Sinistro stradale: l’incidenza dell’acconto versato al danneggiato sulla competenza per valore
Ai fini della determinazione della competenza per valore, occorre tener presente l’ammontare del danno nel suo intero ancora da accertare e non alla differenza richiesta a seguito di un versamento già ricevuto e trattenuto in acconto.
Con l’ordinanza n. 45/2013 il Giudice di Pace di Marsala ha declinato la propria competenza relativamente ad una domanda di risarcimento danni proposta in conseguenza di un sinistro stradale.
Secondo il giudicante, ai fini della determinazione del valore della controversia, alla richiesta di € 20.000,00 avanzata nell’atto introduttivo del giudizio, andavano aggiunte le somme già corrisposte all’attore nella fase stragiudiziale (nella specie ammontanti a € 9.700,00) e da questi accettate a mero titolo di acconto. Ciò, sul presupposto che “ai fini della determinazione della competenza per valore, la decisione si estende alla quantificazione dell’intero danno”.
Nelle controversie per il risarcimento dei danni derivanti dalla circolazione stradale accade assai di frequente (in realtà nella generalità dei casi) che, in occasione della trattativa stragiudiziale che precede la causa, l’assicurazione del responsabile civile versi una somma al danneggiato, somma che viene trattenuta da quest’ultimo in acconto sul maggior dovuto.
In dottrina ci si chiede che incidenza abbia, tale acconto, sulla determinazione della competenza per valore.
La questione non è di poco conto, soprattutto ove si consideri il peso che la devoluzione di una controversia ad tribunale anziché al giudice di pace ha sui costi del processo.
Sulla base del presupposto secondo il quale la decisione si estende su tutto il danno subito (e non solo sulla parte non coperta da preventivo risarcimento), la giurisprudenza di merito si è così pronunciata:
“Ai fini della determinazione della competenza per valore relativamente ad una causa di risarcimento del danno conseguente a sinistro stradale, occorre aver riguardo all’intero ammontare del danno sofferto, e non solamente alla differenza rispetto alla somma già ricevuta ed accettata dal danneggiato a titolo di acconto del maggiore avere”(così Giudice di Pace Roma, sentenza 3 marzo 1999)
ed ancora
“la competenza per valore nelle cause di risarcimento danni conseguenti a sinistro stradale nell’ipotesi di versamento di acconto al danneggiato, va determinata tenendo conto del danno complessivo subito, e non della differenza tra la somma spettante e quella già accettata a titolo d’acconto” (Tribunale di Rovigo, sentenza del 28 maggio 2002).
Nella decisione in commento il Giudice di Pace di Marsala ha applicato fedelmente tale linea interpretativa, tuttavia, simile scelta, pur essendo concettualmente coerente con la struttura unitaria del danno, stride fortemente con i principi e le regole che la dottrina e la giurisprudenza hanno da tempo elaborato in relazione agli articoli 7, 10 e 14 del codice di procedura civile.
L’individuazione specifica di simili contrasti postula alcune osservazioni preliminari circa il contenuto e la portata applicativa dei tre riferiti articoli.
E’ noto come il secondo comma dell’art. 7 c.p.c., così come novellato dal comma 1 dell’art. 45, legge 18 giugno 2009, n. 69, nell’attribuire al giudice di pace la competenza a conoscere le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e di natanti, circoscriva detta cognizione alle controversie il cui valore non superi i ventimila euro, limite che, secondo quanto prescritto dal successivo articolo 10 c.p.c., va determinato in base alla domanda.
In dottrina ci si è chiesti a quali dei tre elementi costitutivi della domanda (personae, petitum, causa petendi) faccia riferimento l’articolo 10 del codice di procedura civile.
Secondo un primo (e prevalente) indirizzo, poiché con simile locuzione il legislatore avrebbe inteso attribuire rilevanza all’interesse il cui riconoscimento o la cui realizzazione si persegue in giudizio (così Carnelutti, Sistema di diritto processuale civile, Padova; Satta, Commentario al codice di procedura civile, Milano), la determinazione del valore della controversia non può non tener conto anche della causa petendi, ma “nei limiti del petitum” (Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, II, Napoli; Capponi, Note in tema di rapporti tra competenza e merito. Contributo allo studio dell'art. 38 c.p.c., Torino, 1997; Liebman, Manuale di Diritto Processuale civile, I, 3ª ed., Milano, 1973; Montesano, Arieta, Trattato di diritto processuale civile, I, 1, Padova, 2001).
