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Giurisprudenza 14/04/2014

Danni non patrimoniali: anche la Corte romana sceglie le tabelle milanesi

(Corte d'Appello Roma, sentenza 25.03.2014, n. 36 )
Foto Blaco - archivio Asaps
Foto Blaco - archivio Asaps

La Corte di Appello di Roma con la pronuncia in commento presta integrale adesione all'orientamento di legittimità diretto a riconoscere portata cogente e generalizzata alle tabelle del Tribunale di Milano in tema di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale: scelta resa necessaria al fine di evitare sperequazioni nel risarcimento, tenuto conto della vocazione "nazionale" assunta dalle tabelle stesse, in grado di offrire parametri uniformi.

 

Poiché l'equità va intesa anche come parità di trattamento, la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona da lesione dell'integrità psico-fisica presuppone l'adozione di parametri di valutazione uniformi che, in difetto di visioni normative, vanno individuati in quelli tabellari elaborati presso il tribunale di Milano, da modularsi a seconda delle circostanze del caso concreto.

 

I giudici capitolini prestano adesione all’orientamento di legittimità diretto ad imporre un sistema di valutazione uniforme su tutto il territorio nazionale per quanto riguarda il pregiudizio derivante alla lesione alla salute, assumendo quale punto di riferimento univoco le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano (v. Cass. 7 giugno 2011, n. 12408 e Cass. 30 giugno 2011, n. 14402).

 

I giudici di legittimità sono giunti ad affermare la necessità dell'adozione, in materia di danno derivante da lesione alla salute, di criteri di valutazione uniformi in ambito nazionale. A tal fine, la Suprema Corte ha elaborato una complessa serie di argomentazioni sulle quali fondare il riconoscimento della valenza nazionale delle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano.

 

La S.C. parte dalla constatazione che, presso la giurisprudenza di merito, esistono marcate differenze non solo dei valori adottati per la liquidazione, ma anche in relazione al metodo utilizzato ai fini della stessa, determinandosi divergenze di trattamento assai accentuate tra le vittime di identiche lesioni. Un fenomeno del genere, osservano i giudici di legittimità, «vulnera elementari principi di eguaglianza, mina la fiducia dei cittadini nell'amministrazione della giustizia, lede la certezza del diritto, affida in larga misura al caso l'entità dell'aspettativa risarcitoria, ostacola le conciliazioni e le composizioni transattive in sede stragiudiziale, alimenta per converso le liti».

 

A fronte di tale situazione, la Cassazione assume essere «suo specifico compito, al fine di garantire l'uniforme interpretazione del diritto (che contempla anche l'art. 1226 c.c., relativo alla valutazione equitativa del danno) fornire ai giudici di merito l'indicazione di un unico valore medio di riferimento da porre a base del risarcimento del danno alla persona, quale che sia la latitudine in cui si radica la controversia».

 

Al momento di scegliere tra i divergenti criteri adottati dalla giurisprudenza, i giudici di legittimità optano per le tabelle milanesi, le quali hanno trovato larga applicazione anche presso altri tribunali, manifestando per ciò una vocazione nazionale. Al fine di tamponare l'effetto dirompente che simili indicazioni potrebbero rivestire a livello del contenzioso attualmente in atto, i giudici di legittimità specificano - in ogni caso - che non sarà possibile il ricorso in cassazione, per violazione di legge, verso le sentenze d'appello «per il solo fatto che non sia stata applicata la tabella di Milano e che la liquidazione sarebbe stata di maggiore entità se fosse stata effettuata sulla base dei valori da quella indicati, ma occorrerà che il ricorrente si sia specificamente doluto in secondo grado, sotto il profilo della violazione di legge, della mancata liquidazione del danno in base ai valori delle tabelle elaborate a Milano; e che, inoltre, nei giudizi svoltisi in luoghi diversi da quelli nei quali le tabelle milanesi sono comunemente adottate, quelle tabelle abbia anche versato in atti».

 

Nella sentenza n. 14402/2011, si ribadisce come le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano «risultino essere quelle statisticamente maggiormente testate, e pertanto le più idonee ad essere assunte quale criterio generale di valutazione, ciò in quanto recanti i parametri maggiormente idonei a consentire di tradurre il concetto di equità valutativa, e ad evitare (o quantomeno ridurre) - al di là delle diversità delle condizioni economiche e sociali dei diversi contesti territoriali - ingiustificate disparità di trattamento».

