Venerdì 22 Novembre 2024
area riservata
ASAPS.it su
Articoli 09/09/2013

Polizia e Malapolizia, suicida dopo “interrogatorio”: cinque poliziotti alla sbarra
La vicenda a Crema, vede gli agenti sotto processo per sequestro di persona
Il clima si fa rovente attorno agli sbirri, frustrati e abbandonati

Commenta nel blog

di Lorenzo Borselli
foto Emanuele Scarpa

 

> Commenta nel blog

 

 
(ASAPS) Malavita: un tempo c’era solo questa. Si parlava di malavita, di un’esistenza moralmente deprecabile, dedita perlopiù al malaffare e che nel gergo moderno, o forse sarebbe più corretto dire nel gergo di un recente passato, indicava una specifica categoria di persone. Nessuno avrebbe mai immaginato, anche solo dieci o quindici anni fa, che al sostantivo mala se ne sarebbero poi accoppiati altri: malasanità, malapolitica, malapolizia. Si, avete letto bene: malapolizia.
 
Parliamo di questo, oggi, e partiamo da una notizia che ci ha sbattuti di nuovo in prima pagina, stavolta a Crema, città dove parte l’ennesima iniziativa contro l’abuso di potere che inchioda la polizia italiana al rango di una bieca masnada di sbirri. E la società, se si passano in rassegna siti e blog che a tale pensiero si rifanno, sarebbe alla mercé di questa sbirraglia, dedita alla sopraffazione o, quando va bene, a vagabondare.
 
Il fatto riguarda un’operazione di polizia giudiziaria, portata a “compimento”, se così si può dire, da alcuni agenti della Polizia Stradale di Crema: nelle vicinanze della cittadina, per la precisione a Soresina, giusto un anno fa, una pattuglia della Specialità rinvenne sostanza stupefacente nella disponibilità di due stranieri.
Modica quantità, direbbero gli atti, ma anche in casi di questo genere le indagini sono un obbligo della PG e quando uno dei due fermati spiegò ai poliziotti che la roba era stata loro venduta da un giovane nel parco pubblico, gli agenti andarono a cercarlo a casa per invitarlo a recarsi al Distaccamento. La sua auto era dal meccanico e così salì sull’auto della polizia per essere accompagnato in ufficio.
Viene poi denunciato e rilasciato, ma questo sembra essere un dettaglio. Non sono note lesioni, e anche questo sembra essere solo un particolare in meno.
 
Escono articoli di stampa relativi all’operazione, nei quali viene fatto il nome del giovane e questo qualche giorno dopo si toglie la vita. In una lettera avrebbe attribuito la ragione del suo gesto a quell’interrogatorio e la madre sporge querela.
Oggi, cinque poliziotti sono sotto processo per sequestro di persona e altri reati, dei quali non sappiamo notizie certe, forse si parla di istigazione al suicidio, ma è certo che secondo il Pubblico Ministero non ci sarebbero state ragioni sufficienti per portare (o sarebbe meglio dire convocare) il giovane in ufficio.
Sul fatto, è chiaro, la procura ha indagato a fondo, arrivando in breve tempo a chiudere le indagini e a far iniziare il processo.
Teniamo duro e abbiamo ancora fiducia nelle istituzioni, ma una domanda ce la poniamo: cosa sta succedendo in questo paese?
Possibile che convocare una persona in ufficio, sentirla, denunciarla e lasciarla subito dopo andare, integri il reato di sequestro di persona?
 
