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Articoli 30/11/2004

Strategie per uno sviluppo sostenibile nel rispetto dell’ambiente Il ruolo dei sistemi di trasporto

Strategie per uno sviluppo
sostenibile nel rispetto dell’ambiente
Il ruolo dei sistemi di trasporto

di Roberto Rocchi.

L’esigenza di trovare una soluzione al problema degli ormai innegabili mutamenti climatici del pianeta, provocati dall’inquinamento dell’aria a livello globale (effetto serra) e nello stesso tempo di intervenire efficacemente per ridurre l’inaccettabile inquinamento atmosferico ed acustico delle città, ha stimolato la comunità internazionale verso la ricerca di strategie orientate ad uno sviluppo sostenibile nel rispetto dell’ambiente. Nella sua adesione al protocollo di Kyoto nel dicembre del 1997, l’Italia aveva assunto l’impegno di ridurre gradatamente le emissioni di gas serra introdotte nell’atmosfera sino a portarle, entro l’anno 2010 a valori inferiori del 6,5 per cento rispetto a quelli del 1990. Tuttavia, se la tendenza complessiva dell’Unione europea è positiva con una riduzione del 4 per cento, per l’Italia si è registrata un’analoga percentuale ma col segno più.
Ciò significa che nuove e più efficaci misure dovranno essere adottate nei prossimi mesi (non anni) ed un maggiore impegno in quelle già avviate dovrà essere profuso nei prossimi anni per centrare gli obiettivi di riduzione. In particolare, le indicazioni date dal Governo per quanto attiene il settore dei trasporti, includono lo sviluppo di sistemi di trasporto a ridotto impatto energetico ed ambientale, rendendo non più procrastinabili interventi incisivi concretamente in grado di modificare il quadro, ricorrendo a tutte le opzioni possibili.
Una componente dominante dell’inquinamento atmosferico è notoriamente costituita dalle emissioni dei veicoli a motore ed in particolare di quelli che circolano in ambito urbano. Nell’Unione Europea e in Italia, il 40 per cento del consumo totale di energia da parte dei trasporti è dovuto proprio al mezzo urbano. Allo stato attuale, quest’ultimo dipende per il 95 per cento da una singola fonte di energia, cioè il petrolio, il che espone l’intera vita economica ai rischi del mercato internazionale e rende quanto mai opportune misure intese a diversificare le fonti energetiche.
L’ambiente risulta così soggetto al pesante carico di emissioni dei veicoli con motore a scoppio, tanto più consistenti in quanto la limitata estensione degli spostamenti che caratterizzano il trasporto cittadino in Europa, si traduce in penalizzazioni in termini di consumi e di emissioni. In Europa, infatti, circa il 30 per cento degli spostamenti in auto coprono distanze inferiori a solo 1 chilometro, il 50 per cento a 3 chilometri e l’80 per cento inferiore a 10 chilometri e, in tali condizioni operative, il motore termico non può raggiungere le temperature di lavoro ottimali, risultando dunque scarsamente efficiente con meno resa.
La riduzione dell’inquinamento in questo settore, pertanto, richiede una pluralità di interventi che vanno dalla razionalizzazione dei bisogni di mobilità, all’introduzione di veicoli e combustibili più puliti, ad azioni sulla congestione del traffico, favorendo così il trasporto pubblico nelle zone a più alta densità ed il trasporto individuale nelle zone in cui il traffico risulta meno concentrato. Naturalmente, l’idea di un’aria del tutto priva di inquinanti di origine umana è, quanto meno in epoca moderna, difficile da raggiungere concretamente, tanto che le economie mondiali hanno dovuto definire obiettivi di qualità dell’aria “compatibili con lo sviluppo” e ciò con l’intento di non lasciare pesanti eredità alle generazioni future.
Tuttavia, allo stato attuale, anche il raggiungimento di tali livelli appare problematico, così da rendere necessario lo stabilire limiti assoluti di pericolosità (che sono di molto superiori a quelli di sviluppo compatibile) i quali, a loro volta, vengono frequentemente superati nelle nostre città. Anzi, occorre sottolineare che il continuo riferimento dei mezzi di informazione alle sole soglie di allarme, rischia di ingenerare la falsa percezione che al di sotto di tali limiti si sia in presenza di aria pulita, cosa questa ben lontana dalla verità. L’introduzione della marmitta catalitica associata alla benzina verde, attuata all’inizio degli anni ’90, non ha potato ai risultati sperati. Con l’introduzione delle benzine “verdi” si è inoltre posto il problema del benzene, che altera in maniera significativa l’equilibrio delle reazioni fotochimiche dell’ozono, aggravando ulteriormente il quadro ambientale.
A partire dal 2000, poi, le direttive della U.E. hanno imposto limiti di emissioni più severi rispetto a quelli precedenti ed ulteriori limitazioni entreranno in vigore a partire dal 2005.
Infine, per quanto riguarda l’emissione di anidride carbonica e più in generale dei cosiddetti gas serra, alcuni accordi volontari sono stati sanciti tra l’industria automobilistica e i singoli Governi o la Commissione Europea. Il rispetto di tali limiti per il prossimi futuro, però, non può essere demandato ad azioni volontarie o ad accordi internazionali difficilmente controllabili e per nulla sanzionabili. In questo senso occorre che la ricerca tecnologica offra nuove opzioni che vanno dal controllo della combustione, allo sviluppo di marmitte catalitiche più efficaci, all’uso di combustibili alternativi e più puliti. Negli articoli che seguono s’intende offrire una panoramica delle soluzioni alternative più ricorrenti ed oggetto di ricerca, senza tuttavia escludere altre opzioni anche se, allo stato attuale, risultano troppo lontane da quei parametri di sicurezza ambientale sottoscritti a Kyoto da oltre 100 paesi di tutto il mondo.

