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Notizie brevi 13/09/2005

Una significativa ed efficace riflessione di Roberto Cafiso, dal quotidiano "La Sicilia" - Ragazzi che rischiate la vita in un incidente stradale riuscite a immaginare i momenti successivi alla morte?

da La Sicilia
Una significativa ed efficace riflessione di Roberto Cafiso, tratta dal quotidiano "La Sicilia"
Ragazzi che rischiate la vita in un incidente stradale riuscite a immaginare i momenti successivi alla morte?
Roberto Cafiso.

Quando si è giovani è strano, poter pensare che la nostra morte venga e ci prenda per mano…
E’ un brano della canzone "Dedicata ad un’amica" dei Nomadi, di una trentina e passa anni fa.
I ragazzi corrono nel vento, che cercano di emulare, spensierati, forti della loro giovane vita, immortali come Achille, che pure immortale non era.
Corrono in auto, in moto.
Si aspettano l’ebbrezza, cercano le sensazioni forti e si sopravvalutano.
Pensano che gli incidenti capitino sempre agli altri, ai loro stessi amici di cui a volte devono partecipare alle esequie.
Ma non registrano che sotto il foglio della vita aderisce perfettamente quello della morte, i cui margini sono pronti a debordare in un attimo di distrazione, diventando l’immagine principale.
I ragazzi non sanno cos’è la morte nel dettaglio, quale bagaglio di squallida sofferenza può avere in sé, quale dolore può imprimere nei genitori che innaturalmente devono seppellire i propri figli.
La morte è cruda, concreta, dà confidenza a chiunque ed accetta le sfide, perché è sicura di vincere prima o poi.
I giovani che corrono, rischiano e si misurano con i loro limiti (che spesso sconoscono) non capiscono cosa può essere per i loro genitori un incidente grave, nel quale riporteranno menomazioni o addirittura moriranno.
Bisognerebbe far vivere loro, pur da spettatori, l’esperienza tragica di un incidente mortale di un loro coetaneo.
Lo schianto, il silenzio assordante degli attimi che seguono, il corpo riverso sull’asfalto, le frenate delle auto che si fermano per i soccorsi, il sangue, le urla e i primi pianti di chi, vedendo, ha capito.
Poi la sirena di un’ambulanza, l’arrivo in pronto soccorso, il livello rosso di attivazione dei sanitari, il rianimatore, i raggi x per constatare gli effetti devastanti dell’urto sulle ossa, sugli organi e l’ultimo respiro esalato mentre arrivano i parenti.
Ragazzi sapete cosa può voler dire per un padre ed una madre apprendere dagli occhi di qualcuno che il proprio figlio non c’è più?
Che è morto poco prima in una lettiga, tra estranei, prima del suo tempo, senza neppure un bacio?
Avete mai ascoltato le urla o lo strazio composto ?
Gli abbracci disperati che si cercano per un reciproco sostegno?
Sapete com’è fatto un obitorio?
E’ surreale e c’è freddo.
Sapete immaginare il corpo nudo di un giovane devastato sul marmo?
Con fratture esposte, ferite sparse in un corpo martoriato ed immobile?
Conoscete il colorito grigiastro della morte?
Gli occhi socchiusi?
E l’incedere di un medico legale incaricato da un magistrato di ispezionare quel corpo?
O magari di effettuarne l’autopsia?
Un corpo immobile che prima era una vita ed ora è gonfio di sangue, ghiacciato e deturpato.
Bisognerebbe vedere due genitori distrutti che aspettano che il cadavere sia dissequestrato e restituito per i funerali.
Gli addetti alle pompe funebri, discreti ma efficienti che lavorano e cercano il parente più lucido per programmare il funerale, per scegliere le parole giuste per i manifesti mortuari.
Il ronzio di voci, di volti esterrefatti, solidali, di circostanza, che si avvicinano, baciano, fanno le condoglianze.
Ma anche il flusso di ricordi che affolla la mente di chi è in vita e se ne fa una colpa.
I genitori non dovrebbero mai seppellire i propri figli, è innaturale, iniquo.
Ragazzi, pensate mai a quanto grande può essere un dolore simile?
In una chiesa gremita di volti affranti, abiti scuri, con una bara in mezzo, davanti all’altare, i fiori, l’omelia pietosa del sacerdote che predica la speranza e la fede nella resurrezione, in un momento dove è difficile andare oltre la crudezza del dolore.
Riuscite ad immaginare i vostri genitori, i fratelli, i parenti, stretti sui banchi di quella chiesa distrutti, inebetiti, avvolti da un’atmosfera surreale?
E pensate al dopo, ai compagni, agli amici che si alternano con gli occhi rossi a portare il feretro a spalla tra gli applausi appena fuori dalla chiesa degli intervenuti.
Ripensate a quei vostri genitori, che non sanno perché sono lì, ai funerali di chi, che devono ringraziare le pietose mani che li toccano o solo li sfiorano, mentre loro sragionano, piangono, ridono.
Immaginate quanto grande può essere un simile sfinimento per chi nutriva progetti, fantasticava traguardi e si aspettava sorrisi e strette di mano, ma di congratulazioni?
E’ difficile capire cosa c’è nell’animo di un genitore se non si è messo al mondo un figlio.
E’ atroce pensare di poterlo accompagnare in cimitero, dentro una bara, per chiuderlo per sempre in una tomba.
Non sappiamo se la crudezza di queste riflessioni, purtroppo meno reali della realtà, valgano la prudenza di un ragazzo.
Possa frenare l’apertura del suo polso o la spinta del piede sull’acceleratore in tante circostanze ove si pensa di non incontrarla mai la morte.
Né ad un incrocio e neppure dietro una curva con cui cimentarsi per vedere chi quanto si è abili nella guida.
Ma dietro ogni gara ci sono altre persone. Quelle che tremano, che palpitano, che pregano per noi.
Quelle che ci vogliono bene e alle quali neppure pensiamo talmente è scontato che ce ne vogliano.
Ma non è così, se ci pensate.
Essere amati è un privilegio che non può prevedere lo sprezzo dei sentimenti, il rifiuto della logica, lo scherno della cautela.
La morte è a volte in agguato, a prescindere.
Ma quando si è giovani è più probabile che la si vada a stuzzicare, perché essa di norma si rivolge altrove, ad altri.
La sua rappresentazione ne celebra un patos teorico, ne esalta il mistero, la rende nobile.
Ma affrontarla nei suoi esiti, davanti alle spoglie di un figlio, è tutta un’altra cosa.
Essa è assurda tragedia, desolazione della carne, profonde ferite dell’anima che un adulto non rimarginerà mai, morendo anch’esso dentro, senza la consolazione dell’oblio.
Prudenza e basta vuol dire poco.
Ma rispetto per l’amore che suscitiamo in chi ci ama dovrebbe essere un valore.
Rispetto per la loro gioia.
Prevenzione per il loro dolore per una indecente voglia di rischiare fine a se stessa, ordita troppe volte con troppa sufficienza e vanto.
Se solo ci ricordassimo di più di chi ci ama…
.


Martedì, 13 Settembre 2005
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