Secondo il Pubblico Ministero gli agenti avrebbero costretto con la forza il giovane a salire sull’auto della polizia e lo avrebbero portato al distaccamento contro la sua volontà, ma è stata la stessa madre ad ammettere che la macchina del figlio era in carrozzeria.
Cosa vuol dire, allora, contro la sua volontà?
Ogni ufficio di polizia invita centinaia di persone all’anno, ricorrendo spesso all’articolo 650 del codice penale. Ordine di polizia, si dice impropriamente, ma propriamente, se l’invitato non si presenta e quindi non ottempera all’ordine legalmente dato dall’autorità (ed è legale se viene motivato in maniera chiara, seppure succinta o se viene adottato in presenza di ragioni contingenti, determinate cioè da necessità ovvero opportunità attuali, come ad esempio l’identificazione di una persona che si considera essere uno spacciatore), questo viene denunciato all’Autorità Giudiziaria.
Nell’udienza del 4 settembre, è stata sentita come teste una marescialla dei Carabinieri di Soresina, che ha riferito come il giorno del suicidio del ragazzo, un vicino di casa le avesse detto che il giovane era rimasto molto scosso dall’articolo del giornale dove veniva indicato come spacciatore.
 
Ma non si dice, all’articolo 351 del codice di procedura penale che la polizia giudiziaria non può deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite?
In ogni caso, secondo il racconto che fanno della vicenda i quotidiani on-line, davanti ai giudici avrebbe parlato prima la fidanzata, che ha raccontato come il giovane di tanto in tanto facesse uso di stupefacenti, ma che non fosse uno spacciatore, specificando come il ragazzo temesse la prigione e come lo stesso le avesse raccontato dei modi bruschi di alcuni poliziotti e poi la mamma, che ha raccontato come suo figlio fosse stato male a causa dei modi utilizzati dagli agenti (confermando però che l’auto del figlio il giorno nel quale gli agenti erano andati a casa a prenderlo era in carrozzeria).
Sappiamo bene che la disciplina giuridica disserta moltissimo sul reato di sequestro di persona, ma è possibile che ufficiali o agenti di PG che stiano seguendo una pista e che individuino un soggetto che potrebbe essere l’autore dei reati su cui stanno investigando, non possano invitarlo e sentirlo in ufficio?
È forse stato picchiato? Perché se il giovane fosse tornato a casa con lesioni, avremmo fatto come facciamo sempre: saremmo stati zitti.
Il confine che si sta tracciando, il clima che si sta arroventando attorno all’operato delle forze di polizia, sono il segno che c’è uno scollamento forte delle istituzioni.
 
Possibile che cinque agenti alla ricerca di uno spacciatore abbiano posto in essere ostacoli fisici o psicologici tali per un tempo giuridicamente apprezzabile, da configurare l’ipotesi di un sequestro di persona del giovane?
E allora, ogni volta che fermiamo qualcuno e lo sottoponiamo a controllo su strada, non commettiamo lo stesso reato? Quando ordiniamo al testimone di un incidente di stare a disposizione fino a quando non si riesca a verbalizzarne la versione, quando si convoca un sospetto in ufficio, quando si costringe una curva di tifosi a non uscire dal proprio settore o quando si obbligano gli stessi a salire su un treno? O quando facciamo stare centinaia di auto in coda per un controllo autostradale, come ad esempio testare il tasso alcolemico o verificare la presenza di catene a bordo.
Pensavamo che l’esempio del tossicodipendente rinchiuso in comunità o della monaca di clausura esaurissero la fattispecie di scriminante del consenso dell’avente diritto: se una persona non è in stato di arresto, tecnicamente può alzarsi e andarsene quando vuole no? Prima però ci sarà da farsi un’idea, ci sarà da capire di chi si tratta, ci sarà da redigere un verbalino di identificazione. È sequestro di persona?
 
