Quelli
che ci guardano dall’alto. di Lorenzo Borselli | ||
C’è
una nuova crociata, in atto sulle strade nostre e, per la verità,
su quelle di mezzo mondo: è quella contro i famosi o famigerati
(dipende dai punti di vista) SUV, acronimo di Sport Utility Veichle,
ibridi macchinoni non ancora fuoristrada ma molto più che berline.
Macchine grandi, con pneumatici giganteschi e tanti, davvero tanti,
centimetri cubici. Una crociata in cui i combattenti non fanno prigionieri,
finendo col non distinguere nemmeno più, mancando una categoria
definita, tra i fuoristrada veri e propri e i SUV, appunto: negli States
vengono considerati SUV anche gli Hummer, quegli affascinanti gipponi
(ma fuoristrada a tutti gli effetti) che ci siamo abituati a vedere
prima in tv, nei reportage dagli scenari di guerra a partire dal primo
conflitto nel Golfo ad oggi, e poi anche al cinema, guidati dagli eroi
della celluloide in demolition-movies come The Rock – in cui Sean
Connery semina una Testarossa guidata da Nicholas Cage – e via
discorrendo. In Italia, la crociata è già alla sua linea
Maginot, con propositi governativi di gabellare la categoria con un
superbollo, stile diesel anni ’80, e con centri storici offlimits. Nel
resto d’Europa, Parigi ha già vietato gli Champs Elysees ai bisonti
della strada, mentre la Danimarca è stato il primo paese comunitario
a fare propria una direttiva del parlamento europeo, mettendo al bando
i bullbar (comunemente detti "paravacche") dalle proprie strade.
Firenze, città in cui la moda dei SUV pare davvero in ascesa,
sembra avviarsi a seguire l’esempio parigino. Ma che cosa sta succedendo, con esattezza, e perché oggi si è giunti a questa ennesima rissa? La questione è fin troppo semplice: da una parte ci sono i contrari, che lamentano eccessivo inquinamento e rischio, dall’altra ci sono i favorevoli, che riempiono i propri gipponi con windsurf o snowboard, e che scorrazzano nei weekend alla ricerca di luoghi lontani dai sentieri battuti per esercitare le proprie passioni. Tra loro, una considerevole parte, ci sono anche quelli che di sport e utilità non hanno alcun interesse, ma che acquistano quelle auto semplicemente perché belle, potenti, di grande sciccheria; non è insolito imbattersi in una casalinga, che lascia i figli davanti alle elementari, o in un rappresentante di commercio, che cerca parcheggio in un centro storico cittadino o file di SUV di fronte a un bagno di Rimini o Viareggio. Altri hanno partecipato al massimo al Camel Trophy fatto in casa, andando a Fiesole o a mangiare una piadina romagnola a Bertinoro, appena 100 metri sul livello del mare. Internet è pieno di siti anti-SUV, nei quali è copiosa l’elencazione di manifestazioni di prepotenza, di eccessivo inquinamento e di pericolosità per gli utenti deboli della strada, mentre nei portali che si occupano di veicoli di quel genere, generalmente, si parla solo di raduni, addestramenti e percorsi di svago. Quel che è certo è che oggi si combatte quella guerra di cui dicevamo in apertura, ma per vederci chiaro, la querelle andrebbe resa spuria dalle personalizzazioni e dagli integralismi, di entrambe le parti: se infatti è vero che appare esagerato muoversi in un centro urbano con veicoli come la Cadillac Sixteen – in voga negli Stati Uniti – spinta da un propulsore a 13mila e 600 centimetri cubici, è anche vero che si tratta di prodotti esageratamente americani, che qui in Europa, soprattutto in Italia, non circolano affatto. Da noi, difficilmente si oltrepassano i tre litri, e gli stessi propulsori spingono mostri assolutamente stradali, in grado di superare agilmente i 250 orari, che di SUV hanno poco o niente, ma che sembrano essere piuttosto trasposizioni lussuose delle formula uno. Al contrario, è possibile imbattersi in un fuoristrada indispensabile