La scelta del metano quale strategia vincente sull’inquinamento
L’inquinamento atmosferico prodotto dall’attuale modello trasportistico urbano è il problema più grave che caratterizza tutte le città italiane. Se il quadro generale testimonia un miglioramento nelle emissioni nocive dei diversi inquinanti (il cui effetto però è stato limitato dalla crescita del parco veicolare e dall’aumento medio delle percorrenze chilometriche), la situazione rimane alquanto grave soprattutto in relazione ai gas che influiscono sul cosiddetto effetto serra (+ 22 pr cento per quanto riguarda l’anidride carbonica) e per il particolato fine. Le concentrazioni medie di PM10 – il parametro che oggi viene utilizzato per le rilevazioni – risultano nelle città italiane molto preoccupanti. Basti pensare che in Toscana l’Arpat (l’azienda regionale che controlla i dati ambientali), ha rilevato una media di oltre 110 superamenti di 50 mg/mc nel corso del 2002, contro un massimo di 35 previsto dalle legge europea di riferimento. Se si considera poi che i valori limite al 2005 ed al 2010 saranno rispettivamente di 30 e 20 mg/mc, la situazione appare senz’altro molto critica e le alte concentrazioni di particolato fine nelle aree urbane sono dunque la questione più difficile da risolvere. Forse è bene ricordare che l’OMS – l’Organizzazione Mondiale della Sanità – ha stimato nelle prime otto città italiane che circa 3.500 decessi annuali (pari al 4,7 per cento del totale) sono da attribuire alle polveri nocive ed a questi si accompagnano 1.900 ricoveri per disturbi respiratori, 2.700 per disfunzioni cardiovascolari e circa 31.500 e 30.000 rispettivamente per casi di bronchite acuta e attacchi di asma nei bambini di età inferiore ai 15 anni. Tuttavia, non sembra che al momento vi sia un’adeguata consapevolezza di questa situazione da parte di numerosi amministratori pubblici, tanto meno dello stesso legislatore che dovrebbe intervenire con forza. Non a caso, l’ultima legge finanziaria non ha affrontato il problema della grave emergenza sanitaria e ambientale e nemmeno ha trattato la conseguente riconversione ecologica della mobilità nelle città italiane. Fra le altre cose, la letteratura scientifica ha individuato nel motore diesel di ultima generazione il principale responsabile delle emissioni di PM10, ma in Italia si è assistito per la prima volta ad un budget delle vendite che ha superato quello dei veicoli a benzina e ciò per una inspiegabile e maggiore deducibilità fiscale. Questa politica del tutto italiana, dunque, sta remando contro ogni più obiettiva e logica strategia di tutela ambientale ed a nulla valgono gli sforzi del settore per far emergere altre alternative quali ad esempio lo sviluppo dei carburanti gassosi e puliti come il metano. Nel nostro Paese, infatti, oggi sono oltre 420 gli impianti che forniscono gas metano per i veicoli a trazione, altri 150 verranno terminati entro pochi mesi e sono state quasi 700 le richieste di realizzazione