Stupefacenti: la fattispecie di lieve entità dopo il Decreto svuota-carceri
La nuova espressa qualificazione dell'istituto come reato autonomo, in luogo della precedente accezione – circostanza attenuante ad effetto speciale – introduce una serie di elementi di maggiore favore nei confronti dell'imputato, che possono essere valutati ai sensi dell'art. 2 comma 4° c.p.
La sentenza 7363/14 della Quarta Sezione Penale del Supremo Collegio (9 gennaio 2014) si sofferma sul profilo della prescrizione, che muta sostanzialmente i suoi termini di decorrenza.
In virtù della autonomia di cui, ora, è munita la nozione di lieve entità, punita con la reclusione da 1 a 5 anni, il nuovo termine di base – a mente dell'art. 157 comma 1 c.p. - è pari a 6 anni.
Ove vada applicato il comma 2° dell'art. 161 c.p., il quale regola il regime delle interruzioni, il termine massimo (per imputati nei confronti dei quali non vada contestata la recidiva) è di 7 anni e 6 mesi, derivato dall'aumento di ¼ del tempo necessario a prescrivere.
Si tratta, pertanto, di una conseguenza che non era ritenuta possibile, quando la lieve entità era qualificata come circostanza attenuatrice del reato.
Non è però solo questo aspetto che richiama l'attenzione sulla norma in questione, perchè vi sono ulteriori aspetti che meritano approfondimento.
In primo luogo la nuova configurazione permette di evitare che l'istituto della lieve entità venga posto in bilanciamento – come invece prima avveniva – con eventuali circostanze aggravanti che vengano contestate all'imputato, con il rischio che un possibile giudizio di prevalenza di queste ultime, privasse di qualsiasi valore la citata qualificazione giuridica del fatto, (che è sinonimo di modesta gravità del fatto) e determinasse l'applicazione di sanzioni penali del tutto sproporzionate all'azione.
In secondo luogo, però, l’applicazione tout court del testo di legge antecedente alle norme dichiarate incostituzionali (art. 73, D.P.R. n. 309/1990), incontra un limite che attiene proprio al comma 5° dell’art. 73 e che deriva dalla contemporanea esistenza anche delle disposizioni introdotte dal D.L. 23 dicembre 2013 n. 146, art. 2.
Ciò premesso, si crea una problema di individuazione della norma che debba formare oggetto di applicazione nel caso concreto.
Va, infatti, osservato in parallelo, che :
il testo dell’art. 73 comma 5° dpr 309/90, depurato dalle modifiche introdotte dalla L. 49 del 2006 dichiarata incostituzionale :
A)prevede una trattamento sanzionatorio differenziato (pena ad hoc) per le condotte illecite riguardanti le droghe previste dalle tabelle II e IV dell’art. 14 ,
B)tale pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da € 1.032 a € 10.329,
C)la lieve entità continua a costituire una circostanza attenuante ad effetto speciale, da sottoporre al giudizio di bilanciamento con le circostanze aggravanti eventualmente contestate,
il testo dell’art. 73 comma 5° dpr 309/90, così come modificato dall’art. 2 d.l. 23 dicembre 2013 n. 146 :
A) prevede un trattamento sanzionatorio unitario e comune a tutte le tipologie di sostanze stupefacenti
B) tale pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da € 3.000 a € 26.000,
C) l’unicità della pena appare, attesa la sopravvenienza della decisione della Corte costituzionale, che però non investe questa specifica norma, promulgata dopo la proposizione dei quesiti di legittimità costituzionale, ma prima della pronunzia relativa, se non di per sé incostituzionale, comunque in palese contrasto con il testo del comma 5° tornato vigente,
D) come già evidenziato la lieve entità diviene reato autonomo e, come tale, sottratto, quindi, a qualsiasi giudizio di valenza o bilanciamento con circostanze aggravanti,
E) come già osservato, il termine prescrizionale dello specifico reato è più breve di quello riguardante il reato di cui all'art. 73 nella previsione ordinaria (comma 1 e 4), in quanto esso è di sei anni – se breve – e di sette anni e sei mesi – se lungo - .
Consegue dalle considerazioni che precedono, la necessità di individuare quale debba essere, tra le due ipotesi afferenti al comma 5° dell’art. 73 dpr 309/90, la norma che effettivamente vada concretamente applicata allo stato attuale.
Seguendo, sotto il profilo metodologico, i principi generali di natura costituzionale, si dovrebbe tenere conto del cd. criterio cronologico, in quanto entrambe le norme in questione provengono, infatti, da fonti ordinarie del medesimo tipo (l’una un DPR , l’altra un D.L.).
Il criterio in questione, al fine di eliminare tutte le eventuali antinomie, farebbe si che non si debba applicare (perché si ritiene abrogata) la norma precedente, bensì quella successiva (lex posterior derogat legi priori).
Si deve, però, osservare che, nella fattispecie, ove – accedendo al principio generale suesposto - si dovesse ritenere prevalente la dizione dell’art. 73 comma 5°, così come formulata dal D.L. n. 146/2013, ci troveremmo a dovere ictu oculi rilevare – per le ragioni già esposte – la sospetta incostituzionalità del dettato normativo, per l’illegittima equiparazione sanzionatoria delle varie e differenti sostanze stupefacenti – allo stato – ripartite in quattro tabelle portate dall’art. 14.
