peraltro in linea generale per ogni prova documentale), a fortiori non può essere oggetto di prova orale “integrativa”. Essa, logicamente unilaterale potendo provenire solo dalla stessa Amministrazione a mezzo del funzionario autore dell’atto, vale infatti a rimuovere ogni certezza sul contenuto dell’atto amministrativo, rendendone possibile la modifica in ogni tempo ed al di fuori dei modi e termini di legge, vanificando tanto il sistema delle impugnazioni quanto lo strumento dell’autotutela, e rimuovendo pertanto ogni garanzia del corretto operato della P.A.

Per le superiori considerazioni coglie nel segno la doglianza di parte appellante secondo cui l’illegittima ammissione della prova orale sia valsa ad attribuire alla P.A. la veste di “parte privilegiata”, riscontrando una posizione di supremazia solo apparentemente connessa all’esercizio di poteri autoritativi, ma in realtà contraria al corretto esercizio degli stessi; con ciò concedendo una posizione di favor priva di addentellati normativi.

4. Nel merito, ciò implica che il giudice di prime cure avrebbe dovuto attenersi alle risultanze dell’atto fidefaciente, così concludendo per l’ assenza sui luoghi dell’apparecchio di rilevamento della velocità. Ed invero, quand’anche l’omessa compilazione del verbale sul punto non fosse stata interpretabile quale omissione consapevole, e dunque quale espressa affermazione della inesistenza dell’apparecchio, legalità e correttezza della azione amministrativa avrebbero voluto l’annullamento in autotutela del verbale incompleto o inesatto, e la notifica di un nuovo emendato da tali vizi; certamente non la sua “informale” correzione, integrazione e specificazione a mezzo testimonianza e produzioni documentali integrative in corso di causa, che certamente non sarebbero state ammissibili per qualsiasi parte privata.

In assenza pertanto di risultanze formali contrarie – risultando quelle in atti irrituali e pertanto tamquam non essent – doveva allora e deve tuttora concludersi per l’inosservanza, da parte della P.A., dell’ obbligo di cui all'articolo 142 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, così come successivamente modificato ed integrato; donde l’ illegittimità del verbale di contestazione impugnato.

Da tali rilievi, assorbenti ogni diverso ed ulteriore profilo, discende l’accoglimento dell’appello. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, avuto riguardo alla natura della controversia, alla complessità delle questioni, alle modalità della loro trattazione, al valore assegnato, nonché alla determinazione del compenso professionale che, in forza del combinato disposto del D.M. 140/2012 e dell'art. 2233, comma 2, codice civile, deve essere in ogni caso adeguato all’ importanza dell’opera ed al decoro della professione.

 

P.Q.M.

 

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

Accoglie l’appello; per l’effetto, a totale riforma della sentenza n. 792/08 emessa dal Giudice di Pace di Piacenza,

accerta e dichiara la nullità del verbale n. 804A/2007 per cui è causa, e per l’effetto

accerta e dichiara non dovute le somme recate dal predetto verbale;

accerta e dichiara
non dovuta la decurtazione di n.5 punti dalla patente di guida dell’appellante;

Condanna l’appellata a rifondere all’appellante le somme eventualmente già corrisposte in esecuzione della pronuncia di primo grado;

Condanna l’appellata al riaccreditamento dei punti illegittimamente decurtati dalla patente di guida dell’appellante;

Condanna l’appellata a rifondere all’appellante le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio che liquida in Euro 5.000,00 oltre IVA e accessori di legge.

Così deciso in Piacenza, 08 giugno 2013

Il Giudice (dott. Antonino Fazio)

 

da Altalex

 

 


 

Mercoledì, 04 Settembre 2013
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