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Articoli 08/11/2004

"NOI DOBBIAMO CONTINUARE IL NOSTRO LAVORO SENZA LASCIARCI CONDIZIONARE DALLA CERTEZZA CHE PUO’ COSTARCI CARO".

Il ricordo di Falcone e Borsellino
"NOI DOBBIAMO CONTINUARE IL NOSTRO LAVORO SENZA LASCIARCI CONDIZIONARE DALLA CERTEZZA CHE PUO’ COSTARCI CARO".

 

di Giovanni Fontana

Paolo Borsellino

Giovanni Falcone

Un titolo, solitamente, assume significato di sintesi, rispetto al contenuto complesso di un discorso più ampio, esplicitato in concreto, nella sua compilazione e divulgazione. Una frase, allo stesso modo, può avere il pregio (in ciò il valore inestimabile, la ricchezza culturale) di esplicitare la vita della persona che l’ha espressa, talvolta con forza dirompente.
La frase che dà il titolo a questo mio intervento, è tratta da un settimanale di informazione mediatica ed è riferita dall’attore Giorgio Tirabassi, nella sua veste di interprete principale del film per la TV "Paolo Borsellino" (1). L’attore, nel cogliere lo spessore dell’uomo da lui interpretato, esalta l’impegno (e la gratuita offerta) di vita e l’educazione alla legalità che questo Magistrato ha saputo trasfondere e continua a trasfondere in chi ha la capacità e la volontà di accogliere e condividere questo messaggio.
Certamente, con la morte dei Giudici Falcone e Borsellino, ogni cittadino che crede nel sistema della giustizia, ha accusato un dolore forte, che viene di nuovo rinvigorito ad ogni ricordo di questo sacrificio estremo.
Ma se tutto ciò si fermasse ad un momento di emozionante ricordo, quelle morti, come ogni morte per causa di giustizia, risulterebbe inutile. Il ricordo, non deve, invece, distoglierci dalla speranza. Ecco perché questo pezzo.
Ecco perché ho ritenuto giusto, ho sentito forte il bisogno di condividere con il maggior numero dei Colleghi operatori di giustizia, questo mio stato d’animo, così comune a molti di noi. Ecco perché ho ritenuto giusto esprimere dei concetti, affatto astratti, ma che si "macchiano" del sangue di chi ha dato la vita per i valori democratici del nostro Paese.
Come cittadini, ma come forze dell’ordine, stiamo attraversando momenti veramente difficili nell’applicazione del diritto. Dico questo, pensando ai fatti molto "semplici" che riguardano la polizia locale.
Ai giovani della polizia municipale che sentono forte la spinta ideale della loro giovinezza; all’umiliazione che subiscono giornalmente, nell’osservare fenomeni quali quelli (per quello che riguarda la mia zona) dell’abusivismo commerciale, rispetto al quale bisogna comunque muoversi con il maggior risultato ed in minor sacrificio.
Talvolta, con la sensazione di giocare a "guardia e ladri". Talaltra subendo le critiche aspre dei commercianti e di alcuni cittadini, che facilmente puntano il dito sulla polizia municipale e sulle forze dell’ordine, in genere. Ma pochi, ben pochi parlano delle regole del mercato: c’è offerta di prodotti contraffatti, perché c’è domanda degli stessi. Manca il senso etico-legale, insomma.
La consapevolezza morale che è ladro chi ruba, ma anche chi tiene il sacco. La consapevolezza giuridica che acquistare una cosa oggetto di reato, significa farla da ricettatore. Ma non manca certamente, in quei "disgraziati" che indossano l’uniforme e sentono forte il peso delle loro responsabilità, il tentativo di calibrare le forze e le poche risorse che hanno: si piantonano "a zona" le aree calde del paese, perché intervenire su di un contraffattore vorrebbe dire impegnare almeno tre addetti per la sua identificazione e tutto ciò che ne consegue.
Tre addetti che non potrebbero più garantire i sempre più numerosi controlli e servizi che la polizia municipale deve garantire, per la sicurezza e l’incolumità in concreto della vita degli utenti. Tre agenti che in uno dei numerosi comuni turistici della riviera italiana, significherebbe non avere più come contingente operativo, la polizia municipale. Donne e uomini in uniforme, che nell’atto di intervenire "a uomo", facendo – ancora – il loro dovere, sarebbero aggrediti verbalmente o per le vie di fatto dai cittadini buonisti del fine settimana:
1 Il Film sarà trasmesso lunedì e martedì prossimo su Canale 5, in prima serata così propensi a criticare, solo perché quell’uniforme che un tempo significava autorevolezza e rispetto oggi, è spesso oggetto di comune disprezzo, parafulmine sociale, per il malfunzionamento della cosa pubblica.
Questi giovani poliziotti municipali, che talvolta percepiscono un messaggio di risposta ai loro dubbi, affatto coerente: non devo fare nulla. Non conta se le parole sono altre. Non conta se il messaggio verbale è di tuttaltra portata.
Ciò che più conta è quello che viene percepito; quello che si vive sulla pelle. Ci sono poi le questioni "forti" del Paese; che per quanto gravi, sono intessute di quella stessa trama che passa anche per i fatti semplici dell’operatore di giustizia, quale quello poc’anzi descritto.
Allora senti parlare di permessi premio a stragisti pentiti, e leggi di poliziotti, che nell’adempimento del dovere hanno sparato per difendersi e adesso sono indagati per omicidio. Anche queste cose fanno riflettere.
Anche queste cose fanno pensare.