Ma questo non sarebbe (o non è) l’unico ostacolo a che la norma successiva prevalga, nonostante alcune sue indubbie peculiarità di grande favore per l'imputato.
In pari tempo, si deve, infatti, osservare che nessuna delle due norme si pone in un rapporto di genus ad speciem rispetto all’altra.
Vale a dire, che né la norma precedente – quella ora vigente – né quella successiva presentano un carattere speciale o eccezionale rispetto all’altra.
Nello specifico caso si verifica, pertanto, una situazione di assoluta incompatibilità strutturale della disciplina pregressa rispetto a quella nuova.
Quest’ultima, proprio perché concepita e promulgata intempestivamente dal Governo, non ha potuto tenere (nè tiene) conto della sopravvenuta riviviscenza sia del testo dell’art. 14 (ante riforma del 2006), con la scissione delle tabelle e la loro suddivisione, sia della bipartizione generale ad effetti sanzionatori.
Ritiene, inoltre, chi scrive – a complemento delle precedenti osservazioni - che, in una simile opera identificativa, si debba tenere in debita considerazione, sul piano metodologico, anche dell’applicabilità del principio del favor rei.
Su tale abbrivio, si deve, pertanto, osservare che
1)la nuova (o precedente) formulazione dell’art. 73 comma 5°, certamente ed intuitivamente, si fa preferire quoad poenam, (reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da € 1.032 a € 10.329), ma, al contempo, essa continua a subire il genetico condizionamento, determinato dalla propria natura di circostanza attenuante, suscettibile di dovere essere posta in situazione di bilanciamento con eventuali aggravanti;
2)il testo dell’art. 73 comma 5° ricavato dall’art. 2 d.l. 23 dicembre 2013 n. 146, a propria volta, pur meno favorevole in punto di pena e pur sospettabile di incostituzionalità, per l’omogeneo trattamento sanzionatorio tra droghe pesanti e droghe leggere (oltre che in irreversibile contrasto con la struttura della norma allo stato vigente, che prevede due tipologie di pena), modifica la natura dell’istituto in parola in quella di reato autonomo, determinando una sua configurazione giuridica di maggior favore per l’indagato/imputato, a tacere delle rilevante circostanza del nuovo computo prescrizionale che riduce i relativi termini.
Allo stato, la giurisprudenza pare orientata – V. sentenza Tribunale di Perugia del 17 febbraio 2014 inedita – ad applicare la Legge JERVOLINO-VASSALLI.
(Nota di Carlo Alberto Zaina)
da Altalex
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
Sentenza 9 gennaio - 17 febbraio 2014, n. 7363
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIRENA Pietro A - Presidente -
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere -
Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere -
Dott. CIAMPI F. - rel. Consigliere -
Dott. VITELLI CASELLA Luca - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
F.N.A. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza della CORTE D'APPELLO DI CALTANISETTA in data 11 ottobre 2012;
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI;
sentite le conclusioni del PG in persona della dott.ssa Maria Giuseppina Fodaroni che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso e per il ricorrente l'avvocato Mazzara Bologna Filippo che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 11 ottobre 2012 la Corte d'appello di Caltanissetta, in parziale riforma della sentenza resa dal Tribunale di Nicosia in data 12 ottobre 2010, appellata dall'imputato, riconosceva allo stesso la circostanza attenuante ad effetto speciale di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 e per l'effetto rideterminava la pena in anni tre e mesi otto di reclusione.
Il F. era stato tratto a giudizio per rispondere di plurime violazioni del citato art. 73 per aver acquistato ed offerto in vendita sostanza stupefacente del tipo cocaina
2. Avverso tale decisione propone ricorso a mezzo del proprio difensore l'imputato deducendo la nullità della sentenza per violazione di norme processuali ex art. 606 c.p.p., comma 1 lett. b) e c) in relazione agli artt. 178 e ss. e 552 c.p.p.; la nullità della sentenza per violazione di norme processuali ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) in relazione agli artt. 125 e 267 c.p.p.;
la nullità della sentenza per violazione di norme processuali ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) in relazione all'art. 195 c.p.p.;
la nullità della sentenza per violazione di norme processuali ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) in relazione all'art. 495 c.p.p., comma 4 bis; la nullità della sentenza per violazione di norme processuali ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) in relazione agli artt. 192 e 546 c.p.p.; la nullità della sentenza per violazione di norme processuali ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione all'art. 133 c.p..
Motivi della decisione
3. E' stato recentissimamente adottato, nelle forme della decretazione d'urgenza, un articolato intervento normativo (il D.L. 23 dicembre 2013, n. 146 in G.U. 23 dicembre 2013, n. 300) riguardante tra l'altro i reati concernenti le sostanze stupefacenti.
