L’esigenza
di trovare una soluzione al problema degli ormai innegabili mutamenti
climatici del pianeta, provocati dall’inquinamento dell’aria
a livello globale (effetto serra) e nello stesso tempo di intervenire
efficacemente per ridurre l’inaccettabile inquinamento atmosferico
ed acustico delle città, ha stimolato la comunità
internazionale verso la ricerca di strategie orientate ad uno sviluppo
sostenibile nel rispetto dell’ambiente. Nella sua adesione
al protocollo di Kyoto nel dicembre del 1997, l’Italia aveva
assunto l’impegno di ridurre gradatamente le emissioni di gas
serra introdotte nell’atmosfera sino a portarle, entro l’anno
2010 a valori inferiori del 6,5 per cento rispetto a quelli del
1990. Tuttavia, se la tendenza complessiva dell’Unione europea
è positiva con una riduzione del 4 per cento, per l’Italia
si è registrata un’analoga percentuale ma col segno
più.
Ciò significa che nuove e più efficaci misure dovranno
essere adottate nei prossimi mesi (non anni) ed un maggiore impegno
in quelle già avviate dovrà essere profuso nei prossimi
anni per centrare gli obiettivi di riduzione. In particolare, le
indicazioni date dal Governo per quanto attiene il settore dei trasporti,
includono lo sviluppo di sistemi di trasporto a ridotto impatto
energetico ed ambientale, rendendo non più procrastinabili
interventi incisivi concretamente in grado di modificare il quadro,
ricorrendo a tutte le opzioni possibili.
Una componente dominante dell’inquinamento atmosferico è
notoriamente costituita dalle emissioni dei veicoli a motore ed
in particolare di quelli che circolano in ambito urbano. Nell’Unione
Europea e in Italia, il 40 per cento del consumo totale di energia
da parte dei trasporti è dovuto proprio al mezzo urbano.
Allo stato attuale, quest’ultimo dipende per il 95 per cento
da una singola fonte di energia, cioè il petrolio, il che
espone l’intera vita economica ai rischi del mercato internazionale
e rende quanto mai opportune misure intese a diversificare le fonti
energetiche.
L’ambiente risulta così soggetto al pesante carico di
emissioni dei veicoli con motore a scoppio, tanto più consistenti
in quanto la limitata estensione degli spostamenti che caratterizzano
il trasporto cittadino in Europa, si traduce in penalizzazioni in
termini di consumi e di emissioni. In Europa, infatti, circa il
30 per cento degli spostamenti in auto coprono distanze inferiori
a solo 1 chilometro, il 50 per cento a 3 chilometri e l’80
per cento inferiore a 10 chilometri e, in tali condizioni operative,
il motore termico non può raggiungere le temperature di lavoro
ottimali, risultando dunque scarsamente efficiente con meno resa.
La riduzione dell’inquinamento in questo settore, pertanto,
richiede una pluralità di interventi che vanno dalla razionalizzazione
dei bisogni di mobilità, all’introduzione di veicoli
e combustibili più puliti, ad azioni sulla congestione del
traffico, favorendo così il trasporto pubblico nelle zone
a più alta densità ed il trasporto individuale nelle
zone in cui il traffico risulta meno concentrato. Naturalmente,
l’idea di un’aria del tutto priva di inquinanti di origine
umana è, quanto meno in epoca moderna, difficile da raggiungere
concretamente, tanto che le economie mondiali hanno dovuto definire
obiettivi di qualità dell’aria “compatibili con
lo sviluppo” e ciò con l’intento di non lasciare
pesanti eredità alle generazioni future.