Ed è giusto riflettere ed è giusto pensare.
Ma noi, siamo operatori di giustizia, non dimentichiamolo.
Operatori della giustizia che operano non tanto per far rispettare le leggi ma, piuttosto, perché i cittadini si riapproprino della forza delle leggi.
Questo è il vero dramma che caratterizza il nostro secolo. La mancanza di consapevolezza che in un regime democratico, la certezza e la forza della legge, è l’unico baluardo di salvaguardia dei diritti fondamentali dei cittadini, Ma le leggi sono povere di effettività; i cittadini si trovano nella paradossale condizione di inventarsi – talvolta con orgoglio italico – il modo di imbrogliare le carte: facendo solo del male a loro stessi.
Allora, viene da domandarsi perché e per quale motivo si dovrebbe continuare ad operare la giustizia e a farci portavoce di un progetto di giustizia. Perché, prima di noi e sicuramente dopo di noi, ci sarà sempre qualcuno che avrà un’unica certezza:
quella che quello che viene fatto, può costare caro. E’ la certezza di un folle? Forse.
Ma è la certezza di chi ha dato un futuro a questo Paese.

E’ la certezza di chi vuole continuare a dare futuro al Paese.
E’ la certezza di chi non si accontenta di aprire la finestra sul giardino fiorito della propria casa, senza guardare alla miseria umana che sta oltre la siepe.
A me piace pensare che è molto più folle chi si trincea nelle proprie certezze domestiche e che prima o poi, come persona, o come sua successiva generazione, sarà comunque travolto dalla miseria umana che non ha contribuito a debellare.

Questa è la nostra forza.
Questa deve essere la nostra certezza.
Credere in un futuro migliore e credere che questo futuro si costruisce con la giustizia. Ma una giustizia che ciascuno di noi ed ognuno in particolare, può costruire. Credere in una giustizia costruita da altri è da folli. A questi giovani che talvolta sono stanchi o sono già stanchi, io chiedo di guardare ad immagini ideali, quali quelle del Giudice Borsellino e del Giudice Falcone. Non importa se sono morti: nel momento in cui erano consapevoli di quello che stavano facendo, erano consapevoli anche del fatto, che prima o poi, la loro stessa vita sarebbe stata sacrificata. Ma probabilmente, in questa consapevolezza – ch’è atto d’amore – v’era anche la certezza del fatto che la giustizia passa anche per il sacrificio umano; così come dal seme che marcisce nella terra, nasce la pianta che rafforza quella stessa terra con le proprie radici. Loro hanno avuto la forza di essere, di impersonificare lo Stato (diceva il Giudice Falcone che si è soli, quando ti lasciano soli e lui, probabilmente, sentiva di essere ben solo), nella terra dove si voleva dimostrare l’esatto contrario: che lo Stato non c’è, che è la mafia lo stato. Loro hanno lottato sul campo e non hanno fatto delle mere alchimie di palazzo. Loro hanno sacrificato la loro vita – nella piena consapevolezza di farlo – per questa terra d’Italia, senza alcun confine di zona o di regione. Le radici di quell’albero, forte ed inespugnabile, hanno superato i confini dei comuni, delle province e delle regioni: e quelle radici hanno tenuto, tengono assieme l’Italia. E’ a questi martiri della giustizia che noi dovremmo sempre rivolgere lo sguardo ed oltre questo simbolo ideale, osservare la strada che porta verso il futuro del Paese, che solo l’impegno individuale condiviso può realizzare. E’ un augurio che faccio a me, ma che faccio a tutti i giovani delle forze dell’ordine. Quando siamo stanchi di fare il nostro dovere, proprio allora, facciamolo fino in fondo; in ricordo e nel rispetto dei Giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e quanti altri, nei piccoli e nei grandi impegni della vita, hanno offerto la loro vita a beneficio di tutti.



di Giovanni Fontana

Il ricordo di Falcone e Borsellino
Lunedì, 08 Novembre 2004
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