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Articoli 10/11/2004

Con il casco, si casca sempre bene?

Con il casco,
si casca sempre bene?
 

 

di Giovanni Fontana

 

ABSTRACT
Sul numero 170 dello scorso aprile, “Altroconsumo” (rivista ufficiale della omonima associazione indipendente per i consumatori), ho letto, sconcertato, l’articolo pubblicato alla pag. 13; qui è evidenziato, che su venti caschi protettivi omologati, ben due di questi (l’Astron 600 ed il Trend R 600, della Ditta NZI), non hanno superato il consueto test informativo e quindi, non sono stati giudicati idonei a garantire un adeguato livello di sicurezza.
Certamente, il pensiero torna lontano.
Mi riferisco all’epoca in cui, per evitare la distruzione di un eccessivo numero di caschi ormai immessi in commercio — quelli recanti la sigla DGM — fu accettata una scelta di “sostegno economico”, piuttosto che di salvaguardia della sicurezza delle persone: quei caschi, potevano essere commercializzati, ancorché restavano “dubbi” circa la loro idoneità a salvaguardare la sicurezza delle persone che li indossavano.
Ebbene, la filosofia cui si ispira l’articolo citato ed a cui noi facciamo riferimento, è quella di “stimolare” nelle forze di polizia stradale, un’attenzione “diversa” da quella consueta: quella rivolta, non solo agli utenti della strada (ciclomotoristi e motociclisti), mediante verifiche formali, delle etichette interne dei caschi protettivi; piuttosto, un controllo più ampio e sostanziale, che riguardi anche i singoli rivenditori e, dunque, l’insieme dei caschi posti concretamente in commercio.
Questi, alla fin fine, sono il vero e proprio “anello debole” della catena della sicurezza stradale: l’omologazione del tipo, riguarda un “modello ideale” di casco che, ahinoi, non sempre è riprodotto con analoghe caratteristiche tecnico-costruttive.

