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Notizie brevi 02/09/2005

da Kataweb - L’alcol come una droga

Da Kataweb
L’alcol come una droga

Le malattie croniche, incluse le patologie cardiovascolari, il diabete, lo stroke, il cancro e le malattie respiratorie rappresentano nel loro insieme il 46% di tutte le malattie e sono causa di ben il 59% dei 57 milioni di decessi che ogni anno si verificano nel mondo. Il progressivo incremento delle malattie croniche riflette una significativa modificazione nelle abitudini alimentari e nei livelli di attività fisica, come conseguenza dei processi economici di industrializzazione e di globalizzazione. Già dal 2002 l’Organizzazione mondiale della sanità ha lanciato un allarme sui rischi di uno stile di vita non corretto e ha indicato una strategia globale di tipo correttivo, attraverso progetti di tipo educativo finalizzati a migliorare il nostro stile di vita e conseguentemente la nostra salute.
Il convegno “Stili di vita e patologie correlate: obesità, fumo, ipertensione arteriosa, dipendenze legali, attività fisica”, organizzato dall’INI, Istituto Neurotraumatologico Italiano, presso la Divisione Medicus di Monteripoli (Tivoli, Roma) ha compiuto un excursus su alcuni tra i comportamenti a rischio più diffusi nella nostra società, responsabili di varie patologie. L’attenzione si è focalizzata non tanto sull’aspetto terapeutico e farmacologico, quanto sulle possibili motivazioni e sulle strategie correttive attuabili.
Di seguito riportiamo solo alcuni aspetti delle varie patologie correlate a errati stili di vita.
Alcol. L’alcol è a tutti gli effetti una droga in quanto capace di indurre fenomeni di abuso e di dipendenza sia psicologica che fisica anche se, nella opinione comune, il bevitore non è considerato un tossicodipendente. L’abuso prolungato di alcol provoca danni fisici (malattie epatiche e pancreatite tra le più frequenti), psichici (labilità del tono dell’umore, perdita del controllo, decadimento cognitivo) e sociali (scarsa produttività, difficoltà nei rapporti interpersonali, in particolare in famiglia, aumento del rischio di suicidi, criminalità ed incidenti stradali). Un dato tra tutti: negli Stati Uniti il 45% degli incidenti mortali su veicoli a motore ed il 22% degli incidenti in navigazione è dovuto all’intossicazione da alcol.
Il consumo di alcol tra i giovani è problema rilevante e diffuso che riguarda anche il nostro paese che ha anzi un primato poco invidiabile, quello cioè della “precocità etilica” tra i paesi europei; il primo bicchiere viene assunto tra gli 11 e i 12 anni rispetto ai 14 anni di età degli altri stati europei.
Le ragioni vanno ricercate sicuramente nella tradizione italica del bere; si beve per “cultura mediterranea” a tavola, in famiglia e, soprattutto in alcune regioni, l’iniziazione viene fatta, sia pur in buona fede, dal genitore, che sembra essere più terrorizzato dall’idea che il proprio figlio possa diventare un “drogato” piuttosto che un alcolista. Ma il giovane italiano tende poi a bere fuori pasto, preferendo al vino, avendo gusti sicuramente raffinati, i cocktail.
I dati dell’Istituto superiore di Sanità indicano che i consumatori di alcol in Italia, nell’età compresa tra i 14 e i 16 anni, sono passati dai 781.000 del ’98 agli 870.000 del 2001.
La percentuale dei consumatori tra i maschi è passata dal 46,2% del 98 al 51,6% nel 2001; quella delle femmine dal 35,7% al 41,6%. Le preferenze vanno, nell’ordine a birra, vino, aperitivi alcolici, amari.
Il costo sociale dell’eccesso di consumo di alcol è altissimo; c’è un dato statunitense del 2001 impressionante: il costo sociale dei giovani al di sotto dei 21 anni è stato di 61,9 miliardi di dollari in spese sanitarie ed in ridotta produttività a fronte di un guadagno per le aziende produttrici di 8,9 miliardi di dollari. Va ricordato poi che sotto l’influsso delle sostanze alcoliche vengono compiuti un numero maggiore di atti criminali e si hanno comportamenti violenti. Nella fascia di età compresa tra i 14 e i 18 anni l’alcol miete un numero di vittime 6 volte maggiore di quello provocato da tutte le sostanze stupefacenti messe insieme ed è al primo posto tra le quattro principali cause di morte: incidenti stradali, ferimenti non intenzionali, omicidi e suicidi. Gli incidenti stradali rappresentano la prima causa di morte tra i giovani sotto i 30 anni di età.