 

Secondo la Cassazione «tali parametri sono allora da prendersi necessariamente a riferimento ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale, ovvero quale criterio di riscontro e verifica di quella, di ammontare come nella specie inferiore, cui il giudice di merito sia diversamente pervenuto». Ciò significa che dovranno essere adeguatamente motivate le ragioni che abbiano spinto il giudice di merito a liquidare una somma sproporzionata rispetto a quella determinata attraverso l'applicazione delle tabelle milanesi.

 

Per riconoscere la portata applicativa su tutto il territorio delle tabelle di Milano, la Cassazione muove dalla constatazione che «il controllo in sede di legittimità del giudizio equitativo esige che preliminarmente si stabilisca quale sia la nozione di “equità” recepita dall'ordinamento nell'art. 1226 c.c.».

 

A tale proposito, la S.C. sottolinea come i dati normativi evidenzino che concetto di equità racchiude in sé due caratteristiche:

a) si tratta di uno strumento di adattamento della legge al caso concreto;
b) esso ha «la funzione di garantire l'intima coerenza dell'ordinamento, assicurando che casi uguali non siano trattati in modo diseguale, o viceversa», rappresentando perciò uno strumento attuativo del precetto di cui all'art. 3 Cost.

 

La conclusione è che, nel caso di danno non patrimoniale, «solo un'uniformità pecuniaria di base può valere ad assicurare una tendenziale uguaglianza di trattamento, ad un tempo sintomo e garanzia dell'adeguatezza della regola equitativa applicata nel singolo caso, salva la flessibilità imposta della considerazione del particolare». L'equità si fonda, pertanto, sulla compresenza di uniformità e flessibilità, essendo necessario adottare «sistemi di liquidazione che associno all'uniformità pecuniaria di base del risarcimento ampi poteri equitativi del giudice, eventualmente entro limiti minimi e massimi, necessari al fine di adattare la misura del risarcimento alle circostanze del caso concreto».

 

I giudici di legittimità, nel confermare il consolidato principio secondo cui la valutazione del danno biologico dev'essere fondata sui principi dell'uniformità di base e sulla personalizzazione correlata alle circostanze della fattispecie, si riservano il compito di garantire il rispetto del primo parametro, imponendo l'adozione di un criterio unitario per tutto il territorio nazionale; resta invece esclusivo appannaggio del giudice di merito il compito di apprezzare le peculiarità del caso concreto, al fine di assicurare il rispetto del secondo principio.

 

Si afferma, pertanto, che «spetta alla Corte di cassazione stabilire quali siano i criteri generali cui i giudici di merito devono attenersi», in modo da evitare qualsiasi disparità di trattamento. Un simile potere viene fondato su una molteplicità di indici normativi, tutti dotati di rilievo costituzionale:

 

a) l'art. 3 Cost. che, nel sancire il principio di uguaglianza, non consente interpretazioni della legge che violino la parità di trattamento, in special modo in materia di diritti fondamentali;
b) l'art. 32 Cost., che proclama l'inviolabilità del diritto alla salute, e non sarebbe coerentemente applicato se il danno derivante dalla relativa lesione ubbidisse a criteri variabili al mutare della localizzazione del giudice competente;
c) l'art. 111, comma 2, Cost., che sancisce il diritto alla ragionevole durata del processo, il quale va garantito attraverso la fissazione di un minimo comune denominatore dell'equità risarcitoria, quale strumento indispensabile per deflazionare il contenzioso.

 

Il carattere cogente delle tabelle milanesi e la sua applicazione generalizzata trova ormani conferma anche negli ultimi arresti della Suprema Corte.

 

Invero, si è affermato che le Tabelle di Milano sono andate nel tempo assumendo e palesando una "vocazione nazionale", in quanto recanti i parametri maggiormente idonei a consentire di tradurre il concetto dell'equità valutativa, e ad evitare (o quantomeno ridurre) - al di là delle diversità delle condizioni economiche e sociali dei diversi contesti territoriali - ingiustificate disparità di trattamento che finiscano per profilarsi in termini di violazione dell'art. 3 Cost., comma 2, questa Corte è pervenuta a ritenerle valido criterio di valutazione equitativa ex art. 1226 c.c. delle lesioni di non lieve entità (dal 10% al 100%) conseguenti alla circolazione (v. Cass. 23 gennaio 2014, n. 1361).

