Centauro che incappa nelle radici delle piante non può essere risarcito
L’ordinanza n. 24744/13 resa dalla sez. VI della Corte di Cassazione desta particolare interesse poichè, non solo offre un breve compendio dello stato dell’arte in materia di danni da cose in custodia ex art. 2051 c.c., ma contribuisce anche ad arricchire la casistica del c.d. caso fortuito nell’ambito della circolazione stradale.
La vicenda processuale prende le mosse dalla richiesta di risarcimento di un centauro, caduto dalla sua motocicletta in un punto di strada nel quale l’asfalto risultava sconnesso a causa delle radici di un albero posto a bordo della carreggiata.
Gli ermellini, ante omnia, ribadiscono che l'art. 2051 c.c. costituisce un’ipotesi di responsabilità oggettiva (e non di colpa presunta) sicchè, ai fini della condanna, non assume rilievo in sé il comportamento del custode (elemento soggettivo) ma il nesso di causalità tra danno e res, che si deve caratterizzare per un’intrinseca pericolosità ad essa connaturata.
L’inquadramento dell'art. 2051 c.c. nell’ambito della responsabilità oggettiva, tuttavia, non dispensa il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale, “ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza della particolare condizione, potenzialmente lesiva, possieduta dalla cosa”.
Il danneggiato ha, quindi, l’onere di provare l’esistenza del rapporto eziologico tra cosa e l’evento lesivo, mentre il custode convenuto, per liberarsi della responsabilità, non deve provare di aver adempiuto agli obblighi custodiali (ricostruzione della fattispecie in chiave di colpa presunta), ma deve dimostrare l’esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva,denominato dall’art. 2051 c.c. “caso fortuito”, idoneo ad interrompere il nesso causale.
Per la giurisprudenza della Suprema Corte, il caso fortuito è definito come un “fatto estraneo alla sfera di signoria del custode, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità” (ex multis Cass. n. 4244/13).
In altri termini, il caso fortuito si identifica in un fattore, diverso dalla cosa e dal custode, assoluto ed oggettivo (teoria condicio sine qua non), che ha costituito la vera causa del danno, con la conseguenza che la cosa non è stata la causa dell’evento ma, al più, la mera occasione.
Una tipica ipotesi di caso fortuito è il c.d. “fatto del terzo”, nel cui ambito è pacificamente ricompreso anche il fatto dello stesso danneggiato (Cass. n. 858/2008).
Il caso de quo, a detta dei Giudici della Corte, rientra proprio nell’ambito del “fatto del danneggiato”, atteso che nel giudizio di merito l’ente convenuto aveva dimostrato la violazione da parte del motocilista dell’art. 143 c.d.s., che impone di marciare lungo il margine anche quando la carreggiata è libera, con ciò provando il verificarsi del caso fortuito.
I Giudici della Suprema Corte hanno così confermatol’argomentazione dai magistrati di merito, secondo cui “Se il motocilista avesse circolato a moderata velocità e sul margine destro della sua carreggiata avrebbe sicuramente avvistato i modesti rigonfiamenti [del manto stradale, causati dalle radici]ed avrebbe evitato ogni conseguenza dannosa”.
In definitiva,nel caso de quoil fatto dello stesso danneggiatoassume rilievo decisivo per la verificazione del danno: la caduta del centauro non si è verificata a causa delle radici nell’asfalto ma solo ed esclusivamente perché il motociclista, adottando una guida in violazione del Codice della Strada, si è precluso la possibilità di avvistarle per tempo ed evitarle.
