Nelle grandi reti di trasporto Ue la Sicilia regione più penalizzata
Uno degli aspetti più vistosi dell'incompiutezza della costruzione dell'Europa è la configurazione attuale e la programmazione per i prossimi decenni del sistema di collegamenti. Al momento della nascita dell'Unione europea e soprattutto a partire dalla moneta unica, una rete di grandi corridoi intermodali (fondati a fini di massima efficienza sui possibili combinati ferrovia aria strada mare) e inclusivi (articolati da Est ad Ovest, da Nord a Sud), prospettavano ai nuovi cittadini "continentali" orizzonti possibili di progresso civile e sociale, di innovazione tecnologica, di tutela dell'ambiente, di sviluppo e coesione territoriale.
In questo scenario, quel Mediterraneo che proprio in questi giorni ha mostrato tragicamente il possibile destino di mare di confine fra popoli del mondo, ma che ancora oggi è al centro degli scambi mondiali, figurava come la più grande occasione per l'Italia posta al suo centro. Gli accordi in sede comunitaria prevedevano la costituzione della Zona mediterranea di libero scambio entro il 2010; in quest'area l'Italia non poteva che costituire la grande piattaforma logistica dell'Europa nella sua parte più a Sud.
Di questa Italia-Europa del Sud, le risorse inutilizzate o sottoutilizzate delle regioni meridionali (ambiente, cultura e patrimonio artistico, prodotti agroindustriali specializzati, industrie ad alto contenuto tecnologico) sembravano rappresentare il maggiore potenziale di crescita proprio grazie alla realizzazione delle reti, che a tali risorse esse avrebbero dovuto garantire l'accesso e la mobilità.
L'Ue sempre più «tedesca»
Oggi, a distanza di oltre un decennio, l'Europa è sempre meno meridionale e sempre più tedesca; è sempre più proiettata verso il potenziamento dell'asse strategico centro-orientale. La grande zona mediterranea di libero scambio è sparita dalle strategie europee, piuttosto impegnate a condurre l'Unione fuori dalla gravissima crisi ancora in corso con politiche di austerità totalmente a carico dei paesi più indebitati; proprio quelli del Sud.
La spallata europea alle sue regioni mediterranee trova espressione chiarissima nei più recenti programmi riguardanti i grandi corridoi paneuropei e le loro articolazioni nazionali e regionali. Come già in passato, tali programmi sono stati formulati ribadendo con determinazione come la logistica non solo abbia una funzione essenziale nel rendere più competitivo il sistema economico, ma costituisca un importante motore di sviluppo e di crescita del Pil e dell'occupazione. La nuova rete, articolata in core network e comprehensive network, è tuttavia altrettanto dichiaratamente finalizzata al potenziamento dei collegamenti tra Europa Occidentale ed Europa Orientale, volendo garantire entro il 2050 alla grande maggioranza dei cittadini e delle imprese d'Europa di non dover impiegare più di 30 minuti per raggiungere la rete centrale.
Nel core di siffatta rete mitteleuropea verso oriente, ovvero nelle direttrici del sistema ferroviario ad alta velocità, circoleranno treni merci lunghi tra 1.500 e 750 metri. Si tratta di fantascienza pura per le regioni meridionali italiane, e soprattutto per le più meridionali e le isole (Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia) che dal 2011 non solo non figurano nel core della rete, ma rispetto alla programmazione precedente sono addirittura arretrate al mantenimento delle caratteristiche convenzionali (notoriamente arretratissime) nel caso delle ferrovie e delle strade, o alla sempre maggiore marginalità nel caso dei porti.
In questa situazione, confermata dal più recente accordo dell'Unione nel maggio 2013, i governi italiani hanno finora mostrato di preoccuparsi esclusivamente delle sorti delle nostre regioni centro-settentrionali, sul cui sistema di trasporti sono già state riversate la grandissima parte delle risorse finanziarie pubbliche (ad esempio, l'alta velocità ferroviaria, che ha escluso finora le regioni meridionali toccando solo Napoli, è costata a tutti i cittadini italiani più di 100 miliardi di euro).