per muoversi sulle strade sterrate, o per divertirsi in percorsi accidentati, esattamente come un motocross. Ecco allora che la battaglia italiana di questa guerra globale – che ha toccato perfino la campagna elettorale per la Casa Bianca – guarda già oltre al semplice concetto di SUV, chiamando in causa, più semplicemente, i veicoli che consumano e che costano di più, che emettono fumi in maniera proporzionale alla benzina che bruciano e che, implicitamente, vanno più veloci e quindi più soggetti a rivestire panni trasgressivi, oltre che esclusivi. Legambiente ha redatto un dossier contro i SUV, disponibile sul sito internet dell’associazione ambientalista, che mette a nudo la propria intransigente opinione della categoria di veicoli, dal più che eloquente titolo "anatomia di un delirio collettivo". Non manca nemmeno la citazione di partenza, pronunciata da un inquietante Homer Simpson, protagonista animato dell’omonima serie disegnata per la tv: "è una vita che cerco una macchina che mi dia quella certa sensazione... potente come un gorilla, morbida come una palla antistress". Legambiente attacca duramente, e si propone di dimostrare quanto sia assolutamente falso il teorema difensivo degli utilizzatori, che reclamano la propria libertà di muoversi fuori dalle città, senza limiti di strada, di salita o di condizioni meteo. La partenza è proprio questo: smontare la capacità fuoristradistica dei SUV, molti dei quali non sono nemmeno dotati di marce ridotte, indispensabili per la percorrenza di tratti particolarmente accidentati ed impervi. E poi ci sarebbe, sempre secondo Legambiente, la questione di un pericoloso regresso tecnologico, costituito dalla perdita della ricerca ergonomica: in pratica i 10 SUV più venduti consumano tremendamente tanto, fattore questo che comporta, oltre che un maggior sperpero di denaro, un aumento delle emissioni inquinanti. Il parco veicolare italiano, del resto, ha sempre mantenuto tra le proprie peculiarità più apprezzabili proprio i consumi limitati delle proprie vetture, specialmente quelle prodotte dalle case costruttrici nostrane: si pensi alla rivoluzione della ‘500, ma anche alla Uno, alla Innocenti, alla Y10, con gli economicissimi motori Fire, fino al brevetto Common Rail, per quanto riguarda i propulsori a gasolio, evolutisi ora con l’avveniristico Multijet. Le aziende consorelle europee hanno sempre guardato ai "motorini" italiani con grande rispetto ed attenzione. In fondo, l’utilitaria, è un’invenzione di casa Agnelli. La tracotanza del nuovo segmento, inaugurato alcuni anni fa con l’arrivo sul mercato italiano della Honda CR-V, ha in parte posto fine a questo chiodo fisso dell’italiano, al quale sembrava non interessare altro: si pensi che in Italia la produzione dell’ultimo fuoristrada vero, risale agli anni ’60, quando la Fiat Campagnola e la quasi gemella Alfa Matta sembravano aver preso il meglio della Jeep Willys (quella di John Wayne e del Soldato Ryan) celebrata nelle settimane scorse in una mostra a Ravenna; la Campagnola venne prodotta in evoluzioni successive anche negli anni ’80, ma senza troppa convinzione e ricerca, investendo più sulla commercializzazione di quella fantastica utilitaria 4X4 che si è dimostrata la Panda, con qualche guizzo sulle Sport Wagon della Alfa 33 Giardinetta. Torniamo all’evoluzione verso il SUV: dopo la Honda CR-V, il segmento ha conosciuto un’impennata senza precedenti, e all’alba del nuovo millennio sono arrivate auto sempre più poderose, sempre più potenti. Una vera escalation, che ha visto cadere nella tentazione case che producevano solo fuoristrada tout-court, ma anche aziende dalla vocazione stradistico-sportiva come la Porsche, che ha lanciato la lussuosissima e potentissima Cayenne. Secondo Legambiente le SUV consumano fino al 70% in più