Dire a un soggetto, che lo teniamo d’occhio, fargli capire che sappiamo quali siano i suoi comportamenti, cercare di ottenere da lui una confessione e di fatto impedirgli di andarsene a casa costringendolo a un vincolo psicologico, è sequestro di persona?
Quando viene prelevato a casa un sospetto di omicidio e poi leggiamo sui giornali che è crollato dopo ore di interrogatorio, il tempo che intercorre tra il suo ingresso nella stazione di polizia e la sua incriminazione, che tempo è? È sequestro di persona? Non è pressione psicologica? Non c’è restrizione della libertà personale?
Abbiamo sempre pensato che anche “ordinare” a una persona di venire ufficio per indagare non potesse configurare l’ipotesi di un sequestro perché si tratta certamente di limitazione dell’altrui libertà, ma scriminata in quanto le regole accettate di quell’incontro, stabilito per un’indagine giudiziaria o amministrativa, comportano il fatto che il sospetto debba tenersi in quel momento a disposizione per chiarire la sua posizione e consentire alle autorità di esercitare la propria funzione di tutela dell’interesse collettivo. Ma abbiamo anche sempre saputo che se quel soggetto non è in stato di arresto, lo stesso può andarsene quando vuole, salvo ovviamente peggiorare la sua posizione e complicare il nostro lavoro.
 
Forse c’è qualcosa che i giornali non sanno, perché francamente la vicenda, per come viene raccontata, ci sembra solo la brutta copia di un racconto kafkiano: a leggere i giornali, nei confronti del sospetto i cinque si sarebbero comportati come aguzzini, tanto che l’elemento soggettivo del reato sarebbe stato proprio quello di mantenerlo nella sfera del proprio privato dominio.
Sappiamo davvero poco di quello che è effettivamente successo, a parte la ricostruzione giornalistica, e siamo sicuri che la verità verrà a galla, come sempre accade quando c’è una divisa di mezzo: il caso Aldrovandi o il caso Sandri ne sono una conferma.
 
Ciò che ci preoccupa, e che ci delude, è che ora la malapolizia è divenuta una moda.
È colpa della polizia se nevica in autostrada, se una persona non viene curata dopo l’arresto (perché il problema è l’arresto!), è colpa della polizia se una persona perde il lavoro dopo aver subito il ritiro della patente, è colpa sempre di chi indossa una divisa.
A quando l’istigazione al suicidio dopo una multa?Se negli uffici del Distaccamento Polizia Stradale di Crema qualcuno ha abusato della propria funzione, lo diranno le indagini, ma attribuire alla condotta degli agenti il suicidio del giovane, anche da un punto di vista mediatico, ci sembra assurdo.
 
 
Capita, tutti i giorni, che una persona chiaramente colpevole si alzi dalla sedia davanti a noi e dica la famosa frase: “sono in arresto? No? Va bene, arrivederci.”
Fa parte del mestiere. È il lavoro sporco dello sbirro, quello che lo rende odioso, che permette poi ai pubblici ministeri, che tecnicamente assumono la direzione delle indagini, di chiedere un’incriminazione, di portare avanti un dibattimento, di arrivare alla condanna o all’assoluzione di un soggetto.
Se il sospetto, smettiamo di chiamarlo ragazzo, avesse rivelato agli agenti chi lo approvvigionasse di sostanza stupefacenti, le indagini sarebbero andate avanti e nessuno avrebbe parlato di sequestro di persona o così almeno crediamo.
Questa non è una difesa d’ufficio ma il prodotto di una serie di considerazioni che ci lasciano una profonda frustrazione. Dalla Uno Bianca in poi, la Polizia non riesce più a far pari: massacrata nei bilanci, invecchiata negli organici, devastata dalle accuse che il popolo le rivolge per ogni scroscio d’acqua (piove? Polizia infame!) la Polizia di Stato, e con essa il mondo variegato delle polizie italiane, quelle dello Stato e quelle a ordinamento locale, stanno diventando il capro espiatorio di un degrado sociale che non conosce uguali nella tutto sommato giovane Repubblica Italiana.

