Una
semplice multa? No, una disavventura che può rovinarti
un pochino la vita. Non è un modo di dire: un’esagerazione
per spiegare quanto siano odiose certe “gabelle” che
incombono sugli automobilisti indisciplinati. E’ una sentenza,
una decisione unica nel suo genere, del Giudice di Pace di Bologna.
Non che i fatti non siano degni di censura, ma i meccanismi
interpretativi applicati nella fattispecie, se generalizzati,
aprono la strada a preoccupanti conseguenze sugli apparati amministrativi
di controllo. Il caso: un’auto passa nel centro della Città
sulla corsia preferenziale. Il vigile, al volo, rileva l’infrazione,
non si accorge di alcuna autorizzazione esposta, comunque non
ferma il veicolo poiché “non era provvisto di segnale
distintivo” (un agente in borghese? Una recluta non ancora
fornita dell’uniforme? Non si sa). Del resto poco male,
il codice della strada parla chiaro: qualora la violazione non
possa essere immediatamente contestata, recita l’art. 201,
il verbale deve, entro centocinquanta giorni, essere notificato
al trasgressore. Quindi,
la busta parte alla volta dell’intestatario della macchina
che, però, non sentendosi affatto in torto, quanto meno
deve aver accolto il portalettere con uno sguardo carico di
meraviglia: quella multa era sbagliata, poiché il destinatario,
titolare di una autorizzazione per portatori di handicap, era
più che legittimato a percorrere la corsia preferenziale.
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Era
piuttosto evidente che il vigile in incognito, non avendo proceduto
all’alt, non se n’era accorto. Così, l’utente,
deciso a spiegare le proprie ragioni si reca al Comando della
Polizia Municipale. Il disagio, qui si fa forte, causa la carenza
delle pubbliche strutture: il contravventore, non potendo accedere
agli uffici, privi di accesso per i portatori di handicap, è
costretto a rilasciare le proprie dichiarazioni sul marciapiede
di fronte al portone della caserma. Ma queste dichiarazioni potevano
bastare? Ecco il punto. Secondo il giudice sì, perché
il Comando, rilevato l’equivoco (chiamiamolo così),
avrebbe dovuto agire in autotutela annullando il verbale. Lo sanno
tutti, le pubbliche amministrazioni hanno il potere di risolvere
conflitti, attuali o potenziali, eliminando i propri atti sbagliati.
Ma il codice della strada prevede uno strano meccanismo: solo
il prefetto, oppure il Giudice di Pace, possono invalidare una
contravvenzione regolarmente notificata al trasgressore. Un controllo
di una autorità dello Stato, su atti di polizia che comportano
una sanzione a carico del cittadino. La prova che questo superiore
controllo è necessario? Si pensi che, anche laddove il
verbale venga notificato alla persona sbagliata e ci sia stato
un errore nel trascrivere la targa sull’atto, il Comando
non può direttamente archiviare, ma a mente dell’art.
386 del Regolamento del codice della strada, deve chiedere che
a farlo sia il Prefetto.
Tornando al nostro caso, dunque, la polizia municipale non ha
proceduto ad un auto annullamento, ma ha consigliato al trasgressore
di farsi carico di una ulteriore pena: quella di scrivere alla
prefettura per chiedere di porre una pietra tombale sulla questione.
Scarico di responsabilità o pedissequa osservanza delle
norme del codice, insomma, per la polizia municipale a provvedere
dovevano essere ben altre autorità (ubi maior, minor cessat).
Del resto, la giustizia contabile in questi casi non scherza,
lo sa bene il Comandante della Polizia Municipale di una importante
città marchigiana, a suo tempo condannato dalla Corte dei
Conti – Sezione regionale Marche – a rifondere i danni
al Comune per aver archiviato preavvisi di infrazione stradale,
ovvero quei simpatici foglietti colorati che pinzati sotto il
tergicristallo fanno alzare gli occhi al cielo a numerosi automobilisti
in perenne lotta per un parcheggio comodo e sicuro (una specie
di moderna utopia). Aveva ragionato esattamente così il
Comandante: quando ci accorgiamo che il preavviso è sbagliato
meglio metterlo da parte allegando, si intende, una congrua motivazione.
In questo modo ci guadagnano tutti. Il trasgressore poiché
non deve fare ricorso; il Comune perché non deve attivare
una costosa attività di riscrittura del verbale, stampa,
imbustamento e spedizioni (tutto denaro pubblico non recuperabile
dal momento che, impugnando il verbale l’utente avrà
ragione e le spese rimarranno a carico dell’ente); ci guadagna,
infine anche lo Stato, dal momento che la trattazione del ricorso
avrebbe i propri costi (protocollazione, impiegati di concetto
per la trattazione della pratica, dattilografi, eventuali audizioni,
corrispondenza col Comando accertatore). Per la Corte dei Conti,
però, l’apprezzabilissimo tentativo non trovava fondamento
nelle norme del codice della strada: il verbale va notificato,
il trasgressore (o presunto tale) può ricorrere e far valere
le proprie ragioni davanti ad una autorità di controllo,
diversa da quella di polizia. E’ un sistema che penalizza
il singolo ricorrente, ma garantisce la generalità degli
utenti da eventuali abusi o sperequazioni che in un sistema libero
da controlli il Comando accertatore potrebbe teoricamente mettere
in atto.
Per il Giudice di pace di Bologna, invece, il singolo non avrebbe
dovuto assolutamente essere penalizzato. Quindi tutto il torto
ai Vigili Urbani che hanno “rifiutato” di accogliere
l’istanza di revoca d’ufficio della contravvenzione
benché ne fosse palese l’illegittimità. Certo,
nella sostanza, possiamo sostenere che il Comando avrebbe potuto,
come nella prassi avviene, acquisite le rimostranze dell’utente,
spedire il verbale in prefettura chiedendone d’ufficio l’archiviazione.
Ma è una procedura codificata? A sfogliare codice e regolamento
si direbbe di no, visto che l’art. 386 contempla solo l’ipotesi
di multa notificata ad una persona diversa dal trasgressore, mentre
nel nostro caso siamo di fronte ad una presunta illegittimità
dell’atto. E se il codice su questo punto non parla chiaro,
va bene accogliere l’istanza del malcapitato, vittima dell’incertezza
del diritto. Ma il giudice qui va ben oltre riconoscendo il risarcimento
di tutte le spese sostenute e addirittura il “danno esistenziale”.
Una particolare forma di riconoscimento per una alterazione della
propria vita, per un cambiamento che condiziona il futuro, per
un diverso dover agire e rapportarsi col proprio mondo. La pubblica
amministrazione, lasciando che ad archiviare la multa sia stato
il Prefetto ha quindi prodotto – si legge nella sentenza
- uno stato di frustrazione e di disagio, per il grave dispendio
di tempo e di energie necessarie per le proprie difese. Alla base
del risarcimento però, deve esserci sempre un danno ingiusto
prodotto da un comportamento illegittimo. Si può definire
tale, l’aver intrapreso un percorso che la stessa legge ha
tracciato? Rispettiamo la sentenza e facciamo attenzione, una
multa non solo ti può rovinare l’umore, ma ti può
segnare: ti può addirittura causare un danno “esistenziale”.
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