Tuttavia, allo stato attuale, anche il raggiungimento di tali livelli
appare problematico, così da rendere necessario lo stabilire
limiti assoluti di pericolosità (che sono di molto superiori
a quelli di sviluppo compatibile) i quali, a loro volta, vengono
frequentemente superati nelle nostre città. Anzi, occorre
sottolineare che il continuo riferimento dei mezzi di informazione
alle sole soglie di allarme, rischia di ingenerare la falsa percezione
che al di sotto di tali limiti si sia in presenza di aria pulita,
cosa questa ben lontana dalla verità. L’introduzione
della marmitta catalitica associata alla benzina verde, attuata
all’inizio degli anni ’90, non ha potato ai risultati
sperati. Con l’introduzione delle benzine “verdi”
si è inoltre posto il problema del benzene, che altera in
maniera significativa l’equilibrio delle reazioni fotochimiche
dell’ozono, aggravando ulteriormente il quadro ambientale.
A partire dal 2000, poi, le direttive della U.E. hanno imposto limiti
di emissioni più severi rispetto a quelli precedenti ed ulteriori
limitazioni entreranno in vigore a partire dal 2005.
Infine, per quanto riguarda l’emissione di anidride carbonica
e più in generale dei cosiddetti gas serra, alcuni accordi
volontari sono stati sanciti tra l’industria automobilistica
e i singoli Governi o la Commissione Europea. Il rispetto di tali
limiti per il prossimi futuro, però, non può essere
demandato ad azioni volontarie o ad accordi internazionali difficilmente
controllabili e per nulla sanzionabili. In questo senso occorre
che la ricerca tecnologica offra nuove opzioni che vanno dal controllo
della combustione, allo sviluppo di marmitte catalitiche più
efficaci, all’uso di combustibili alternativi e più
puliti. Negli articoli che seguono s’intende offrire una panoramica
delle soluzioni alternative più ricorrenti ed oggetto di
ricerca, senza tuttavia escludere altre opzioni anche se, allo stato
attuale, risultano troppo lontane da quei parametri di sicurezza
ambientale sottoscritti a Kyoto da oltre 100 paesi di tutto il mondo.
La
scelta del metano quale strategia vincente sull’inquinamento
L’inquinamento atmosferico prodotto dall’attuale modello
trasportistico urbano è il problema più grave che
caratterizza tutte le città italiane. Se il quadro generale
testimonia un miglioramento nelle emissioni nocive dei diversi inquinanti
(il cui effetto però è stato limitato dalla crescita
del parco veicolare e dall’aumento medio delle percorrenze
chilometriche), la situazione rimane alquanto grave soprattutto
in relazione ai gas che influiscono sul cosiddetto effetto serra
(+ 22 pr cento per quanto riguarda l’anidride carbonica) e
per il particolato fine. Le concentrazioni medie di PM10 –
il parametro che oggi viene utilizzato per le rilevazioni –
risultano nelle città italiane molto preoccupanti. Basti
pensare che in Toscana l’Arpat (l’azienda regionale che
controlla i dati ambientali), ha rilevato una media di oltre 110
superamenti di 50 mg/mc nel corso del 2002, contro un massimo di
35 previsto dalle legge europea di riferimento. Se si considera
poi che i valori limite al 2005 ed al 2010 saranno rispettivamente
di 30 e 20 mg/mc, la situazione appare senz’altro molto critica
e le alte concentrazioni di particolato fine nelle aree urbane sono
dunque la questione più difficile da risolvere. Forse è
bene ricordare che l’OMS – l’Organizzazione Mondiale
della Sanità – ha stimato nelle prime otto città
italiane che circa 3.500 decessi annuali (pari al 4,7 per cento
del totale) sono da attribuire alle polveri nocive ed a questi si
accompagnano 1.900 ricoveri per disturbi respiratori, 2.700 per
disfunzioni cardiovascolari e circa 31.500 e 30.000 rispettivamente
per casi di bronchite acuta e attacchi di asma nei bambini di età
inferiore ai 15 anni. Tuttavia, non sembra che al momento vi sia
un’adeguata consapevolezza di questa situazione da parte di
numerosi amministratori pubblici, tanto meno dello stesso legislatore
che dovrebbe intervenire con forza. Non a caso, l’ultima legge
finanziaria non ha affrontato il problema della grave emergenza
sanitaria e ambientale e nemmeno ha trattato la conseguente riconversione
ecologica della mobilità nelle città italiane. Fra
le altre cose, la letteratura scientifica ha individuato nel motore
diesel di ultima generazione il principale responsabile delle emissioni
di PM10, ma in Italia si è assistito per la prima volta ad
un budget delle vendite che ha superato quello dei veicoli a benzina
e ciò per una inspiegabile e maggiore deducibilità
fiscale. Questa politica del tutto italiana, dunque, sta remando
contro ogni più obiettiva e logica strategia di tutela ambientale
ed a nulla valgono gli sforzi del settore per far emergere altre
alternative quali ad esempio lo sviluppo dei carburanti gassosi
e puliti come il metano. Nel nostro Paese, infatti, oggi sono oltre
420 gli impianti che forniscono gas metano per i veicoli a trazione,
altri 150 verranno terminati entro pochi mesi e sono state quasi
700 le richieste di realizzazione di nuove stazioni, la maggior
parte già accordate dalle rispettive amministrazioni. Uno
sforzo immane, dunque, che attende soltanto di essere premiato.
