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Paolo
Borsellino |
Giovanni
Falcone |
Un titolo,
solitamente, assume significato di sintesi, rispetto al contenuto
complesso di un discorso più ampio, esplicitato in concreto,
nella sua compilazione e divulgazione. Una frase, allo stesso modo,
può avere il pregio (in ciò il valore inestimabile,
la ricchezza culturale) di esplicitare la vita della persona che l’ha
espressa, talvolta con forza dirompente.
La frase che dà il titolo a questo mio intervento, è
tratta da un settimanale di informazione mediatica ed è riferita
dall’attore Giorgio Tirabassi, nella sua veste di interprete
principale del film per la TV "Paolo Borsellino" (1). L’attore,
nel cogliere lo spessore dell’uomo da lui interpretato, esalta
l’impegno (e la gratuita offerta) di vita e l’educazione
alla legalità che questo Magistrato ha saputo trasfondere e
continua a trasfondere in chi ha la capacità e la volontà
di accogliere e condividere questo messaggio.
Certamente, con la morte dei Giudici Falcone e Borsellino, ogni cittadino
che crede nel sistema della giustizia, ha accusato un dolore forte,
che viene di nuovo rinvigorito ad ogni ricordo di questo sacrificio
estremo.
Ma se tutto ciò si fermasse ad un momento di emozionante ricordo,
quelle morti, come ogni morte per causa di giustizia, risulterebbe
inutile. Il ricordo, non deve, invece, distoglierci dalla speranza.
Ecco perché questo pezzo.
Ecco perché ho ritenuto giusto, ho sentito forte il bisogno
di condividere con il maggior numero dei Colleghi operatori di giustizia,
questo mio stato d’animo, così comune a molti di noi.
Ecco perché ho ritenuto giusto esprimere dei concetti, affatto
astratti, ma che si "macchiano" del sangue di chi ha dato
la vita per i valori democratici del nostro Paese.
Come cittadini, ma come forze dell’ordine, stiamo attraversando
momenti veramente difficili nell’applicazione del diritto. Dico
questo, pensando ai fatti molto "semplici" che riguardano
la polizia locale.
Ai giovani della polizia municipale che sentono forte la spinta ideale
della loro giovinezza; all’umiliazione che subiscono giornalmente,
nell’osservare fenomeni quali quelli (per quello che riguarda
la mia zona) dell’abusivismo commerciale, rispetto al quale bisogna
comunque muoversi con il maggior risultato ed in minor sacrificio.
Talvolta, con la sensazione di giocare a "guardia e ladri".
Talaltra subendo le critiche aspre dei commercianti e di alcuni cittadini,
che facilmente puntano il dito sulla polizia municipale e sulle forze
dell’ordine, in genere. Ma pochi, ben pochi parlano delle regole
del mercato: c’è offerta di prodotti contraffatti, perché
c’è domanda degli stessi. Manca il senso etico-legale,
insomma.
La consapevolezza morale che è ladro chi ruba, ma anche chi
tiene il sacco. La consapevolezza giuridica che acquistare una cosa
oggetto di reato, significa farla da ricettatore. Ma non manca certamente,
in quei "disgraziati" che indossano l’uniforme e sentono
forte il peso delle loro responsabilità, il tentativo di calibrare
le forze e le poche risorse che hanno: si piantonano "a zona"
le aree calde del paese, perché intervenire su di un contraffattore
vorrebbe dire impegnare almeno tre addetti per la sua identificazione
e tutto ciò che ne consegue.
Tre addetti che non potrebbero più garantire i sempre più
numerosi controlli e servizi che la polizia municipale deve garantire,
per la sicurezza e l’incolumità in concreto della vita
degli utenti. Tre agenti che in uno dei numerosi comuni turistici
della riviera italiana, significherebbe non avere più come
contingente operativo, la polizia municipale. Donne e uomini in uniforme,
che nell’atto di intervenire "a uomo", facendo –
ancora – il loro dovere, sarebbero aggrediti verbalmente o per
le vie di fatto dai cittadini buonisti del fine settimana:
1 Il Film sarà trasmesso lunedì e martedì prossimo
su Canale 5, in prima serata così propensi a criticare, solo
perché quell’uniforme che un tempo significava autorevolezza
e rispetto oggi, è spesso oggetto di comune disprezzo, parafulmine
sociale, per il malfunzionamento della cosa pubblica.
Questi giovani poliziotti municipali, che talvolta percepiscono un
messaggio di risposta ai loro dubbi, affatto coerente: non devo fare
nulla. Non conta se le parole sono altre. Non conta se il messaggio
verbale è di tuttaltra portata.
