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Editoriali 29/10/2013

L’amara constatazione sullo scandalo di una legge che, pur di liberarsi da un processo, permette che ci si liberi della giustizia
Due morti in uno scontro con un conducente ebbro, tutto si conclude con un patteggiamento e pena di 2 anni a totale insaputa dei familiari e dell’avvocato delle parti lese

L'incidente in cui persero la vita Libero Marchi e Paola Moretti

 

Il giorno 02/07/2011 Libero Marchi  e Paola Moretti, rispettivamente di anni 67 e 60,  erano  in auto, poiché il marito doveva accompagnare la moglie  al lavoro.
Sulla provinciale Salara (RA) venivano investiti frontalmente da un fuoristrada condotto da un 22enne in stato di ebbrezza (tasso alcoolico 0,87), che aveva invaso la corsia di loro spettanza, ad alta velocità.
Entrambi trovavano insieme la morte.
Lasciavano le figlie nel dolore immenso che può generare la perdita simultanea di entrambi i genitori ed in un vuoto incolmabile di affetto, di sostegno e di vicinanza.
Questa terribile morte a sua volta provocava nella anziana madre di Libero Marchi un tale trauma che a sua volta ne moriva di lì a pochi mesi.
I fratelli dell’una e dell’altro, sempre vicini ai loro cari, nella casa e nel lavoro, accusavano tutti una perdita dolorosa e irrimediabile.
La pena per tale fatto è prevista in  una misura da 2 a 7 anni, aumentabile fino  al triplo qualora lo stesso incidente provochi la morte di più persone.

Sorgeva un procedimento penale, che però si concludeva prima della richiesta di rinvio a giudizio con un accordo sulla pena concluso dal Pubblico Ministero e dal legale dell’imputato, per una pena finale di anni 2 di reclusione, sospesa, anche se subordinata allo svolgimento di mesi 2 di lavoro di pubblica utilità nella giornata di sabato dalle 8:30 alle 12:30.
Ebbene, di quell’accordo e della successiva sentenza che lo ha applicato non veniva riferito nulla ai familiari.
Il codice prevede che un tale accordo si possa concludere prima del processo, e una decisione della Cassazione a Sezioni Unite (evidentemente applicata) esclude che di esso debbano essere preventivamente o successivamente informate le vittime, ed esclude che esse possano partecipare all’udienza che pone capo alla decisione che lo applica.
E’ chiaro che, anche supponendo che l’epilogo di quel processo sarebbe stato uguale al contenuto dell’accordo, l’offesa della giustizia e del dolore delle vittime è di una gravità ancor più grave, se si considera che essa è permessa dalla legge e dalla sua interpretazione.
Eppure, basterebbe un minimo di sensibilità negli uffici di Procura: per concludere un accordo occorre essere in due, e un accordo può essere concluso e rimandato nell’ambito del processo, così garantendo l’informazione e la partecipazione delle vittime.

Un accordo riservato concluso fuori del processo è permesso : ma non tutto ciò che è permesso è giusto.
Tanto più che lo stesso accordo concluso nel processo vede le vittime spesso impotenti  ad interloquire su di esso: ma almeno nella condizione di essere informate e consapevoli secondo i canoni di una giustizia che, se tale non è nel risultato, almeno tale deve essere nel modo in cui vi si giunge.
Consta che in alcune Procure sono diffuse prassi tendenti ad evitare tali epiloghi, o quantomeno a subordinarli ad una concreta attività risarcitoria.
Ma tant’è. Restano poche considerazioni  su una pena  priva di proporzione con quella provocata da tante vite spezzate (quelle di Libero e Paola, quella della madre di Libero, quelle di coloro che li hanno perduti). Poche considerazioni se non quella che si risolve nella amara constatazione sullo scandalo di una legge che, pur di liberarsi da un processo, permette che ci si liberi della giustizia. (ASAPS)
 

Martedì, 29 Ottobre 2013
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