Le
malattie croniche, incluse le patologie cardiovascolari, il diabete,
lo stroke, il cancro e le malattie respiratorie rappresentano
nel loro insieme il 46% di tutte le malattie e sono causa di ben
il 59% dei 57 milioni di decessi che ogni anno si verificano nel
mondo. Il progressivo incremento delle malattie croniche riflette
una significativa modificazione nelle abitudini alimentari e nei
livelli di attività fisica, come conseguenza dei processi
economici di industrializzazione e di globalizzazione. Già
dal 2002 l’Organizzazione mondiale della sanità ha
lanciato un allarme sui rischi di uno stile di vita non corretto
e ha indicato una strategia globale di tipo correttivo, attraverso
progetti di tipo educativo finalizzati a migliorare il nostro
stile di vita e conseguentemente la nostra salute.
Il convegno “Stili di vita e patologie correlate: obesità,
fumo, ipertensione arteriosa, dipendenze legali, attività
fisica”, organizzato dall’INI, Istituto Neurotraumatologico
Italiano, presso la Divisione Medicus di Monteripoli (Tivoli,
Roma) ha compiuto un excursus su alcuni tra i comportamenti a
rischio più diffusi nella nostra società, responsabili
di varie patologie. L’attenzione si è focalizzata
non tanto sull’aspetto terapeutico e farmacologico, quanto
sulle possibili motivazioni e sulle strategie correttive attuabili.
Di seguito riportiamo solo alcuni aspetti delle varie patologie
correlate a errati stili di vita.
Alcol. L’alcol è a tutti gli effetti una droga in
quanto capace di indurre fenomeni di abuso e di dipendenza sia
psicologica che fisica anche se, nella opinione comune, il bevitore
non è considerato un tossicodipendente. L’abuso prolungato
di alcol provoca danni fisici (malattie epatiche e pancreatite
tra le più frequenti), psichici (labilità del tono
dell’umore, perdita del controllo, decadimento cognitivo)
e sociali (scarsa produttività, difficoltà nei rapporti
interpersonali, in particolare in famiglia, aumento del rischio
di suicidi, criminalità ed incidenti stradali). Un dato
tra tutti: negli Stati Uniti il 45% degli incidenti mortali su
veicoli a motore ed il 22% degli incidenti in navigazione è
dovuto all’intossicazione da alcol.
Il consumo di alcol tra i giovani è problema rilevante
e diffuso che riguarda anche il nostro paese che ha anzi un primato
poco invidiabile, quello cioè della “precocità
etilica” tra i paesi europei; il primo bicchiere viene assunto
tra gli 11 e i 12 anni rispetto ai 14 anni di età degli
altri stati europei.
Le ragioni vanno ricercate sicuramente nella tradizione italica
del bere; si beve per “cultura mediterranea” a tavola,
in famiglia e, soprattutto in alcune regioni, l’iniziazione
viene fatta, sia pur in buona fede, dal genitore, che sembra essere
più terrorizzato dall’idea che il proprio figlio possa
diventare un “drogato” piuttosto che un alcolista. Ma
il giovane italiano tende poi a bere fuori pasto, preferendo al
vino, avendo gusti sicuramente raffinati, i cocktail.
I dati dell’Istituto superiore di Sanità indicano
che i consumatori di alcol in Italia, nell’età compresa
tra i 14 e i 16 anni, sono passati dai 781.000 del ’98 agli
870.000 del 2001.
La percentuale dei consumatori tra i maschi è passata dal
46,2% del 98 al 51,6% nel 2001; quella delle femmine dal 35,7%
al 41,6%. Le preferenze vanno, nell’ordine a birra, vino, aperitivi
alcolici, amari.
Il costo sociale dell’eccesso di consumo di alcol è
altissimo; c’è un dato statunitense del 2001 impressionante:
il costo sociale dei giovani al di sotto dei 21 anni è
stato di 61,9 miliardi di dollari in spese sanitarie ed in ridotta
produttività a fronte di un guadagno per le aziende produttrici
di 8,9 miliardi di dollari. Va ricordato poi che sotto l’influsso
delle sostanze alcoliche vengono compiuti un numero maggiore di
atti criminali e si hanno comportamenti violenti. Nella fascia
di età compresa tra i 14 e i 18 anni l’alcol miete
un numero di vittime 6 volte maggiore di quello provocato da tutte
le sostanze stupefacenti messe insieme ed è al primo posto
tra le quattro principali cause di morte: incidenti stradali,
ferimenti non intenzionali, omicidi e suicidi. Gli incidenti stradali
rappresentano la prima causa di morte tra i giovani sotto i 30
anni di età.