Il piano nazionale guarda a Nord
Nel 2012 il nostro Ministero dei trasporti e della logistica ha fissato le misure di attuazione del Piano nazionale 2011-2020; con tali misure ha mostrato essere mosso soprattutto dalla preoccupazione di vedere l'Italia del centro-settentionale esclusa dal core delle reti europee e particolarmente dai principali hub giudicati in espansione.
Una consulta appositamente costituita, ha aggiornato per la parte di competenza delle istituzioni nazionali il Piano europeo dei 10 grandi corridoi, con l'obiettivo di includere nel core network le regioni italiane da 4 di essi attraversate: il corridoio Baltico-Adriatico da Helsinky a Ravennna; il Corridoio mediterraneo da Algeciras all'Ungheria (così definite nonostante l'attraversamento ferroviario riguardi le direttrici Torino-Lione, Milano-Brescia, Brescia-Venezia-Trieste, Milano-Mantova-Venezia- Trieste e Triesta-Divaca); il Corridoio 5 Helsinky-La Valletta (con il tunnel del Brennero e collegamenti ferroviari Fortezza-Verona, Napoli- Bari, Napoli-Reggio-Calabria, Messina-Palermo, Palermo-La Valletta.
Se si considera che per quanto riguarda le ferrovie del Sud solo la Napoli-Bari è inclusa nell'alta velocità, che il resto della rete mantiene le sue attuali caratteristiche e che la Sicilia è interessata solo dalla ferrovia convenzionale Messina-Palermo, è evidente che il ruolo del Governo italiano nella programmazione europea è stato quello di ridenominare paradossalmente come Grande piattaforma logistica del Sud proprio la parte "meno meridionale" del Paese e della stessa Europa.
Si tratta di una scelta da addebitare solo delle istituzioni centrali? Decisamente no: la Campania e la Puglia hanno meglio lavorato per la loro inclusione mobilitandosi, con la politica, con le competenze e con la condivisone dei cittadini.
Le due grandi occasioni perdute
Nel complesso le regioni più meridionali del Sud sono state deboli nelle strategie e nella maturazione esecutiva dei progetti di loro interesse. Due grandi occasioni perdute sono state la mancata soluzione al problema tuttora rilevantissimo delle modalità di attraversamento ferroviario dello Stretto di Messina (già tra le opere prioritarie europee, ma ormai decaduto per "meriti nazionali"!) e la mancata la costituzione di una specifica rete dei porti, condizione per valorizzare pienamente la straordinaria capacità di alcune infrastrutture strategiche (da Gioia Tauro, a Cagliari, Taranto, Augusta), che non a caso tendono oggi a perdere competitività.
Ma la vera domanda è: l'Italia finora "inclusa", ha più chances di vincere la sua "particulare" partita? Finora non è stato così. Il cappio alla nostra economia non lo ha messo solo la crisi, ma anche l'incapacità di fare sistema. Lo hanno messo la scelta di seguire logiche territorialiste di stampo medievale in una storia globale; l'incapacità di servire e alimentare le multiformi attività produttive disponibili (il nostro Pil) con un innovativo e inclusivo sistema di comunicazioni.
L'Italia è più debole anche perché, ad esempio, a San Vito Lo Capo, zona turistica di eccellenza, si arriva male e si parte tardi per la qualità delle strade e per un servizio di autotrasporto in cui il conducente fa anche il bigliettaio; perché un biglietto aereo dal Sud e per il Sud se non acquistato con mesi di anticipo costa il doppio di un completo viaggio intercontinentale; perché a Bologna per scelta del Governo e di Rete Ferrovie Italiane è stata realizzata con un investimento di ben 530 milioni di euro la Grande Stazione, con binari su tre livelli dunque su tre piani in cui si svolgono separatamente il traffico merci, il traffico regionale e il traffico ad alta velocità, ma nel cui vastissimo spazio capita di dover impiegare mezz'ora per raggiungere a piedi il binario da cui parte un treno ad alta velocità che deve risparmiare un minuto su mezz'ora di percorrenza. Vogliamo riparlarne?
di Leandra D'Antone
da lasicilia.it