di nuove stazioni, la maggior parte già accordate dalle rispettive amministrazioni. Uno sforzo immane, dunque, che attende soltanto di essere premiato. Il prodotto, come abbiamo altre volte affermato, è del tutto competitivo non solo dal punto di vista ambientale ma anche energetico e non si spiega perché, nonostante le risorse del sottosuolo nazionale di questo gas, siano stimabili in sole 400 mila unità i veicoli di recente immatricolazione che hanno montato un impianto a metano. Ma i ritardi nell’applicazione di questo “combustibile” non riguardano soltanto la particolare mentalità dell’automobilista italiano, tradizionalmente da sempre vicino alla benzina, ma anche e soprattutto i ritardi del sistema politico nel valorizzarlo. Infatti, nonostante la presenza sul mercato di adeguati mezzi (oltretutto di produzione nazionale), di una forte industria delle conversioni che potrebbe annualmente riconvertire oltre 100mila veicoli e di una rete distributiva capace di supportare oltre un milione di veicoli, come abbiamo già detto sono solo 400 mila le automobili che hanno installato l’impianto negli ultimi anni.
Un altro dato preoccupante è il fatto che nella distribuzione delle merci, che rappresenta una delle principali cause di inquinamento atmosferico ed acustico delle città, oggi non ci sono più di 80 autocarri a metano in circolazione. Sono invece 150 quelli che si occupano della raccolta dei rifiuti urbani solidi e 700 i mezzi di trasporto pubblico nonostante siamo il Paese europeo col più anziano parco autobus (dati Euromobility).
E’ fuori discussione, a questo punto, che il problema è da affrontare a livello politico sia nazionale che locale: infatti, se gli amministratori pubblici sono tenuti a migliorare la qualità dell’aria nelle loro città, dovranno pensare ad incentivare i combustibili alternativi, fra i quali il gas metano s’inserisce a pieno titolo. Esempi concreti, fortunatamente, esistono in qualche parte della Penisola, laddove l’ente (soprattutto locale) ha promosso la riconversione dei motori a benzina, attraverso la libera circolazione dei veicoli a metano nei giorni di divieto oppure attrezzando le proprie flotte pubbliche e private in questa direzione. Nel contempo, il legislatore deve sforzarsi di adeguarsi alla normativa europea cercando i raggiungere, entro l’anno 2010, la soglia del 10 per cento dei veicoli a gas metano sull’intero parco veicolare. Ciò sarà possibile solo favorendo la fiscalità ecologica e disincentivando le modalità più inquinanti attraverso un diverso orientamento delle accise sui carburanti e favorendo l’utilizzo di quelli puliti anche con la libera circolazione dei veicoli.
Certamente il problema non è semplice da risolvere, ma lo stato delle cose impone una rapida definizione di nuove e migliori strategie e, fino ad ora, il nostro Paese non ha certo brillato in questo senso.






di Roberto Rocchi

Martedì, 30 Novembre 2004
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