Assalto a furgone polizia: evade ergastolano con precedenti di droga e armi
Erano circa le 15 quando un commando di quattro uomini armati ha assaltato un furgone della polizia penitenziaria davanti al tribunale di Gallarate (Varese). Il loro obiettivo: fare evadere Domenico Cutrì, 32 anni, ergastolano e presunto boss della ‘ndrangheta. Il piano è riuscito: gli uomini armati avrebbero preso in ostaggio un passante e poi intimato ai poliziotti di lasciare le armi a terra. Dopo una sparatoria, in cui sono stati esplosi una trentina di colpi di arma da fuoco, è iniziata la fuga dell’evaso e dei banditi a bordo di un’auto nera. Due agenti della polizia penitenziaria sono rimasti leggermente feriti. Poco più tardi uno degli assalitori, Antonino, fratello di Cutrì, è stato lasciato agonizzante dai compagni a casa della madre, a Cuggiono nel Milanese. È stata la donna a portare il figlio in fin di vita all’ospedale di Magenta dove è morto.
LE ORIGINI CALABRESI - Cutrì, residente a Legnano (Milano) ma di origini calabresi, trovava fino a 2013 nel carcere di Saluzzo, da cui era stato spostato perché una fonte confidenziale aveva rivelato un tentativo di evasione per farlo scappare. Ha alle spalle diversi precedenti per armi e droga. Lunedì doveva partecipare a un processo per emissione di assegni falsi, e il furgone lo stava portando davanti all’ingresso del tribunale gallaratese. La famiglia di Cutrì è emigrata negli anni ‘60 da Melicuccà (Reggio Calabria), suo paese d’origine, prima in Piemonte e poi in Lombardia. Le ricerche dell’evaso sono state estese quindi anche alla Calabria nell’ipotesi, che al momento comunque non ha trovato alcun riscontro, che l’ergastolano possa avere trovato rifugio o appoggi anche nella regione.
PISTOLE, FUCILI E SPRAY URTICANTE - Gli assalitori hanno agito vicino alla porta d’ingresso del tribunale di Gallarate dove, armati di pistola e di spray urticante, hanno sorpreso gli agenti che stavano accompagnando all’esterno il detenuto al termine di una udienza. È scoppiata una colluttazione e sono stati sparati alcuni colpi di pistola. I banditi hanno quindi liberato Domenico Cutrì e sono fuggiti a bordo di un’auto, sulla quale hanno caricato anche il compagno ferito. Polizia e carabinieri hanno allestito posti di blocco per intercettare l’auto in fuga, una Polo nera, e sono in corso i rilievi su una seconda vettura usata dei malviventi, sequestrata, con a bordo alcune armi, tra cui dei fucili da assalto.
LA TESTIMONE: «HO AVUTO PAURA» - «All’inizio sembravano botti di Carnevale, poi mi sono affacciata e ho visto molti poliziotti con le pistole spianate. La sparatoria è stata lunga e ho avuto molta paura»: è quanto ha raccontato una delle inquiline del palazzo adiacente la piccola pretura di Gallarate dove è avvenuto l’assalto. «Sono corsa da mio figlio che abita al piano di sotto - prosegue il racconto della testimone - e abbiamo visto molti poliziotti sparare» verso una piccola via laterale dalla quale il gruppo dei malviventi è scappato a bordo di una delle due macchine utilizzate per liberare .
LA CONDANNA- Cutrì era stato condannato all’ergastolo in appello per l’uccisione di Luckasz Kobrzeniecki, un polacco di 22 anni freddato a colpi di pistola nel 2006 a Trecate (Novara). Secondo l’accusa, il calabrese era al volante dell’auto da cui partirono gli spari che la notte del 15 giugno di otto anni fa uccisero la vittima. Arrestato tre anni dopo, Cutrì si è sempre professato innocente ma la tesi dell’accusa è che sarebbe stata la gelosia a spingerlo ad architettare il delitto: la «colpa» del giovane polacco infatti sarebbe stata quella di aver riservato qualche apprezzamento di troppo alla donna del boss. Con Cutrì, i giudici condannarono anche il gestore di un bar di Trecate a tre anni di reclusione per favoreggiamento. L’esecutore materiale dell’agguato invece, Manuel Martelli, 32enne di Trecate, processato con rito abbreviato (che gli garantì lo sconto di un terzo della pena) è stato condannato a 16 anni e 4 mesi.
IL FINTO ALIBI - Nel processo d’appello, a favore di Cutrì, per un periodo difeso anche dall’avvocato Giulia Bongiorno, che poi rinunciò all'incarico («Di lui - spiega Bongiorno - mi sono occupata solo in un grado di giudizio. Ho rinunciato alla difesa alla fine dell’appello»), testimoniò una donna di origini calabresi, sostenendo che all’ora del delitto avevano avuto un appuntamento galante nell’abitazione dell’imputato. Una versione emersa soltanto a distanza di anni, disse, perché la donna temeva che il marito potesse scoprire quella relazione clandestina. L’alibi, però, non convinse e a smontarlo arrivarono poi le testimonianze del titolare e del portiere di un albergo di Vittuone (Milano), dove l’uomo si trovava realmente come hanno poi confermato anche i registri dell’hotel.
PM GRATTERI: «CON VIDEOCONFERENZE NON SAREBBE ACCADUTO» - «Se fosse stata obbligatoria la videoconferenza per detenuti di alta sicurezza il gravissimo episodio di oggi non si sarebbe verificato». Lo ha detto il procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, raggiunto telefonicamente dall’Agi, commentando l’assalto di questo pomeriggio compiuto a Gallarate. «Con la video conferenza - ha aggiunto Gratteri - si risparmiano al contempo soldi e tempo, annullando le spese di trasporto e soprattutto annullando il pericolo per l’incolumità degli stessi agenti di polizia penitenziaria e dei passanti».
CANCELLIERI: GRAVISSIMO EPISODIO - Sull’evasione di Cutrì ha parlato anche il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri :«Si tratta di un episodio molto grave che sto seguendo, nella sua evoluzione, in costante contatto con i vertici del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Spero che al più presto l’ergastolano evaso e la banda complice, venga assicurata alla giustizia grazie al lavoro di tutte le Forze di Polizia. Il mio pensiero, la solidarietà e la vicinanza ai quattro agenti di Polizia Penitenziaria coinvolti nell’assalto e a tutto il Corpo per il delicatissimo e pericoloso compito che svolge».
Un assalto alla scorta della Polizia Penitenziaria per liberare un ergastolano. Serve subito una legge per gli interrogatori in Videoconferenza. (ASAPS)