(Nota di Raffaele Plenteda)
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI-3 CIVILE
Ordinanza 10 ottobre-5 novembre 2013, n. 24744
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SEGRETO Antonio - Presidente -
Dott. VIVALDI Roberta - Consigliere -
Dott. AMBROSIO Annamaria - Consigliere -
Dott. GIACALONE Giovanni - rel. Consigliere -
Dott. FRASCA Raffaele - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 1634/2012 proposto da:
P.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14, presso lo studio dell'avvocato BARBANTINI GOFFREDO, rappresentato e difeso dall'avvocato PUGLIESE PIETRO, giusta mandato alle liti in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
PROVINCIA DI TARANTO in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ZANARDELLI 20, presso lo studio dell'avvocato ALBISINNI LUIGI, rappresentata e difesa dall'avvocato SEMERARO CESARE, giusta delega a margine del controricorso;
- controricorrente -
contro
ALLIANZ SPA (già RIUNIONE ADRIATICA DI SICURTA' SPA) in qualità di impresa designata dal Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada in persona del procuratore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio dell'avvocato SPADAFORA GIORGIO, che la rappresenta e difende, giusta mandato speciale in calce al controricorso;
- controricorrente -
contro
UNIPOL ASSICURAZIONI SPA (nuova denominazione di UGF - Unipol Gruppo Finanziario SpA, società incorporante la Navale Assicurazioni SpA) in persona del suo procuratore ad negotia, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI 27, presso lo studio dell'avvocato MELUCCO ANDREA, che la rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 243/2010 della CORTE D'APPELLO di LECCE -
Sezione Distaccata di TARANTO del 10.5.2010, depositata l'8/11/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/10/2013 dal Consigliere Relatore Dott. GIOVANNI GIACALONE;
udito per la controricorrente (Allianz SpA) l'Avvocato Antonio Manganiello (per delega avv. Giorgio Spadafora) che si riporta agli scritti;
E' presente il Procuratore Generale in persona del Dott. PIERFELICE PRATIS che si riporta alla relazione scritta.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Nella causa indicata in premessa, è stata depositata la seguente relazione: "1 - La sentenza impugnata, depositata l'8 novembre 2010, ha respinto l'appello principale del P., osservando, per un verso, che la presenza di radici di un albero sul margine della strada, circostanza di fatto assolutamente naturale, non costituiva insidia, essendo peraltro di dimensioni tali da poter essere bene avvistata; ciò avrebbe dovuto indurre il P. ad adeguare la velocità del motociclo alle condizioni di luogo; se il P. avesse circolato a moderata velocità e sul margine destro della sua carreggiata avrebbe facilmente avvistato i modesti rigonfiamenti ed avrebbe evitato ogni conseguenza dannosa; il P., inoltre, avrebbe dovuto provare che fosse stato esclusivamente il veicolo rimasto ignoto a determinare il sinistro, mentre vi era la prova del contrario dovendosi ritenere accertata la violazione dell'art. 143 C.d.S., in capo al P. e non accertata la responsabilità di detto veicolo; non era applicabile la presunzione ex art. 2054 c.c., comma 2, operante solo in caso di collisione, nella specie non verificatasi, come ammesso nell'atto introduttivo dallo stesso odierno ricorrente.
2 - Ricorre per cassazione il P. con due motivi; la Provincia, l'Unipol e l'Allianz (già RAS) resistono con rispettivi controricorsi.
3. - Il ricorrente deduce i seguenti motivi:
3.1. violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, circa la ritenuta non applicabilità dell'art. 2051 c.c., e art. 2043 c.c., nonchè errata applicazione dell'art. 143 C.d.S..
3.2. omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, sempre per avere erroneamente escluso la Corte territoriale la sussistenza di un'insidia.
4.1. - Le censure - che possono trattarsi congiuntamente data l'intima connessione, essendo tutte rivolte a contestare la ritenuta mancanza dell'insidia e la ricostruzione del sinistro - implicano accertamenti di fatto e valutazioni di merito. Ripropongono, in realtà, un'inammissibile "diversa lettura" delle risultanze probatorie, senza tenere presente:
4.2. quanto alla valutazione di elementi probatori (contestate specie nella seconda censura), il controllo di legittimità sulla motivazione della sentenza e quindi su di un giudizio di fatto dei giudici di merito non può spingersi fino alla rielaborazione dello stesso alla ricerca di una soluzione alternativa rispetto a quella ragionevolmente raggiunta, da sovrapporre, quasi a formare un terzo grado di giudizio di merito, a quella operata nei due gradi precedenti, magari perchè ritenuta la migliore possibile, dovendosi viceversa tale controllo muovere esclusivamente (attraverso il filtro delle censure proposte dalla parte ricorrente) nei limiti segnati dall'art. 360 c.p.c.. Tale controllo riguarda infatti unicamente (attraverso il filtro delle censure mosse con il ricorso) il profilo della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica delle argomentazioni svolte, in base all'individuazione, che compete esclusivamente al giudice di merito, delle fonti del proprio convincimento, raggiunto attraverso la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, scegliendo tra di esse quelle ritenute idonee a sostenerlo all'interno di un quadro valutativo complessivo privo di errori, di contraddizioni e di evidenti fratture sul piano logico, nel suo interno tessuto ricostruttivo della vicenda (cfr., per tutte, Cass. S.U. 11 giugno 1998 n. 5802 e, più recentemente, Cass., nn. 27162/09, 26825/09, 15604/07 e 21153/10, in motivazione);
