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Articoli 30/10/2004

Le cinture di sicurezza e la libertà

Le cinture di sicurezza e la libertà 

 

di Michele Leoni*

Forse, quando queste righe verranno pubblicate, la Corte Costituzionale avrà già deciso su una “singolare” questione di legittimità costituzionale sollevata dal Giudice di pace di Viterbo con ordinanza del 9 maggio 2003, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 28 gennaio 2004. In ogni caso, i termini di questa questione meritano di avere un poco di risonanza, se non altro per la vastità e la profondità degli argomenti che sono stati “scomodati”.
Si tratta delle cinture di sicurezza (ancora una volta).
Secondo il Giudice di pace di Viterbo, l’obbligo di usare un simile accessorio contrasterebbe con varie norme costituzionali (e con i corrispondenti principi morali assoluti a presidio dei quali tali norme sono state scritte).
Si comincia con l’art. 2 della Costituzione. Le cinture di sicurezza, imponendo in modo “irrazionale” di “legarsi al mezzo di trasporto”, “tarpano e violano… i diritti inviolabili dell’uomo e lo sviluppo della sua personalità”. Si prosegue con l’art. 3. Il “soffocante obbligo” delle cinture di sicurezza è di fatto imposto solo ad alcune persone, dato che altre ne sono esentate, per cui ne deriva un pregiudizio al principio di eguaglianza. Dice il giudice, al riguardo ed a fortiori, che proprio la previsione di esenzioni dimostra il fastidio e il danno di cui sono “potenzialmente” portatrici le cinture. Sono calpestati anche l’art. 13 (sacrificio della libertà personale, che è inviolabile, e del diritto del cittadino all’autodeterminazione, “che concerne lui solo e la sua personalità”) e l’art. 32 (“mancato rispetto della persona umana e delle decisioni che concernono essa sola”). Ma la Costituzione repubblicana non è l’unica Carta fondamentale a patire sfregi e insulti per l’esistenza dell’obbligo delle cinture di sicurezza. Sono pregiudicati anche la Dichiarazione europea dei diritti dell’uomo (legge 4.8.1955, n. 848, art. 8) e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (proclamata dall’assemblea ONU il 10.12.1948, art. 29), di nuovo, per mancato rispetto dei diritti e delle libertà degli altri e della vita privata. Queste violazioni sarebbero state esasperate dall’ulteriore previsione di una perdita di ben cinque punti per la patente per mancato uso delle cinture, laddove per altre violazioni (retromarcia in autostrada, inversione della marcia in curva, circolazione contromano, et coetera) è stabilita una perdita meno grave (quattro punti). Qui, il giudice di Viterbo ha parlato di “violentissima campagna sanzionatoria”.
Bene. Il remittente, però, nulla dice sulla esistenza di ragioni che potrebbero controbilanciare, sempre nel superiore interesse della persona umana, le supposte limitazioni (?) alla libertà (??) determinato dall’uso delle cinture di sicurezza, ossia il diritto alla vita e all’integrità psico-fisica, trascurabili sfere personali soggette a tutela, per le quali ogni tanto si disquisisce a proposito di problematiche di portata forse non inferiore all’obbligo delle cinture di sicurezza (eutanasia, aborto, consenso dell’avente diritto, sterilizzazione, e via elencando). E qui è opportuno allora fermarsi e astenersi da qualsiasi analisi in chiave tecnico-giuridica delle questioni prospettate dal giudice di Viterbo, in quanto, proprio, non c’è materia su cui argomentare.
Manca infatti un passo fondamentale perché una questione possa dirsi “seria” (per usare la terminologia posta dall’art. 1 del codice di procedura penale), vale a dire l’indicazione (anche sommaria) della ratio legis che sorregge la norma che si contesta.