Secondo un diverso orientamento, più vicino alla linea interpretativa espressa in riferimento al successivo articolo 14 del codice di procedura civile, ai fini della determinazione della competenza per valore, tra gli elementi costitutivi della domanda giudiziale, rileverebbe, invece, soltanto il petitum, senza che le personae o la causa possano influire su di esso (D'Onofrio, Commento al codice di procedura civile, I, 3ª ed., Torino).
Dall’affermazione del principio in base al quale il valore della causa si determina dalla domanda, derivano poi, sempre secondo la dottrina, due conseguenze di carattere pratico.
La prima consiste nella necessità di considerare la domanda in concreto (Cfr. Satta, Commentario al codice di procedura civile, Milano, il quale afferma, in particolare che “i termini e il contenuto della domanda si deducono dagli atti di causa”), ossia tenendo conto solo di quanto richiesto dall’attore e non anche all’oggetto dell’accertamento che il giudice deve compiere quale antecedente logico per decidere del fondamento della domanda (Cfr. Cassazione, sentenza 21 gennaio 2005, n. 1338, che afferma ”Ai fini della determinazione della competenza per valore nelle cause per pagamento di somme di denaro, deve aversi riguardo a quanto in concreto richiesto dall'attore, e non all'oggetto dell'accertamento che il giudice deve compiere quale antecedente logico per decidere del fondamento della domanda - Nella specie, la Corte di Cassazione ha ritenuto rientrare nella competenza per valore dell'adito Giudice di pace la domanda di un Giudice tributario volta ad ottenere, in via equitativa, l'attribuzione di una somma per le funzioni di giudice onorario svolte in un mese determinato, solo parametrata nel “quantum” all’indennità giudiziaria prevista dalla legge n. 27 del 1981, escludendo altresì l’applicabilità dell’art. 34 c.p.c., in quanto non si poteva ritenere che la questione, se i funzionari onorari abbiano titolo per pretendere compensi diversi ed ulteriori, rispetto a quelli stabiliti da norme e determinazioni amministrative, costituisse una pregiudiziale in senso tecnico-giuridico – “ Ed ancora, in una fattispecie diversa, Cassazione, sentenza 07 maggio 2004, n. 8717, la quale afferma che “Ai fini della determinazione della competenza per valore nelle cause per pagamento di somme di danaro, deve aversi riguardo a quanto in concreto richiesto dall'attore - nella specie, rata di finanziamento -, e non all’oggetto dell’accertamento che il giudice deve compiere quale antecedente logico per decidere del fondamento della domanda, con la conseguenza che l’eccezione del convenuto in ordine all'esistenza o validità del rapporto contrattuale sul quale è basata la domanda - nella specie, rapporto di finanziamento -, comporta lo spostamento della competenza, in dipendenza del maggior valore dell’intero rapporto rispetto al valore della domanda, solo nel caso in cui l’eccezione non sia stata proposta come mero mezzo di difesa, ma dia luogo ad una questione pregiudiziale da risolversi con efficacia di giudicato”).