La pubblicità delle bevande alcoliche è, o meglio, dovrebbe, però, essere vietata cosi come è vietata la vendita dei superalcolici negli esercizi pubblici, ma non nei supermercati, spesso aperti 24 ore al giorno o negli autogrill. E allora come hanno fatto le aziende produttrici ad aggirare i divieti?
La risposta ci viene, e non oggi ma dieci anni fa, dall’Australia dove è allora iniziata la produzione degli alcolpops, categoria di prodotti che sta ridisegnando il panorama della dipendenza giovanile da sostanze alcoliche.
Cosa sono gli alcolpops? Sono bevande gassate con aggiunta di alcol con gradazione tra i 5% ed il 7%. L’età media in cui si inizia a bere alcolpop è 13 anni, le ragazze rappresentano la percentuale più consistente, si può bere direttamente dalla bottiglia o sull’onda del “binge drinking” (che in realtà è una sbornia) 5-6 bottiglie in una volta sola.
Grazie agli alcolpop l’industria ha trovato il modo di “coltivare “ fin da piccoli i giovani aprendo la strada alla dipendenza. Secondo una valutazione del National Institute on Alchol Abuse and Alcholism, il pericolo della dipendenza è inversamente proporzionale all’età; chi inizia a bere sotto i 15 anni di età è quattro volte più a rischio di chi lo fa dopo i 21 anni. Nel 1997 il fatturato della vendita degli alcopop negli Stati Uniti è stato di 1,8 miliardi di dollari, il giro d’affari nel 2002 di 4,9 miliardi di dollari, la crescita annua è del 20%. In Italia nel 2003 il mercato degli alcolpop ha fatturato 1,5 milioni di euro.
Dipendenza da farmaci. Stando a una indagine del Censis sulle motivazioni che spingono gli italiani ad assumere farmaci, si ha che per il 54.5% degli intervistati i farmaci servono per garantire la possibilità di convivere a lungo con una malattia cronica e per il 60,2% sono in grado di contribuire a migliorare la qualità della vita. Il 46% assume il farmaco prescritto solo se ritiene che sia veramente utile mentre il 41% segue alla lettera l’indicazione del medico.
La percentuale di italiani che si rivolge alla medicina non tradizionale rappresenta solo il 3,6%.
E’stato chiesto, in tema di dipendenza da farmaci, quanti fossero a conoscenza di persone definibili “farmaco dipendenti”, ha risposto affermativamente il 35,7% . La percentuale sale al 38% tra i giovani, al 41% tra i residenti nelle regioni centrali e al 48.8% tra i laureati.
Cosi come per l’alcol quindi, anche per i farmaci si parla di dipendenza come conseguenza del loro uso. In genere la farmacodipendenza si sviluppa lentamente, coinvolge moltissime sostanze e raramente viene considerata dal soggetto una malattia. I danni che ne derivano sono, come per l’alcol, di tipo fisico, psichico e sociale. La categoria di farmaci più coinvolta è rappresentata dagli psicofarmaci, in grado di produrre dipendenza fisica e psichica, il rischio aumenta in funzione della dose e della durata della terapia.
Tabagismo. La relazione tra fumo attivo di tabacco e maggior frequenza di malattie non è più da documentare. E’ una delle poche cose certe della medicina.
20 sigarette al giorno riducono di circa 4,6 anni la vita media di un giovane che inizia a fumare a 25 anni. Ovvero per ogni settimana di fumo si perde un giorno di vita. Di 1.000 maschi adulti che fumano: uno morirà di morte violenta, sei moriranno per incidente stradale, 250 saranno uccisi dal tabacco per patologie ad esso correlate.
Secondo l’Oms il 90-95% dei tumori polmonari, l’80-85% delle bronchiti croniche ed enfisema polmonare ed il 20-25% degli incidenti cardiovascolari, sono dovuti al fumo di tabacco.
In ogni boccata di fumo sono contenute almeno 10 sostanze ossidanti e irritanti che sono i principali responsabili: a) della bronchite acuta e, alla lunga, di bronchite cronica (presenza di tosse ed escreato per almeno tre mesi all’anno per due anni consecutivi) ed enfisema (abnorme allargamento degli alveoli con distruzione delle loro pareti); b) della aumentata incidenza e gravità di episodi asmatici ed infezioni respiratorie ricorrenti. Gli idrocarburi policiclici aromatici contenuti nel “catrame” e il Polonio 210 sono invece i principali responsabili dello sviluppo dei tumori, polmonari e non solo. Il fumo è la causa principale di malattie coronariche in uomini e donne e si associa al 30% delle morti causate da malattie coronariche.