Non ci si può, tuttavia, astenere da qualche nota ad colorandum, sulla falsariga delle dissertazioni, altrettanto (si vuole sperare) ad colorandum, con cui il giudice di Viterbo ha terminato la sua ordinanza. Ha concluso infatti il remittente dicendo che: “l’uso o meno dei sistemi di ritenuta al veicolo deve far parte, alla luce dei principi costituzionali delle democrazie, della discrezionalità personale, non potendosi tornare al sistema dittatoriale contro cui si sono sacrificate così tante vite di idealisti”. Parole grosse, come si vede. Addirittura, si evoca la dittatura. C’è quindi da stupirsi che l’obbligo delle cinture di sicurezza sia stato stabilito da un parlamento democraticamente eletto, quando invece si tratta di uno strumento che solo un dittatore potrebbe imporre. Uno strumento quasi di tortura, “soffocante”, “irrazionale”.
Se prendo il celebratissimo dizionario di politica di Norberto Bobbio e Nicola Matteucci, alla voce “dittatura” trovo un mare di distinzioni e classificazioni dove mi perdo. Si parte della “dittatura romana” e si va (non molto spediti, al primo impatto) ad altre varianti e soluzioni, dispotismo, assolutismo, tirannia, autocrazia, dittatura rivoluzionaria, dittatura conservatrice, dittatura del proletariato, fino alla “dittatura costituzionale”. Che sia quest’ultimo il caso? No, assolutamente. Qui stiamo violando la Costituzione. C’entra forse qualcosa l’“elemento cesaristico”? No, non sembra. Qui, come dicevamo, c’è stato il voto di un parlamento eletto, funzionante da decenni. Quindi non c’entrano neanche i capi rivoluzionari di passaggio (Cromwell, Robespierre, Lenin). Ma a disquisire di dittatura, non si viene a capo di niente. Meglio meditare, allora, sul “tipo” di imposizione, la cintura di sicurezza, e vedere se esso è veramente riferibile a qualche conclamato dittatore della storia. Lasciamo perdere Hitler e Stalin, troppo abusati quando si deve prendere un esempio. Parliamo, che so, di Ivan il Terribile, il creatore della ferrea organizzazione zarista, che dal Cinquecento in poi si protrasse fino alla rivoluzione russa. Ivan IV il Terribile fu, oltre che un sanguinario distruttore di avversari e di etnie, anche (dicono le enciclopedie) “un buon reggitore”. Introdusse la stampa nei suoi stati, intraprese relazioni economiche con le altre nazioni europee, fondò un esercito permanente, sempre però mantenendo la sacralità del proprio ruolo di autocrate. Ecco, dobbiamo chiederci: se ai suoi tempi fossero esistiti le automobili, le autostrade, gli incidenti, il traffico caotico, i limiti di velocità, le microinvalidità e le macroinvalidità da sinistro stradale, e tante altre cose, Ivan il Terribile avrebbe imposto le cinture di sicurezza? Occorre infatti porsi un interrogativo basato su un giudizio di verosimiglianza. E se lo avesse fatto, sarebbe stato illuminato o no? Avrebbe, cioè, esternato così il proprio lato oscuro ed efferato, o quello del “buon reggitore”? Chi lo sa? Se non si è in grado di rispondere, ci si può allora chiedere, spostando l’angolo visuale sugli idealisti che hanno sacrificato le loro vite, se Girolamo Savonarola, Danton, Trotzkji, Thomas Jefferson, o ancora Masaniello, Balilla, Ciceruacchio, e tanti altri, si sarebbero impegnati contro le cinture di sicurezza. Le ipotesi sono tante, anche qui può essere difficile rispondere. Personalmente, mi sono immaginato un’altra eventualità. Se un giorno, in parlamento, una maggioranza trasversale di claustrofobici abolisse l’obbligo delle cinture di sicurezza, non sarebbe anche questo un uso distorto della democrazia, quasi dittatoriale?


* G.I.P. Tribunale Forlì.



di Michele Leoni*

Sabato, 30 Ottobre 2004
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