4.3. quanto agli elementi di cui s'invoca l'omessa considerazione nel secondo motivo, si deve ribadire che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d'inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d'appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d'ufficio. Il ricorrente, al fine di evitare una statuizione d'inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (Cass. n. 19976/2009; 13958/2007, in motivazione; 7981/2007;
2140/2006; 22154/2004);
4.4. nonchè, circa le restanti censure del primo motivo, il consolidato orientamento di questa S.C. secondo cui, in tema di responsabilità civile per i danni cagionati da cose in custodia, la fattispecie di cui all'art. 2051 c.c., individua un'ipotesi di responsabilità oggettiva, essendo sufficiente per l'applicazione della stessa la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo. Pertanto non assume rilievo in sè la violazione dell'obbligo di custodire la cosa da parte del custode, la cui responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell'evento, riconducibile in tal caso non alla cosa che ne è fonte immediata ma ad un elemento esterno. Ne consegue, l'inversione dell'onere della prova in ordine al nesso causale, incombendo comunque sull'attore la prova del nesso eziologico tra la cosa e l'evento lesivo e sul convenuto la prova del caso fortuito. Sia l'accertamento in ordine alla sussistenza della responsabilità oggettiva che quello in ordine all'intervento del caso fortuito che lo esclude involgono valutazioni riservate al giudice del merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (Cass. n. 6753/2004). L'attore che agisce per il riconoscimento del danno ha, quindi, l'onere di provare l'esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l'evento lesivo, mentre il custode convenuto, per liberarsi dalla sua responsabilità, deve provare l'esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale (Cass. 4279708; 20427708;
5910/11 secondo cui la norma dell'art. 2051 c.c., che stabilisce il principio della responsabilità per le cose in custodia, non dispensa il danneggiato dall'onere di provare il nesso causale tra queste ultime e il danno, ossia di dimostrare che l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa - Principio enunciato ai sensi dell'art. 360 bis c.p.c., n. 1).
4.5. La sentenza impugnata, invece, ha congruamente spiegato le ragioni della propria decisione, proprio esaminando gli elementi la cui considerazione il ricorrente assume che sia stata erroneamente valutata. Attenendosi ai riferiti principi, non è stato provato che fosse stato esclusivamente il veicolo rimasto ignoto a determinare il sinistro, mentre vi è la prova del contrario dovendosi ritenere accertata la violazione dell'art. 143 C.d.S., in capo al P. e non accertata la responsabilità di detto veicolo, assumendo quindi rilievo decisivo il fatto dello stesso danneggiato.
4.6. Le doglianze comunque sono (oltre che inammissibili anche) manifestamente infondate atteso:
- da un lato, che la responsabilità prevista dall'art. 2051 c.c., per i danni cagionati da cose in custodia presuppone la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa; detta norma non esonera il danneggiato dall'onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa mentre resta a carico del custode offrire la prova contraria alla presunzione iuris tantum della sua responsabilità mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità costituisce caso fortuito anche la riferibilità dell'evento a una condotta colposa dello stesso danneggiato (Cass., 17 gennaio 2008, n. 858) e nella specie è stato escluso un nesso causale tra la cosa in custodia e il sinistro occorso al ricorrente;
- dall'altro, che il caso fortuito cui fa riferimento l'art. 2051 c.c., deve intendersi nel senso più ampio, comprensivo del fatto del terzo e del fatto dello stesso danneggiato (Cass. 19 febbraio 2008 n. 4279). Deve ribadirsi - infatti - che nel caso in cui l'evento di danno sia da ascrivere esclusivamente alla condotta del danneggiato, la quale abbia interrotto il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, si verifica un'ipotesi di caso fortuito che libera il custode dalla responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. (Cass. 19 febbraio 2008 n. 4279).
6. - Il relatore propone la trattazione del ricorso in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, 376 e 380 bis c.p.c., ed il rigetto dello stesso".
La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti costituite.
La parte resistente ha presentato memoria, insistendo per il rigetto del ricorso.
Ritenuto che:
a seguito della discussione sul ricorso in camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione; che il ricorso deve perciò essere rigettato essendo manifestamente infondato;
le spese seguono la soccombenza a favore delle parti costituite;
visti gli artt. 380 bis e 385 c.p.c..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio a favore di ciascuna parte costituita, che liquida in Euro 3.300,00, di cui Euro 3.100,00 per compensi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2013.
da Altalex