La pubblicità delle bevande alcoliche è, o meglio,
dovrebbe, però, essere vietata cosi come è vietata
la vendita dei superalcolici negli esercizi pubblici, ma non nei
supermercati, spesso aperti 24 ore al giorno o negli autogrill.
E allora come hanno fatto le aziende produttrici ad aggirare i
divieti?
La risposta ci viene, e non oggi ma dieci anni fa, dall’Australia
dove è allora iniziata la produzione degli alcolpops, categoria
di prodotti che sta ridisegnando il panorama della dipendenza
giovanile da sostanze alcoliche.
Cosa sono gli alcolpops? Sono bevande gassate con aggiunta di
alcol con gradazione tra i 5% ed il 7%. L’età media
in cui si inizia a bere alcolpop è 13 anni, le ragazze
rappresentano la percentuale più consistente, si può
bere direttamente dalla bottiglia o sull’onda del “binge
drinking” (che in realtà è una sbornia) 5-6
bottiglie in una volta sola.
Grazie agli alcolpop l’industria ha trovato il modo di “coltivare
“ fin da piccoli i giovani aprendo la strada alla dipendenza.
Secondo una valutazione del National Institute on Alchol Abuse
and Alcholism, il pericolo della dipendenza è inversamente
proporzionale all’età; chi inizia a bere sotto i 15
anni di età è quattro volte più a rischio
di chi lo fa dopo i 21 anni. Nel 1997 il fatturato della vendita
degli alcopop negli Stati Uniti è stato di 1,8 miliardi
di dollari, il giro d’affari nel 2002 di 4,9 miliardi di
dollari, la crescita annua è del 20%. In Italia nel 2003
il mercato degli alcolpop ha fatturato 1,5 milioni di euro.
Dipendenza da farmaci. Stando a una indagine del Censis sulle
motivazioni che spingono gli italiani ad assumere farmaci, si
ha che per il 54.5% degli intervistati i farmaci servono per garantire
la possibilità di convivere a lungo con una malattia cronica
e per il 60,2% sono in grado di contribuire a migliorare la qualità
della vita. Il 46% assume il farmaco prescritto solo se ritiene
che sia veramente utile mentre il 41% segue alla lettera l’indicazione
del medico.
La percentuale di italiani che si rivolge alla medicina non tradizionale
rappresenta solo il 3,6%.
E’stato chiesto, in tema di dipendenza da farmaci, quanti
fossero a conoscenza di persone definibili “farmaco dipendenti”,
ha risposto affermativamente il 35,7% . La percentuale sale al
38% tra i giovani, al 41% tra i residenti nelle regioni centrali
e al 48.8% tra i laureati.
Cosi come per l’alcol quindi, anche per i farmaci si parla
di dipendenza come conseguenza del loro uso. In genere la farmacodipendenza
si sviluppa lentamente, coinvolge moltissime sostanze e raramente
viene considerata dal soggetto una malattia. I danni che ne derivano
sono, come per l’alcol, di tipo fisico, psichico e sociale.
La categoria di farmaci più coinvolta è rappresentata
dagli psicofarmaci, in grado di produrre dipendenza fisica e psichica,
il rischio aumenta in funzione della dose e della durata della
terapia.
Tabagismo. La relazione tra fumo attivo di tabacco e maggior frequenza
di malattie non è più da documentare. E’ una
delle poche cose certe della medicina.
20 sigarette al giorno riducono di circa 4,6 anni la vita media
di un giovane che inizia a fumare a 25 anni. Ovvero per ogni settimana
di fumo si perde un giorno di vita. Di 1.000 maschi adulti che
fumano: uno morirà di morte violenta, sei moriranno per
incidente stradale, 250 saranno uccisi dal tabacco per patologie
ad esso correlate.
Secondo l’Oms il 90-95% dei tumori polmonari, l’80-85%
delle bronchiti croniche ed enfisema polmonare ed il 20-25% degli
incidenti cardiovascolari, sono dovuti al fumo di tabacco.
In ogni boccata di fumo sono contenute almeno 10 sostanze ossidanti
e irritanti che sono i principali responsabili: a) della bronchite
acuta e, alla lunga, di bronchite cronica (presenza di tosse ed
escreato per almeno tre mesi all’anno per due anni consecutivi)
ed enfisema (abnorme allargamento degli alveoli con distruzione
delle loro pareti); b) della aumentata incidenza e gravità
di episodi asmatici ed infezioni respiratorie ricorrenti. Gli
idrocarburi policiclici aromatici contenuti nel “catrame”
e il Polonio 210 sono invece i principali responsabili dello sviluppo
dei tumori, polmonari e non solo. Il fumo è la causa principale
di malattie coronariche in uomini e donne e si associa al 30%
delle morti causate da malattie coronariche.