Anche il fumo passivo è in grado di indurre il cancro polmonare nei fumatori e i figli di genitori fumatori hanno una maggiore incidenza di polmoniti, di bronchiti e crisi asmatiche rispetto ai figli di genitori non fumatori. Secondo alcuni rapporti il fumo passivo provoca ogni anno negli USA quasi 5.000 decessi per cancro del polmone nei non fumatori. In Italia il fumo passivo sarebbe responsabile di un migliaio di morti l’anno. Anche gli studi epidemiologici più ottimisti valutano che il rischio cumulativo di morte per tumore polmonare sia di un morto ogni 1.000 persone esposte al fumo passivo. Un rischio enormemente inferiore a quello dei fumatori attivi in cui l’ordine è di 380 morti ogni 1.000 persone fumatrici.
Tecno-malattie. Il termine tecno-malattie ufficialmente non esiste, ma indipendentemente dalla definizione che si vuole dare il termine esprime i potenziali danni per la salute derivanti da prodotti tecnologici o dalle trasformazione indotte dalla tecnica nell’ambiente fisico e sociale, cioè: dal videoterminale al cellulare, dagli Ogm alle mutazioni tecno-indotte del clima e dell’ambiente socio-lavorativo; in altre parole, patologie da uso e abuso delle nuove tecnologie.
Particolarmente significative, poi, sono le correlazioni tra variazioni climatiche e salute pubblica. Il riscaldamento globale può determinare un impatto negativo sulla salute attraverso i seguenti meccanismi diretti e indiretti:
a) variazione delle caratteristiche di esposizione ad estremi termici con aumento di frequenza e di intensità di fenomeni climatici periodici (ondate di calore con incremento della mortalità ed un eccesso di prestazioni al pronto soccorso; in Italia nel 2003 c’è stato un eccesso di mortalità di 4.300 morti).
b) Incremento di uragani, tempeste, siccità ed altri fattori climatici estremi (patologia fisica, traumatica, infettiva, nutrizionale, psicologica; è stato stimato che negli ultimi 10 anni il numero di disastri naturali si è triplicato rispetto agli anni Sessanta).
c) Alterazioni della dinamica di trasmissione di malattie infettive veicolate da cibo e da vettori (variazioni ambientali favorenti l’alimentazione ed il ciclo vitale dei vettori, insetti, topi e zecche; la ricchezza di specie patogene è proporzionale non alla temperature ma alla tropicalizzazione del clima con alternanza di secco e umido) quali malaria, dengue, salmonellosi, ecc. per ciò che riguarda distribuzione geografica e stagionalità. Questi effetti sono già manifesti; l’Oms ritiene che le variazioni climatiche sono responsabili del 2,4% delle sindromi diarroiche e del 6% dei casi di malaria nei paesi in via di sviluppo; in zone non endemiche si sono verificate epidemie di malaria e dengue e 3.000 morti per salmonellosi; in Nuova Zelanda è già stato registrato un incremento dei casi di salmonellosi con l’aumento della temperatura; in molte regioni, stando ad alcune stime che si spingono fino al 2030, il rischio di ammalarsi di diarrea subirà un incremento del 10%; negli Stati Uniti è in Nord-Europa si sta verificando un’epidemia di encefalite da West Nile Virus e una riattivazione di malattia di Lyme.
d) Peggioramento dell’inquinamento ambientale, della qualità dell’aria e dell’esposizione ad allergeni (comparsa precoce di pollini e loro persistenza nell’aria dato dall’aumento di C02, proliferazione a causa delle precipitazioni di spore e miceti).
e) Variazioni negative degli ecosistemi producenti cibo e diminuzione dell’acqua potabile (patologia nutrizionale, psicologica, fisica).
f) Migrazioni (patologia fisica, nutrizionale, psicologica);
g) Tensioni civili ed economiche.
I soggetti più esposti al rischio saranno per ovvi motivi quelli appartenenti a strati socio-economici svantaggiati ovvero anziani, malati, soggetti isolati, poveri e con accesso difficoltoso a cure mediche. L’Oms ha calcolato che le variazioni climatiche sono state responsabili, da sole nel 2000 di 150.000 morti e di 5,5 milioni di anni persi per disabilità/morte.


Venerdì, 02 Settembre 2005
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