1. LA LEGGE 11 GENNAIO 1986, N. 3 E SUCCESSIVE
MODIFICAZIONI

In Italia, l’obbligo di indossare il casco protettivo, come risaputo, è stabilito con legge n. 3 del 1986:
- per i minori degli anni diciotto, alla guida di ciclomotore;
- per tutti i conducenti, alla guida dei motocicli.
Proprio la norma contenuta nell’art. 2 di questa legge, riconduce il concetto di sicurezza del casco, al previo rilascio di idonea certificazione (rilasciata in armonia con i regolamenti emanati in materia dall’ufficio europeo delle Nazioni Unite, Commissione economica per l’Europa) ovvero, la c.d. omologazione del tipo. Peraltro, un’evidente “miopia legislativa”, ammette criteri di omologazione del casco protettivo per ciclomotori, che tengano conto “delle limitate prestazioni di tali veicoli” (sic!). Questo, senza tenere conto, che un urto frontale fra due ciclomotoristi, avrebbe ben potuto dissolvere un quantitativo di energia cinetica, rapportabile alla velocità di 90 km/h, quale sommatoria delle velocità massime considerate; ancora, che un urto tra ciclomotore e autoveicolo, avrebbe potuto determinare una proiezione del corpo umano sull’asfalto o sul veicolo investitore, con una energia cinetica comunque rapportabile alle velocità considerate in concreto: non solo del ciclomotore (con limitate prestazioni) ma, ciò che più conta, dell’autoveicolo investitore (con ben più rilevanti prestazioni di quelle originariamente considerate).
Sta di fatto, che con d.M. 18 marzo 1986, vennero emanate le norme relative alle caratteristiche tecniche dei caschi protettivi per gli utenti di motocicli, ciclomotori e motocarrozzette e, più specificatamente, all’art. 3 del richiamato decreto, vennero indicati i criteri di omologazione e di individuazione dei caschi che potevano essere usati esclusivamente dai conducenti di ciclomotori (sigla DGM, seguita dal numero di omologazione e di produzione e sigla CC). Probabilmente, tale circostanza non ha mancato di determinare una qualche “apprensione” nel legislatore.
Tanto che, con d.M. 4 luglio 1986 e ss., il governo dell’epoca, accettò un compromesso sulla sicurezza (senza per questo, darne ampia e divulgata informazione, al popolo dei consumatori, oltre che sovrano) e, a fronte dell’esigenza di portare ad esaurimento le scorte di caschi protettivi (forse, del contenitore cranico, ma non anche, del suo contenuto), ammise la commercializzazione degli stessi.
Solo con l’art. 236 dell’attuale codice della strada, la legge n. 3 del 1986 venne definitivamente e totalmente abrogata ed in suo luogo, venne applicata la norma, oggi contenuta, nell’art. 171 del d. Lgs. 285/92 e succ. modif. (1).
2. L’ATTUALE DISCIPLINA DELLA CIRCOLAZIONE CON CASCO PROTETTIVO
Oggi, l’art. 171, del nuovo codice della strada, individua, da un lato (comma 1) gli utenti obbligati a fare uso del casco protettivo e, dall’altro (comma 1-bis, aggiunto, dapprima dalla legge 472/99 e, quindi, successivamente sostituito dal d. L. 151/03) quelli esentati dal predetto obbligo:
utenti tenuti ad indossare il casco protettivo (art. 171, comma 1, d. Lgs. 285/92)
conducenti alla guida di ciclomotori a due ruote e di motocicli di qualsiasi cilindrata a due ruote, ovvero di motocarrozzette, nonché gli eventuali passeggeri
utenti non tenuti ad indossare il casco protettivo (art. 171, comma 1-bis, d. Lgs. 285/92)
i conducenti e i passeggeri di ciclomotori e motoveicoli a tre o a quattro ruote dotati di carrozzeria chiusa ovvero di ciclomotori e motocicli a due o a tre ruote dotati di cellula di sicurezza
a prova di crash, nonché di sistemi di ritenuta e di dispositivi atti a garantire l’utilizzo del veicolo in condizioni di sicurezza. Altro obbligo che deriva dall’applicazione della normativa suddetta, riguarda, ancora, l’obbligo di indossare e di tenere regolarmente allacciato un casco protettivo conforme ai tipi omologati, secondo la normativa stabilita dal Ministero dei trasporti.
3. OMOLOGAZIONI
La commercializzazione dei caschi, quindi, deve avvenire sul presupposto che gli stessi oggetti di commercio, siano stati previamente omologati, sulla base del regolamento ECE/ONU-22. E’ ovvio, che l’omologazione del tipo, riguarda un prototipo di casco protettivo, relativamente alle cui caratteristiche strutturali, sono prodotti, in serie, i caschi da commercializzare. La relativa etichetta, dunque, assolve a mero requisito formale, laddove presenta caratteristiche conformi a quelle stabilite in sede di recepimento della normativa europea ed extracomunitaria: tale etichetta, è affissa all’interno del casco e reca una “E”, seguita da un numero, corrispondente a quello assegnato allo Stato che ha rilasciato l’omologazione (il tutto, racchiuso all’interno di un cerchio); tenuto conto che il regolamento sopra menzionato, è continuamente aggiornato (attualmente, siamo alla versione tipo “05”), al di sotto del suddetto simbolo, è riportata una doppia serie numerica, la cui doppia cifra iniziale, indica, per l’appunto, la versione alla quale è riferita l’omologazione.
Ma, sostanzialmente, anche quando l’etichetta è da considerare originale, è possibile che le caratteristiche sostanziale del casco siano da ritenere difformi da quelle previste e accertate in sede di omologazione del tipo: il che significa, anche, che la commercializzazione del casco, è da ritenere abusiva e quindi, assoggettata alle sanzioni previste dai commi 4 e 5 dell’art. 171 più volte citato, salvo che il fatto non costituisca reato (alterazione o contraffazione dell’etichetta).
4. CONCLUSIONE
Non abbiamo avuto la pretesa di fornire una informazione esaustiva dell’argomento, se non richiamare l’attenzione dei nostri lettori (in quanto controllori, in quanto controllati ma, certamente, in quanto consumatori), sull’esigenza di non limitare il nostro controllo alla presenza o meno dell’etichetta di omologazione: certamente, questa è una certificazione fondamentale, idonea a prevenire la commercializzazione abusiva di caschi non idonei a garantire la incolumità dei “centauri” (nel senso più lato del termine). Ma non è l’unica e, soprattutto, non dà garanzia concreta dell’idoneità del casco di assorbire gli urti e, dunque, di salvare la vita agli utenti della strada e, soprattutto, ai nostri giovani. Sarebbe quindi auspicabile che agli sforzi della Guardia di Finanza, si sommassero gli sforzi di tutte le altre forze di polizia e, soprattutto, della polizia locale; sì da abbinare ai consueti controlli di polizia annonaria, quelli di polizia stradale, finalizzati alla verifica ed al controllo di conformità sostanziale del casco certificato a quello omologato.
Insomma, con il casco, non “si casca” sempre bene!



di Giovanni Fontana

Mercoledì, 10 Novembre 2004
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