In particolare l'art. 2, lett. a) del decreto - significativamente rubricato ai fini di quanto si rileverà in prosieguo "Delitto di condotte illecite in tema di sostanze stupefacenti o psicotrope di lieve entità" - modifica il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, che prevede pene inferiori per i reati in materia di stupefacenti configurati nello stesso articolo, qualora i fatti contestati possano essere considerati di lieve entità in forza dei parametri contemplati nello stesso comma.
La fattispecie in questione prima del suddetto intervento era stata qualificata dalla giurisprudenza di legittimità come circostanza attenuante ad effetto speciale e non già come titolo autonomo di reato, essendosi a riguardo posto in rilievo come nella stessa siano valorizzati elementi (come i mezzi, la modalità, le circostanze dell'azione, la qualità e quantità delle sostanze) che non altererebbero l'obiettività giuridica e la struttura di quelle previste nei precedenti commi dell'art. 73, ma si limiterebbero ad attribuire alle medesime una minore carica offensiva (cfr. ex plurimis, Sez. Un., n. 9148 del 31 maggio 1991, Parisi, Rv. 187930, ribadita dalle stesse Sezioni Unite, anche a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 49 del 2006, art. 4-bis, Sentenza, n. 35737 del 24 giugno 2010, Rv. 247910).
Nella disposizione in questione la novella ha inserito innanzi tutto una clausola di sussidiarietà ("salvo che il fatto non costituisca più grave reato"). In secondo luogo, pur conservando l'originaria descrizione del nucleo caratterizzante la fattispecie materiale, ha provveduto ad inserirla tra due proposizioni e cioè "chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo" ed "è punito con le pene", quest'ultima destinata a sostituire la precedente formula "si applicano le pene". Infine è stato rimodulato il limite massimo edittale della pena detentiva, abbassato da sei a cinque anni di reclusione.
Ciò posto osserva la Corte: deve ritenersi che con le apportate modifiche il legislatore ha inteso mutare la qualificazione giuridica della fattispecie, trasformando quella che era considerata - come sopra ricordato - una circostanza attenuante in un titolo autonomo di reato, come può desumersi, in primo luogo, dalla stessa interpretazione letterale della norma.
Rilevano a tal proposito, oltre alla citata rubricazione dell'art. 2, in primo luogo, l'ambito di applicazione della norma che è segnato in negativo dalla configurabilità di un "più grave reato", espressione da cui può desumersi che il fatto considerato dall'art. 73, comma 5 costituisca esso stesso già un "reato".
In secondo luogo la espressa previsione di un soggetto attivo ("chiunque") e di una condotta ("commette") appaiono sicuramente indici sintomatici quanto mai significativi della volontà del legislatore di incriminare in maniera autonoma fatti la cui descrizione è pur sempre in parte mutuata da altre disposizioni incriminatrici, ma che nel citato comma 5 trovano una loro ulteriore caratterizzazione attraverso la descrizione delle condizioni che li rendono di "lieve entità".
Peraltro l'intenzione di configurare "una nuova ipotesi di reato in luogo della previgente circostanza attenuante" emerge espressamente in termini dal comunicato stampa rilasciato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri all'esito del Consiglio dei Ministri n. 41 del 17 dicembre 2013 ed anche la relazione alla legge di conversione espressamente qualifica quella dell'art. 73, riformulato comma 5 come fattispecie autonoma di reato.
4. Nè può trascurarsi la ratio complessiva della novella, alla cui base vi è infatti il desiderio di ridurre la presenza nella popolazione carceraria dei tossicodipendenti, assai spesso detenuti a seguito della commissione di fatti concernenti gli stupefacenti di contenuta gravità e dunque facilmente inquadrabili nello schema dell'art. 73, comma 5.
La nuova previsione normativa, comportando una pena edittale inferiore è indubbiamente più favorevole per l'imputato, con la conseguenza della sua immediata applicazione ex art. 2 c.p., comma 4.
Tanto considerato, osserva la Corte: ratione temporis al reato contestato all'imputato si applica, quanto al regime prescrizionale, la disciplina introdotta dalla L. n. 251 del 2005, che come è noto non tiene conto dell'eventuale riconoscimento di circostanze attenuanti. In tal senso fatti il cui termine ordinario era calibrato in precedenza sul massimo edittale di pena prevista per la fattispecie "base" (vent'anni), vede ora maturare la causa estintiva in sei anni ovvero, tenendo conto del termine prorogato, al massimo in sette anni e sei mesi.
Nella specie risalendo il reato al periodo tra il mese di maggio ed il 1 ottobre 2004, ed anche avuto riguardo ai periodi di sospensione (per il 1^ grado dall'11.2 al 17.3.2009; dal 16.12.2009 al 2.2.2010;
dal 2.2.2010 al 31.3.2010 nonchè di ulteriori sessanta giorni per il 2^ grado) detto termine è ampiamente maturato.
Non sussistendo profili di inammissibilità nè, alla luce delle decisioni di merito, i presupposti per l'applicazione dell'art. 129 c.p.p. ai fini di un proscioglimento; la gravata sentenza va annullata senza rinvio per essere il reato ascritto al F. estinto per intervenuta prescrizione.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 gennaio 2014.
Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2014.