 

Sotto altro aspetto, poiché la liquidazione del quantum dovuto per il ristoro del danno non patrimoniale è inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimazione, si escludeva altresì che l'attività di quantificazione del danno fosse di per sé soggetta a controllo in sede di legittimità, se non sotto l'esclusivo profilo del vizio di motivazione, in presenza di totale mancanza di giustificazione sorreggente la statuizione o di macroscopico scostamento da dati di comune esperienza o di radicale contraddittorietà delle argomentazioni (v., Cass., 19 maggio 2010, n. 12918; Cass., 26 gennaio 2010, n. 1529).

 

In particolare laddove la liquidazione del danno si palesasse manifestamente fittizia o irrisoria o simbolica o per nulla correlata con le premesse in fatto in ordine alla natura e all'entità del danno dal medesimo giudice accertate (v. Cass. 16 settembre 2008, n. 23725; Cass. 2 marzo 2004, n. 4186; Cass. 2 marzo 1998, n. 2272; Cass. 21 maggio 1996, n. 4671).

 

La Corte Suprema di Cassazione ha mutato tale orientamento.

 

La mancata adozione da parte del giudice di merito delle Tabelle di Milano in favore di altre, ivi ricomprese quelle in precedenza adottate presso la diversa autorità giudiziaria cui appartiene, si è ravvisato integrare violazione di norma di diritto censurabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, (v. Cass., 7 giugno 2011, n. 12408, cit.).

 

Si è quindi al riguardo ulteriormente precisato che i parametri delle Tabelle di Milano sono da prendersi a riferimento da parte del giudice di merito ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale, ovvero quale criterio di riscontro e verifica di quella di inferiore ammontare cui sia diversamente pervenuto, sottolineandosi che incongrua è la motivazione che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui l'adozione dei parametri esibiti dalle dette Tabelle di Milano consente di pervenire (v. Cass. 30 giugno 2011, n. 14402. Per l'adozione di Tabelle diverse da quelle di Milano v. Trib. Roma 9 gennaio 2012; Trib. Roma 5 novembre 2012).

 

Tale ultimo orientamento è stato recentemente confermato da Cass. 25 febbraio 2014, n. 4447.

 

Invero, per la Suprema Corte il valore delle tabelle milanesi va inteso non già nel senso di avallare l'idea che le dette tabelle ed i loro adeguamenti siano divenute esse stesse in via diretta una normativa di diritto, che occorrerebbe necessariamente qualificare all'interno della categoria delle fonti per come regolata, sia pure ormai indirettamente per quanto concerne il concetto di legge, dall'art. 1 preleggi (ma non solo), bensì nel senso che esse integrino i parametri di individuazione di un corretto esercizio del potere di liquidazione del danno non patrimoniale con la valutazione equitativa normativamente prevista dall'art. 1226 c.c.

 

Le Tabelle sono dunque "normative" nel senso che sono da riconoscere come parametri di corretto esercizio del potere di cui all'art. 1226 e, dunque, di corretta applicazione di tale norma. Esse hanno, pertanto, valore normativo nel senso che forniscono gli elementi per concretare il concetto elastico previsto nella norma dell'art. 1226 c.c.

 

Le Tabelle Milanesi, in quanto determinative di criteri di quantificazione del danno patrimoniale, assumono rilievo, sulla base delle considerazioni svolte da Cass. n. 12408/2011 come "fonti" in base alle quali è possibile, di regola, considerare correttamente esercitato il potere di liquidazione equitativa di cui all'art. 1226 c.c. Dunque, i criteri da esse poste, si vedono attribuire il carattere di parametri di apprezzamento della correttezza dell'esercizio del potere di cui all'art. 1226 c.c., per cui tale potere ne deve necessariamente tenere conto nell'esternarsi con la motivazione.

 

Ciò, non già per una diretta forza cogente che esse abbiano sub specie di norme di diritto, bensì per effetto del riconoscimento della loro corrispondenza sul piano generale ai criteri di equità che i giudici di legittimità hanno ravvisato debbano applicarsi. Esse, quindi, siccome individuatrici del concetto di valutazione equitativa, assumono rilievo come una sorta di elemento extratestuale della norma dell'art. 1226 c.c., ravvisato dalla Suprema Corte con riferimento a ciò che si è evidenziato nel multiforme divenire della società e, quindi, nelle applicazioni concrete, con riferimento al problema della ricerca di parametri di equità nella valutazione del danno non patrimoniale.

 

(Nota di Francesco Agnino tratta da Il Quotidiano Giuridico Wolters Kluwer)

 

 

 Corte di Appello di Roma

Sentenza 25 marzo 2014

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da Altalex
 

 

 

 

 

Lunedì, 14 Aprile 2014
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