Ciò che più conta è quello che viene percepito;
quello che si vive sulla pelle. Ci sono poi le questioni "forti"
del Paese; che per quanto gravi, sono intessute di quella stessa trama
che passa anche per i fatti semplici dell’operatore di giustizia,
quale quello poc’anzi descritto.
Allora senti parlare di permessi premio a stragisti pentiti, e leggi
di poliziotti, che nell’adempimento del dovere hanno sparato
per difendersi e adesso sono indagati per omicidio. Anche queste cose
fanno riflettere.
Anche queste cose fanno pensare.
Ed è giusto riflettere ed è giusto pensare.
Ma noi, siamo operatori di giustizia, non dimentichiamolo.
Operatori della giustizia che operano non tanto per far rispettare
le leggi ma, piuttosto, perché i cittadini si riapproprino
della forza delle leggi.
Questo è il vero dramma che caratterizza il nostro secolo.
La mancanza di consapevolezza che in un regime democratico, la certezza
e la forza della legge, è l’unico baluardo di salvaguardia
dei diritti fondamentali dei cittadini, Ma le leggi sono povere di
effettività; i cittadini si trovano nella paradossale condizione
di inventarsi – talvolta con orgoglio italico – il modo
di imbrogliare le carte: facendo solo del male a loro stessi.
Allora, viene da domandarsi perché e per quale motivo si dovrebbe
continuare ad operare la giustizia e a farci portavoce di un progetto
di giustizia. Perché, prima di noi e sicuramente dopo di noi,
ci sarà sempre qualcuno che avrà un’unica certezza:
quella che quello che viene fatto, può costare caro. E’
la certezza di un folle? Forse.
Ma è la certezza di chi ha dato un futuro a questo Paese.
E’ la certezza di chi vuole continuare a dare futuro al Paese.
E’ la certezza di chi non si accontenta di aprire la finestra
sul giardino fiorito della propria casa, senza guardare alla miseria
umana che sta oltre la siepe.
A me piace pensare che è molto più folle chi si trincea
nelle proprie certezze domestiche e che prima o poi, come persona,
o come sua successiva generazione, sarà comunque travolto dalla
miseria umana che non ha contribuito a debellare.
Questa è la nostra forza.
Questa deve essere la nostra certezza.
Credere in un futuro migliore e credere che questo futuro si costruisce
con la giustizia. Ma una giustizia che ciascuno di noi ed ognuno in
particolare, può costruire. Credere in una giustizia costruita
da altri è da folli. A questi giovani che talvolta sono stanchi
o sono già stanchi, io chiedo di guardare ad immagini ideali,
quali quelle del Giudice Borsellino e del Giudice Falcone. Non importa
se sono morti: nel momento in cui erano consapevoli di quello che
stavano facendo, erano consapevoli anche del fatto, che prima o poi,
la loro stessa vita sarebbe stata sacrificata. Ma probabilmente, in
questa consapevolezza – ch’è atto d’amore –
v’era anche la certezza del fatto che la giustizia passa anche
per il sacrificio umano; così come dal seme che marcisce nella
terra, nasce la pianta che rafforza quella stessa terra con le proprie
radici. Loro hanno avuto la forza di essere, di impersonificare lo
Stato (diceva il Giudice Falcone che si è soli, quando ti lasciano
soli e lui, probabilmente, sentiva di essere ben solo), nella terra
dove si voleva dimostrare l’esatto contrario: che lo Stato non
c’è, che è la mafia lo stato. Loro hanno lottato
sul campo e non hanno fatto delle mere alchimie di palazzo. Loro hanno
sacrificato la loro vita – nella piena consapevolezza di farlo
– per questa terra d’Italia, senza alcun confine di zona
o di regione. Le radici di quell’albero, forte ed inespugnabile,
hanno superato i confini dei comuni, delle province e delle regioni:
e quelle radici hanno tenuto, tengono assieme l’Italia. E’
a questi martiri della giustizia che noi dovremmo sempre rivolgere
lo sguardo ed oltre questo simbolo ideale, osservare la strada che
porta verso il futuro del Paese, che solo l’impegno individuale
condiviso può realizzare. E’ un augurio che faccio a me,
ma che faccio a tutti i giovani delle forze dell’ordine. Quando
siamo stanchi di fare il nostro dovere, proprio allora, facciamolo
fino in fondo; in ricordo e nel rispetto dei Giudici Giovanni Falcone
e Paolo Borsellino e quanti altri, nei piccoli e nei grandi impegni
della vita, hanno offerto la loro vita a beneficio di tutti. |