Dal principio in base al quale il valore della causa si determina dalla domanda, discende, inoltre, la necessità che il valore medesimo sia determinato non in base al decisum (rectus: somma attribuita in concreto alla parte vittoriosa), ma al deductum (ossia a quanto dedotto nell’atto introduttivo del giudizio), con la conseguenza ulteriore che ai fini dell’individuazione della competenza per valore non interessano i limiti entro cui la domanda potrebbe essere accettata (E così, in caso di domanda di risarcimento dei danni, si è affermato che occorre avere riguardo non già ai limiti entro cui questa potrebbe essere accolta, bensì alla “somma complessivamente pretesa dall’attore”, sommando con il capitale gli interessi già scaduti e, limitatamente al periodo tra l’evento dannoso e la domanda stessa, l’indennizzo del danno da svalutazione monetaria. In sostanza, bisogna considerare la domanda con ogni suo accessorio al momento della relativa proposizione, cfr. Cassazione, sentenza 08 agosto 1984, n. 4639, secondo cui “A norma degli art. 5 e 10 c. p. c., il valore della causa, ai fini della competenza, deve essere determinato in base, non al decisum, ma al deductum e valutando la domanda con ogni suo accessorio al momento della relativa proposizione, sicché in ipotesi di domanda di risarcimento dei danni, occorre avere riguardo non già ai limiti entro cui questa potrebbe essere accolta, bensì alla somma complessivamente pretesa dall’attore, sommando con il capitale gli interessi già scaduti e, limitatamente al periodo tra l’evento dannoso e la domanda stessa, l’indennizzo del danno da svalutazione monetaria” ed ancora, anche se resa in una fattispecie differente, Cassazione, sentenza 16 giugno 2000, n. 8243 “ai fini della determinazione della competenza, l’articolo 10, c.p.c., anche nella sua nuova formulazione, attribuisce valenza determinante non già al "decisum" bensì al "deductum" o, meglio, al "disputandum", e perciò alla valutazione della domanda, con ogni suo accessorio, al momento della relativa proposizione; ne consegue che, proposta dinanzi al tribunale per i minorenni domanda di dichiarazione giudiziale di paternità e di condanna del genitore naturale al mantenimento del minore, la competenza del tribunale per i minorenni resta ferma anche nell’ipotesi in cui venga successivamente dichiarata la cessazione della materia del contendere in relazione alla richiesta di dichiarazione giudiziale di paternità”. Anche la dottrina, però, afferma la rilevanza di ciò che è stato domandato, e non di ciò che il giudice nel merito accerterà esistente, cfr. Luiso, Diritto processuale civile, I, 3ª ed., Milano, 2000).
L’ordinanza in commento, nell’attribuire rilevanza all’acconto versato dall’assicurazione ai fini della determinazione della competenza per valore, si discosta sia dal primo che dal secondo orientamento dottrinario riferito per aderire alla posizione di chi, pur richiamandosi alla citata combinazione tra petitum e causa petendi, all’evidente scopo di impedire che il giudizio sulla competenza sia impedito dal mero arbitrio di una parte, sostiene, invece, che il giudice, ai sensi dell’articolo 10 c.p.c., abbia sì il dovere di qualificare il contenuto sostanziale della domanda fatta valere in giudizio attraverso i consueti criteri di identificazione delle azioni (petitum e causa petendi), ma senza far riferimento “soltanto” ai contenuti dell’esposizione dell’attore (per tale orientamento dottrinario: Levoni, Competenza nel diritto processuale civile, in Digesto civ., III, Torino).
Il (pur) nobile obiettivo di scongiurare l’aggiramento del principio del giudice naturale precostituito per legge, non è però da solo idoneo a legittimare simile orientamento e ciò in quanto la Corte Costituzionale, sebbene con riferimento alla clausola di contenimento, ha dichiarato che “L’articolo 25 della Costituzione tutela solo l’esigenza che la competenza degli organi giudiziari, al fine di una garanzia rigorosa della loro imparzialità, venga sottratta ad ogni possibilità di arbitrio attraverso la precostituzione per legge del giudice in base a criteri generali fissati in anticipo e non in vista di singole controversie” (cfr. Corte Cost., sentenza 8 marzo 1996, n. 69).
Le divergenze tra l’orientamento seguito nell’ordinanza in considerazione ed i principi enucleati dalla dottrina in materia di competenza per valore nelle controversie per il risarcimento dei danni derivanti dalla circolazione stradale, emergono, però, soprattutto in relazione al successivo articolo 14 del codice di procedura civile.
Il criterio generale di competenza fissato nell’articolo 10 del codice di procedura civile, si arricchisce, infatti, di numerose specificazioni in relazione alle varie ipotesi che possono realizzarsi in concreto.
In particolare, relativamente alle controversie per il risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli, entra in gioco l’articolo 14 del codice di procedura civile, dettato per le cause relative a somme di danaro e a beni mobili, ossia, come specificato dalla dottrina, per tutte quelle controversie “in cui la domanda si concreta in una somma, a prescindere dal titolo in forza del quale essa è pretesa” (cfr. Satta, Commentario al codice di procedura civile, I, Milano, 1959, 103; Satta, Punzi, Diritto processuale civile, 13ª ed., Padova, 2000, 42, Luiso, Diritto processuale civile, I, 3ª ed., Milano, 2000, si legge anche che la somma di danaro può essere determinata o anche indeterminata, come nel caso, assai frequente nella pratica, in cui l’attore chieda il risarcimento dei danni nella misura che risulterà dall’istruttoria).