Il prodotto, come abbiamo altre volte affermato, è del tutto
competitivo non solo dal punto di vista ambientale ma anche energetico
e non si spiega perché, nonostante le risorse del sottosuolo
nazionale di questo gas, siano stimabili in sole 400 mila unità
i veicoli di recente immatricolazione che hanno montato un impianto
a metano. Ma i ritardi nell’applicazione di questo “combustibile”
non riguardano soltanto la particolare mentalità dell’automobilista
italiano, tradizionalmente da sempre vicino alla benzina, ma anche
e soprattutto i ritardi del sistema politico nel valorizzarlo. Infatti,
nonostante la presenza sul mercato di adeguati mezzi (oltretutto
di produzione nazionale), di una forte industria delle conversioni
che potrebbe annualmente riconvertire oltre 100mila veicoli e di
una rete distributiva capace di supportare oltre un milione di veicoli,
come abbiamo già detto sono solo 400 mila le automobili che
hanno installato l’impianto negli ultimi anni.
Un altro
dato preoccupante è il fatto che nella distribuzione delle
merci, che rappresenta una delle principali cause di inquinamento
atmosferico ed acustico delle città, oggi non ci sono più
di 80 autocarri a metano in circolazione. Sono invece 150 quelli che
si occupano della raccolta dei rifiuti urbani solidi e 700 i mezzi
di trasporto pubblico nonostante siamo il Paese europeo col più
anziano parco autobus (dati Euromobility).
E’ fuori discussione, a questo punto, che il problema è
da affrontare a livello politico sia nazionale che locale: infatti,
se gli amministratori pubblici sono tenuti a migliorare la qualità
dell’aria nelle loro città, dovranno pensare ad incentivare
i combustibili alternativi, fra i quali il gas metano s’inserisce
a pieno titolo. Esempi concreti, fortunatamente, esistono in qualche
parte della Penisola, laddove l’ente (soprattutto locale) ha
promosso la riconversione dei motori a benzina, attraverso la libera
circolazione dei veicoli a metano nei giorni di divieto oppure attrezzando
le proprie flotte pubbliche e private in questa direzione. Nel contempo,
il legislatore deve sforzarsi di adeguarsi alla normativa europea
cercando i raggiungere, entro l’anno 2010, la soglia del 10 per
cento dei veicoli a gas metano sull’intero parco veicolare. Ciò
sarà possibile solo favorendo la fiscalità ecologica
e disincentivando le modalità più inquinanti attraverso
un diverso orientamento delle accise sui carburanti e favorendo l’utilizzo
di quelli puliti anche con la libera circolazione dei veicoli.
Certamente il problema non è semplice da risolvere, ma lo stato
delle cose impone una rapida definizione di nuove e migliori strategie
e, fino ad ora, il nostro Paese non ha certo brillato in questo senso.
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