ABSTRACT
Sul numero 170 dello scorso aprile, “Altroconsumo” (rivista
ufficiale della omonima associazione indipendente per i consumatori),
ho letto, sconcertato, l’articolo pubblicato alla pag. 13; qui è
evidenziato, che su venti caschi protettivi omologati, ben due di questi
(l’Astron 600 ed il Trend R 600, della Ditta NZI), non hanno superato
il consueto test informativo e quindi, non sono stati giudicati idonei
a garantire un adeguato livello di sicurezza.
Certamente, il pensiero torna lontano.
Mi riferisco all’epoca in cui, per evitare la distruzione di un eccessivo
numero di caschi ormai immessi in commercio — quelli recanti la sigla
DGM — fu accettata una scelta di “sostegno economico”,
piuttosto che di salvaguardia della sicurezza delle persone: quei caschi,
potevano essere commercializzati, ancorché restavano “dubbi”
circa la loro idoneità a salvaguardare la sicurezza delle persone
che li indossavano.
Ebbene, la filosofia cui si ispira l’articolo citato ed a cui noi
facciamo riferimento, è quella di “stimolare” nelle forze
di polizia stradale, un’attenzione “diversa” da quella
consueta: quella rivolta, non solo agli utenti della strada (ciclomotoristi
e motociclisti), mediante verifiche formali, delle etichette interne dei
caschi protettivi; piuttosto, un controllo più ampio e sostanziale,
che riguardi anche i singoli rivenditori e, dunque, l’insieme dei
caschi posti concretamente in commercio.
Questi, alla fin fine, sono il vero e proprio “anello debole”
della catena della sicurezza stradale: l’omologazione del tipo, riguarda
un “modello ideale” di casco che, ahinoi, non sempre è
riprodotto con analoghe caratteristiche tecnico-costruttive.
1. LA LEGGE 11 GENNAIO 1986, N. 3 E SUCCESSIVE
MODIFICAZIONI
In Italia, l’obbligo di indossare il casco protettivo, come risaputo,
è stabilito con legge n. 3 del 1986:
- per i minori degli anni diciotto, alla guida di ciclomotore;
- per tutti i conducenti, alla guida dei motocicli.
Proprio la norma contenuta nell’art. 2 di questa legge, riconduce
il concetto di sicurezza del casco, al previo rilascio di idonea certificazione
(rilasciata in armonia con i regolamenti emanati in materia dall’ufficio
europeo delle Nazioni Unite, Commissione economica per l’Europa) ovvero,
la c.d. omologazione del tipo. Peraltro, un’evidente “miopia
legislativa”, ammette criteri di omologazione del casco protettivo
per ciclomotori, che tengano conto “delle limitate prestazioni di
tali veicoli” (sic!). Questo, senza tenere conto, che un urto frontale
fra due ciclomotoristi, avrebbe ben potuto dissolvere un quantitativo
di energia cinetica, rapportabile alla velocità di 90 km/h, quale
sommatoria delle velocità massime considerate; ancora, che un urto
tra ciclomotore e autoveicolo, avrebbe potuto determinare una proiezione
del corpo umano sull’asfalto o sul veicolo investitore, con una energia
cinetica comunque rapportabile alle velocità considerate in concreto:
non solo del ciclomotore (con limitate prestazioni) ma, ciò che
più conta, dell’autoveicolo investitore (con ben più
rilevanti prestazioni di quelle originariamente considerate).
Sta di fatto, che con d.M. 18 marzo 1986, vennero emanate le norme relative
alle caratteristiche tecniche dei caschi protettivi per gli utenti di
motocicli, ciclomotori e motocarrozzette e, più specificatamente,
all’art. 3 del richiamato decreto, vennero indicati i criteri di
omologazione e di individuazione dei caschi che potevano essere usati
esclusivamente dai conducenti di ciclomotori (sigla DGM, seguita dal numero
di omologazione e di produzione e sigla CC). Probabilmente, tale circostanza
non ha mancato di determinare una qualche “apprensione” nel
legislatore.
Tanto che, con d.M. 4 luglio 1986 e ss., il governo dell’epoca, accettò
un compromesso sulla sicurezza (senza per questo, darne ampia e divulgata
informazione, al popolo dei consumatori, oltre che sovrano) e, a fronte
dell’esigenza di portare ad esaurimento le scorte di caschi protettivi
(forse, del contenitore cranico, ma non anche, del suo contenuto), ammise
la commercializzazione degli stessi.