Secondo la dottrina prevalente, il 1° comma dell’articolo 14 del codice di procedura civile, nello stabilire che nelle cause aventi ad oggetto somme di danaro il valore si determina in base alla somma indicata dall’attore, attribuirebbe rilevanza al solo petitum (Camber, Rapporti tra competenza e merito, Padova, 1960, 423; Capponi, Note in tema di rapporti tra competenza e merito. Contributo allo studio dell’art. 38 c.p.c., Torino, 1997, 148), cioè, in linea diametralmente opposta al criterio generale dettato dall’articolo 10 citato, esclusivamente all’importo domandato (Levoni, Mandrioli, il quale afferma anche che “l’articolo 14 c.p.c. rappresenta pur sempre un’applicazione della regola generale di cui all’art. 10 c.p.c., ma “falcidiata”).
La scelta di dare rilevanza al solo petitum, così dettando un criterio di determinazione del valore semplice ed unico per ogni causa relativa ad un’obbligazione pecuniaria, troverebbe la sua ratio nella volontà del legislatore di semplificare la ricerca del valore ai fini della competenza (Capponi, Note in tema di rapporti, il quale osserva anche che “il limite all’irrilevanza del titolo è rappresentato dai casi in cui quest’ultimo determina l’attribuzione della causa alla competenza per materia di un giudice, si pensi, ad es., ad un rapporto associativo agrario”).
L’articolo in esame, dunque, avrebbe un campo di applicazione molto più ampio rispetto a disposizioni in cui rileva, come negli artt. 12, 13, anche la causa petendi (Capponi, Note in tema di rapporti, 148).
A questo punto è agevole comprendere come la scelta di attribuire rilevanza, ai fini della determinazione del valore, anche alla somma accettata a titolo di acconto nella fase stragiudiziale contrasti sia con i principi e le regole elaborati in riferimento all’articolo 10 del codice di procedura civile che in relazione del successivo articolo 14 del medesimo codice.
Se, infatti, ai fini della determinazione del valore della controversia deve farsi riferimento solo al petitum (o, come sostenuto in riferimento all’articolo 10 c.p.c., anche alla causa petendi, ma nei limiti del petitum) non è possibile per il giudice attribuire rilevanza a ciò che non è oggetto di esplicita richiesta da parte dell’attore, poiché il “bene della vita che si cerca di ottenere attraverso il provvedimento richiesto al giudice” (così la definizione di petitum mediato contenuta in Verde, corso di diritto processuale civile, vol. 1) è solo quello prospettato dalla parte che agisce nel processo, e dunque qualsiasi intervento “additivo” da parte del giudice comporta la violazione di uno dei principi cardine del processo civile, ossia il principio dispositivo, di cui il principio della domanda costituisce diretta espressione (cfr. Corte Cost., sentenza 8 marzo 1996, n. 69).
Infine non può non rilevarsi, da un lato, che la giurisprudenza di legittimità ha escluso la rilevanza delle attività stragiudiziali ai fini della determinazione della competenza per valore (cfr. Cassazione, sentenza 5 gennaio 2011, n. 226, dove si afferma che “il valore della controversia, allorché non sia stato indicato nell’atto introduttivo del giudizio né integrato successivamente, non può desumersi per relationem dalle attività stragiudiziali o proposte transattive poste in essere dalla parte e dal suo legale, svoltesi al di fuori del contesto processuale”), dall’altro, che la stessa sentenza del Giudice di Pace di Roma richiamata nell’ordinanza in commento, nell’affermare, come già riferito, che “nel caso di domanda risarcitoria di danni da circolazione, ai fini della competenza per valore occorre avere riguardo all’intero ammontare del danno, e non soltanto alla differenza rispetto alla somma già ricevuta ed acquisita genericamente come acconto”, precisa anche che tale principio trova il proprio limite nell’ipotesi in cui vi sia una “preventiva e concorde imputazione specifica ad una voce componente il danno stesso, non riproposta con la domanda” (Giudice di Pace Roma, sentenza 3 marzo 1999, in Riv. Giur. Circ. e Trasp., 1999, 404).
Dunque, la stessa giurisprudenza posta a sostegno dell’orientamento che attribuisce rilevanza all’acconto ai fini della determinazione della competenza per valore, ad una lettura più attenta, risulta essere conforme alla regola generale in base alla quale, ai citati fini, deve farsi esclusivo riferimento a quanto richiesto dall’attore.
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