delle auto normali, quelle più semplici e piccole, ragionate per l’economia della famiglia. Certo, nell’era della piccolissima Smart, auto lanciata come superutilitaria dall’alto confort, dai consumi bassissimi e dall’ingombro più piccolo tra le quattroruote sulla piazza, pare strano che veri e propri elefanti dell’asfalto vedano crescere in maniera così elevata il proprio indice di gradimento. Alla forma contenuta della Smart, si oppongono infatti le grandi dimensioni dei SUV, che possono essere lunghi fino a 5 metri e larghi 1,9: cifre che poco si conciliano con gli sforzi finora profusi per trovare un giusto ingombro che fosse in equilibrio con la necessità di confort e sicurezza negli impieghi sempre più urbani dei veicoli finora usciti dalla catena di montaggio. Un conducente al volante di un SUV, secondo Legambiente, godrebbe poi di una posizione più alta rispetto al piano viabile, che fornirebbe un’illusoria sensazione di potenza e protezione, che inciderebbe in maniera determinante sulla sicurezza delle utenze deboli. In effetti, per constatazioni dirette, i proprietari di veicoli del genere affermano di aver acquistato un veicolo di tali dimensioni per aumentare la propria sicurezza e quella dei trasportati, a scapito di coloro che si trovano sulla loro rotta di collisione. Stiamo parlando dell’effetto schiacciasassi, che tanto aveva solleticato la fantasia dei disegnatori di Willy il Coyote, brutalmente vittima delle sue stesse trappole, preparate invano per catturare l’acerrimo rivale Road Runner. A sostegno della propria tesi, i nemici giurati dei SUV, e a questo punto anche dei fuoristrada, citano i risultati delle ricerche compiute dalla stampa specializzata: secondo l’autorevole mensile Quattroruote, "per un guidatore di un veicolo, una comune berlina, che viene urtato lateralmente, il rischio di perdere la vita è di 30 volte superiore se ad urtarlo è una fuoristrada o un SUV". Un effetto allarmante, corroborato dalle conclusioni raggiunte anche dall’Insurance Institute for Highway Safety, un centro studi facente capo alle maggiori compagnie assicurative statunitensi, i cui ricercatori hanno raggiunto risultati da brivido: dalla disamina dei dati epidemiologici a loro disposizione, infatti, è stato dimostrato che in caso di speronamento laterale da parte di un SUV, le possibilità di avere vittime sono 5,6 volte superiori rispetto alla norma, mentre in caso di scontri frontali le conseguenze sono – ovviamente – anche peggiori. La particolare conformazione di un veicolo SUV o fuoristrada, infatti, comporta che questo, in caso di impatto frontale, abbia una capacità dirompente assolutamente maggiore, arrampicandosi sul cofano del mezzo antagonista, schiacciandolo e penetrando nel parabrezza. Secondo i dati elaborati dall’agenzia americana – portati ad esempio dalle associazioni ambientaliste e da alcuni sodalizi di consumatori – nel 56,3% dei sinistri letali tra un SUV ed un auto normale, le vittime erano a bordo delle seconde. Analoga questione nei confronti dei pedoni, contro i quali giocano anche gli optional montati per passione su questi veicoli: ci riferiamo ai bullbar. Si tratta di dispositivi storicamente ideati per proteggere gli avantreni dei veicoli dall’urto contro ostacoli di vario genere: nel gergo degli appassionati vengono indicati con il termine composito "paravacca" e sono montati sui furgoni americani o australiani proprio per impedire danni al veicolo perlopiù dall’impatto contro animali. Semplicemente, si tratta di paraurti sporgenti. In caso di scontro con pedoni, ciclisti o motociclisti, le conseguenze sono davvero devastanti, aumentate da una presunta mancanza di visuale da parte del conducente di SUV rispetto a ciò che si trovi nelle immediate vicinanze della prua del veicolo, tesi questa smentita