Anche il fumo passivo è in grado di indurre il cancro polmonare
nei fumatori e i figli di genitori fumatori hanno una maggiore
incidenza di polmoniti, di bronchiti e crisi asmatiche rispetto
ai figli di genitori non fumatori. Secondo alcuni rapporti il
fumo passivo provoca ogni anno negli USA quasi 5.000 decessi per
cancro del polmone nei non fumatori. In Italia il fumo passivo
sarebbe responsabile di un migliaio di morti l’anno. Anche
gli studi epidemiologici più ottimisti valutano che il
rischio cumulativo di morte per tumore polmonare sia di un morto
ogni 1.000 persone esposte al fumo passivo. Un rischio enormemente
inferiore a quello dei fumatori attivi in cui l’ordine è
di 380 morti ogni 1.000 persone fumatrici.
Tecno-malattie. Il termine tecno-malattie ufficialmente non esiste,
ma indipendentemente dalla definizione che si vuole dare il termine
esprime i potenziali danni per la salute derivanti da prodotti
tecnologici o dalle trasformazione indotte dalla tecnica nell’ambiente
fisico e sociale, cioè: dal videoterminale al cellulare,
dagli Ogm alle mutazioni tecno-indotte del clima e dell’ambiente
socio-lavorativo; in altre parole, patologie da uso e abuso delle
nuove tecnologie.
Particolarmente significative, poi, sono le correlazioni tra variazioni
climatiche e salute pubblica. Il riscaldamento globale può
determinare un impatto negativo sulla salute attraverso i seguenti
meccanismi diretti e indiretti:
a) variazione delle caratteristiche di esposizione ad estremi
termici con aumento di frequenza e di intensità di fenomeni
climatici periodici (ondate di calore con incremento della mortalità
ed un eccesso di prestazioni al pronto soccorso; in Italia nel
2003 c’è stato un eccesso di mortalità di 4.300
morti).
b) Incremento di uragani, tempeste, siccità ed altri fattori
climatici estremi (patologia fisica, traumatica, infettiva, nutrizionale,
psicologica; è stato stimato che negli ultimi 10 anni il
numero di disastri naturali si è triplicato rispetto agli
anni Sessanta).
c) Alterazioni della dinamica di trasmissione di malattie infettive
veicolate da cibo e da vettori (variazioni ambientali favorenti
l’alimentazione ed il ciclo vitale dei vettori, insetti,
topi e zecche; la ricchezza di specie patogene è proporzionale
non alla temperature ma alla tropicalizzazione del clima con alternanza
di secco e umido) quali malaria, dengue, salmonellosi, ecc. per
ciò che riguarda distribuzione geografica e stagionalità.
Questi effetti sono già manifesti; l’Oms ritiene che
le variazioni climatiche sono responsabili del 2,4% delle sindromi
diarroiche e del 6% dei casi di malaria nei paesi in via di sviluppo;
in zone non endemiche si sono verificate epidemie di malaria e
dengue e 3.000 morti per salmonellosi; in Nuova Zelanda è
già stato registrato un incremento dei casi di salmonellosi
con l’aumento della temperatura; in molte regioni, stando
ad alcune stime che si spingono fino al 2030, il rischio di ammalarsi
di diarrea subirà un incremento del 10%; negli Stati Uniti
è in Nord-Europa si sta verificando un’epidemia di
encefalite da West Nile Virus e una riattivazione di malattia
di Lyme.
d) Peggioramento dell’inquinamento ambientale, della qualità
dell’aria e dell’esposizione ad allergeni (comparsa
precoce di pollini e loro persistenza nell’aria dato dall’aumento
di C02, proliferazione a causa delle precipitazioni di spore e
miceti).
e) Variazioni negative degli ecosistemi producenti cibo e diminuzione
dell’acqua potabile (patologia nutrizionale, psicologica,
fisica).
f) Migrazioni (patologia fisica, nutrizionale, psicologica);
g) Tensioni civili ed economiche.
I soggetti più esposti al rischio saranno per ovvi motivi
quelli appartenenti a strati socio-economici svantaggiati ovvero
anziani, malati, soggetti isolati, poveri e con accesso difficoltoso
a cure mediche. L’Oms ha calcolato che le variazioni climatiche
sono state responsabili, da sole nel 2000 di 150.000 morti e di
5,5 milioni di anni persi per disabilità/morte.