 

 

Perfino certi sindacati di polizia, che per definizione dovrebbero occuparsi di rappresentare e tutelare i poliziotti nell’ambito della contrattazione collettiva (gli stipendi del comparto sono bloccati da sette anni), hanno sentito il bisogno di attribuire alla Specialità la “colpa” di una morte da impatto stradale, avvenuta in prossimità di un posto di blocco antialcol in autostrada agli inizi dello scorso mese di agosto, affidando alla stampa la notizia di un esposto presentato per chiedere di fare luce sulle modalità di quel servizio.

Nel blog dell’Asaps qualcuno, criticando l’offensiva di quel sindacato, aveva profetizzato che nel clima odierno il processo alla Stradale era già stato fatto e che la morte dell’anziano, sbalzato dall’auto nel tamponamento, sarebbe stata accostata a quelle di pestaggi e abusi. Facile no?
La Stradale “fa gli etilometri per fare cassa”, si leggeva nei commenti ai vari articoli online  apparsi in quella circostanza, oppure “vadano a dar dietro ai delinquenti invece di rompere i coglioni alla brava gente” e ancora “ti rovinano per un bicchiere di vino, bastardi!”
Numeri: nel 2012 Polizia Stradale e Carabinieri hanno effettuato con 4.570.432 pattuglie ben 1.751.422 controlli sulle ebbrezze, accertando 33.568 guide in stato di ebbrezza alcolica e altre 2.962 sotto l’effetto di stupefacenti.
Questi dati, uniti alla mole sconosciuta di numeri prodotti dalle polizie locali, ha condotto il paese a diventare un luogo più sicuro sulla strada, con una diminuzione rispetto al 2011 del numero degli incidenti con lesioni a persone (-10,2%) e del numero dei morti (-5,4%) e anche i feriti risultano in calo (-10,8%). Dati provvisori, per carità.
 
 
Una pattuglia condotta in un certo modo o parcheggiata in un certo luogo, ad esempio un’auto in sirena o un’altra parcheggiata sullo stallo dei diversamente abili, sono per l’italiano espressione a prescindere di prevaricazione, di abuso, di sciatteria o più genericamente di malapolizia: poco importa se l’auto correva per salvare vite, perché a quell’eventualità non ci si crede. Poco importa se il conducente della pattuglia parcheggiata male sarà poi oggetto di procedimento disciplinare. No: il difensore va sbattuto in prima pagina e allora via coi videofonini a inseguire volanti o gazzelle, a riprendere vigili o forestali.
Salvo poi, quando arriva la multa di un autovelox a casa o quando lo scontrino di un etilometro stampa un risultato superiore a 0,5 g/l, girare la frittata e attribuire il proprio comportamento scorretto o penalmente perseguibile, non alla propria condotta ma all’abuso che la polizia fa della propria funzione.
Prendiamo la droga: la usano tutti? È forse legale? Eppure, anche nei salotti buoni, è divenuta consuetudine dire vabbé, per una cannetta
 
 
È forse giunto il momento, per lo Stato, di riprendersi la propria onorabilità e di restituire la dignità a chi quell’onore lo deve nel frattempo difendere: magari cominciando a far parlare tra loro i propri apparati, magari predisponendo un bel protocollo d’intervento per ogni singola emergenza stradale o cittadina, sul modello americano, così, giusto per dare all’ultimo anello della catena, il centralinista in questo caso, la certezza di una procedura da seguire o di una priorità da tutelare.
La Malapolizia non esiste.
Esistono comportamenti giusti o sbagliati, che sono soggettivi, e che lo Stato stesso punisce. Delegittimare il lavoro di donne e uomini in divisa, sbattere i loro nomi in prima pagina, accusarli di cose che non possono aver commesso, di reati impossibili o di crimini degni della lista nera di Amnesty, è profondamente ingiusto.

Mala tempora currunt. (ASAPS)

Lunedì, 09 Settembre 2013
stampa
Condividi


Area Riservata


Attenzione!
Stai per cancellarti dalla newsletter. Vuoi proseguire?

Iscriviti alla Newsletter
SOCIAL NETWORK