Solo con l’art. 236 dell’attuale codice della strada, la legge
n. 3 del 1986 venne definitivamente e totalmente abrogata ed in suo luogo,
venne applicata la norma, oggi contenuta, nell’art. 171 del d. Lgs.
285/92 e succ. modif. (1).
2. L’ATTUALE DISCIPLINA DELLA CIRCOLAZIONE CON CASCO PROTETTIVO
Oggi, l’art. 171, del nuovo codice della strada, individua, da un
lato (comma 1) gli utenti obbligati a fare uso del casco protettivo e,
dall’altro (comma 1-bis, aggiunto, dapprima dalla legge 472/99 e,
quindi, successivamente sostituito dal d. L. 151/03) quelli esentati dal
predetto obbligo:
utenti tenuti ad indossare il casco protettivo (art. 171, comma 1, d.
Lgs. 285/92)
conducenti alla guida di ciclomotori a due ruote e di motocicli di qualsiasi
cilindrata a due ruote, ovvero di motocarrozzette, nonché gli eventuali
passeggeri
utenti non tenuti ad indossare il casco protettivo (art. 171, comma 1-bis,
d. Lgs. 285/92)
i conducenti e i passeggeri di ciclomotori e motoveicoli a tre o a quattro
ruote dotati di carrozzeria chiusa ovvero di ciclomotori e motocicli a
due o a tre ruote dotati di cellula di sicurezza a prova di crash,
nonché di sistemi di ritenuta e di dispositivi atti a garantire
l’utilizzo del veicolo in condizioni di sicurezza. Altro obbligo che deriva
dall’applicazione della normativa suddetta, riguarda, ancora, l’obbligo
di indossare e di tenere regolarmente allacciato un casco protettivo conforme
ai tipi omologati, secondo la normativa stabilita dal Ministero dei trasporti.
3. OMOLOGAZIONI
La commercializzazione dei caschi, quindi, deve avvenire sul presupposto
che gli stessi oggetti di commercio, siano stati previamente omologati,
sulla base del regolamento ECE/ONU-22. E’ ovvio, che l’omologazione
del tipo, riguarda un prototipo di casco protettivo, relativamente alle
cui caratteristiche strutturali, sono prodotti, in serie, i caschi da
commercializzare. La relativa etichetta, dunque, assolve a mero requisito
formale, laddove presenta caratteristiche conformi a quelle stabilite
in sede di recepimento della normativa europea ed extracomunitaria: tale
etichetta, è affissa all’interno del casco e reca una “E”,
seguita da un numero, corrispondente a quello assegnato allo Stato che
ha rilasciato l’omologazione (il tutto, racchiuso all’interno
di un cerchio); tenuto conto che il regolamento sopra menzionato, è
continuamente aggiornato (attualmente, siamo alla versione tipo “05”),
al di sotto del suddetto simbolo, è riportata una doppia serie
numerica, la cui doppia cifra iniziale, indica, per l’appunto, la
versione alla quale è riferita l’omologazione.
Ma, sostanzialmente, anche quando l’etichetta è da considerare
originale, è possibile che le caratteristiche sostanziale del casco
siano da ritenere difformi da quelle previste e accertate in sede di omologazione
del tipo: il che significa, anche, che la commercializzazione del casco,
è da ritenere abusiva e quindi, assoggettata alle sanzioni previste
dai commi 4 e 5 dell’art. 171 più volte citato, salvo che
il fatto non costituisca reato (alterazione o contraffazione dell’etichetta).
4. CONCLUSIONE
Non abbiamo avuto la pretesa di fornire una informazione esaustiva dell’argomento,
se non richiamare l’attenzione dei nostri lettori (in quanto controllori,
in quanto controllati ma, certamente, in quanto consumatori), sull’esigenza
di non limitare il nostro controllo alla presenza o meno dell’etichetta
di omologazione: certamente, questa è una certificazione fondamentale,
idonea a prevenire la commercializzazione abusiva di caschi non idonei
a garantire la incolumità dei “centauri” (nel senso più
lato del termine). Ma non è l’unica e, soprattutto, non dà
garanzia concreta dell’idoneità del casco di assorbire gli
urti e, dunque, di salvare la vita agli utenti della strada e, soprattutto,
ai nostri giovani. Sarebbe quindi auspicabile che agli sforzi della Guardia
di Finanza, si sommassero gli sforzi di tutte le altre forze di polizia
e, soprattutto, della polizia locale; sì da abbinare ai consueti
controlli di polizia annonaria, quelli di polizia stradale, finalizzati
alla verifica ed al controllo di conformità sostanziale del casco
certificato a quello omologato.
Insomma, con il casco, non “si casca” sempre bene! |