dagli amanti della categoria finita nel mirino. Recentemente, l’onorevole Elena Montecchi, di Reggio Emilia, ha presentato un’interrogazione al ministro Pietro Lunardi proprio sulla delicata questione: la domanda, sottoscritta da numerosi parlamentari, prende come riferimento proprio quella proposta di direttiva già fatta propria dal governo danese in materia. Contro i SUV si sono pronunciati anche i medici traumatologici, che parlano di una moda di cui augurano una fine rapida. Nel j’accuse degli specialisti italiani – riuniti nel primo convegno di traumatologia della strada a Bologna agli inizi del mese di ottobre insieme ai colleghi di Spagna e Portogallo – sono finiti proprio i gipponi, troppo alti dal suolo, dalle forme eccessivamente squadrate e pieni di sporgenze, resi ancora più letali dai bullbar anteriori e laterali. Le caratteristiche stesse dei SUV, però, metterebbero a rischio non solo l’incolumità di automobilisti e pedoni, ma anche quella dei passeggeri dei veicoli nel mirino, perché proprio la grande "durezza" che li contraddistingue renderebbe ben più violenti gli effetti di un impatto contro un ostacolo fisso. Gli stessi medici, però, invitano a non criminalizzare tutti i SUV. "Alcuni di essi sono solo automobili modificate per poter essere chiamate fuoristrada (4 ruotemotrici, marce ridotte, ecc.) e sono sottoposti alle stesse procedure di omologazione di sicurezza delle auto – sottolinea il professor Andrea Costanzo, presidente della Socitras, la società italiana di Traumatologia della strada – mentre altri invece sono costruiti al di fuori di queste regole. La situazione peggiora quando vengono aggiunti bullbar del tutto ridicoli in città". Sulla questione delle limitazioni in città, i medici condividono l’ipotesi restrittiva, ma non tanto per le questioni relative all’inquinamento o all’occupazione di spazio, "quanto piuttosto alle conseguenze di alcuni tipi di SUV, in caso di impatto, sugli utenti della strada". Ma a tanti contro, si oppongono i pro? L’esperto di guida in fuoristrada, obbietta che niente è relativo. In questo, francamente, non possiamo dargli torto. La nostra – sia ben chiaro – è una posizione di assoluta neutralità, ma alcune considerazioni possiamo farle. È ovvio che una maggiore dimensione del veicolo, in termini di massa, comporta un rischio maggiore per chi ci vada a sbattere. Ed è vero anche che per muovere un veicolo di così grosse dimensioni, servano cilindrate maggiori, che poco si conciliano con le necessità di mantenere bassi i consumi e le emissioni di polveri sottili: motivazioni, dunque, di carattere economico ed ambientale. Sulla questione delle prestazioni, poi, si tratta di un dato ovvio. I test fatti sulla la prova dell’alce, infatti, non potevano che dare ragione alla fisica: si tratta di veicoli dal baricentro alto, che hanno impostazioni diverse in ogni fase della guida, dalla partenza all’inserimento in curva. La questione delle ridotte, inoltre, non deve essere portata ad esclusiva prova della negazione di questi veicoli a percorsi fuoristradistici. Abbiamo a che fare con una moda, estremamente costosa e forse – come tutte le mode, del resto – in larga parte inutile. Tutto sta nel buonsenso di chi si trova al volante, che spesso non è addestrato a guidare veicoli del genere, per i quali serve una preparazione adeguata, e che potrebbe soffrire della mancanza di senso civico patita da una larga parte di conducenti. In questo senso, la proposta di prevedere una patente specifica per chi guida questi veicoli appare sufficientemente ragionevole. Con la stessa motivazione tecnica, però, una tale proposta deve essere fatta anche per la conduzione di veicoli commerciali sotto i 35 quintali: un normalissimo Daily, infatti, si guida con una patente B, ma ha un comportamento |