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Stupefacenti: il D.L. svuota carceri modifica la qualificazione della lieve entità

(Cass. Pen., sez. VI, 16 gennaio 2014, n. 5143)

In attesa che il legislatore – o chi per lui – si accorga che nel nostro ordinamento, allo stato, coesistono due distinte ed opposte ipotesi di lieve entità, in materia di stupefacenti, posto che la pronuncia della Corte Costituzionale ha, da un lato, determinato la riviviscenza del testo dell’intero art. 73, D.P.R. n. 3009/1990 nella forma ante novella del 2006 e che, in pari tempo, il Parlamento ha convertito in legge il D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, il quale innova la norma in questione e la trasformando da circostanza attenuante ad effetto speciale, in reato autonomo, intervengono pronunzie giurisprudenziale di legittimità che – contingentemente ed interinalmente – sanciscono l’applicazione di quest’ultima nuova ipotesi.

La sentenza della Sesta Sezione della Corte di Cassazione n. 5143, pronunziata il 16 gennaio 2014, quindi, prima che fosse decisa dalla consulta l'eccezione di costituzionalità, non ha potuto tenere conto della denunziata grave discrasia e – comunque correttamente – ha ritenuto che la modifica introdotta con l’art. 2 del citato D.L. configuri e determini un mutamento in melius, risultando, così, più favorevole all’imputato.

Oltre alla circostanza che la pena prevista dal D.L. n. 146/2013 appare inferiore (da 1 a 5 anni di reclusione oltre alla multa) a quella che era stata precedentemente sancita (il cui massimo edittale era, invece, di 6 anni), elemento di discontinuità ritenuto di specifica rilevanza, appaiono, inoltre, evidenti altri profili che confermano tale giudizio.

La struttura di reato autonomo sottrae, infatti, l’istituto della lieve entità al giudizio di bilanciamento rispetto alle eventuali aggravanti contestate (situazione che aveva in precedenza spesso impedito l’inflizione di pene adeguate e proporzionate) e, altresì, permette di modulare, in termini di maggiore favore il regime prescrizionale, che, ora, viene calcolato secondo i parametri previsti dall’art. 157 c.p.

Resta, comunque, indubitabile la considerazione che, la situazione di evidente contrasto e conflitto tra le due  richiamate norme, venutasi a creare in progresso di tempo, è determinata dalla oggettiva incoerenza delle stesse, di cui il legislatore non pare essersi accorto. Non è, infatti, pensabile un trapianto tout court del comma 5° - così come concepito dal D.L. 21 dicembre 2013, n. 146 – nel complessivo modello del rinnovato art. 73. Se una simile operazione avvenisse ci si troverebbe dinanzi ad una norma obbiettivamente “strabica”, una vera e propria inammissibile contraddizione in termini che verrebbe ad intercorrere fra distinti passaggi della stessa che presentano linee guida sanzionatorie del tutto incompatibili fra loro.

Ci si dovrebbe domandare, perciò, come si potrebbe, così, coniugare e porre, quale esempio di doverosa coerenza intrinseca) della regola in parola, una previsione quale quella dei commi 1 e 4 dell’art. 73, che distinguono (in coerenza con la suddivisione tabellare dell’art. 14) le pene per le sostanze droganti cd. pesanti e quelle cd. leggere, con una disposizione – il comma 5° ex D.L. n. 146/2013 – che, invece, unifica nella medesima pena detentiva e pecuniaria, il trattamento sanzionatorio. Non dimentichiamo che i comma 1, 4, da un lato ed il comma 5, dall’altro, – nel disegno dell’art. 73 ex L. JERVOLINO-VASSALLI – governano le medesime condotte ritenute illecite.

 

Essi si differenziano esclusivamente per il livello di gravità attribuito alle stesse,  (in un caso di carattere ordinario, nell’altra ipotesi espressamente lieve); si tratta di un giudizio che, per tale specifica ragione determina una differente modulazione dell’intervento sanzionatorio. Ritiene chi scrive, quindi, che l’innesto di una singola previsione normativa, così differente (quale appare l’art. 2 del D.L. 146/2013) rispetto alla complessiva trama dell’art. 73, costituirebbe scelta destinata a subire un’inevitabile ed irreversibile crisi di rigetto, in quanto essa si accrediterebbe come iniziativa interpretativa che determina una condizione di illogicità interna alla specifica  norma.

 

Dunque, aderendo alla tesi sopra esposta in relazione al comma 1 dell’art. 136 Cost., in questo momento, ogni processo entra in un vero e proprio limbo, nel quale vige tuttora, provvisoriamente, una norma dichiarata incostituzionale, mentre quella ripristinata, invece, non avrebbe ancora vigenza .
Ve ne è abbastanza per auspicare che si ponga termine a questo disordine giuridico e si intenda, finalmente, porre riparo con una nuova organica legge.

 

(Nota di Carlo Alberto Zaina)

 

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI PENALE

Sentenza 16 gennaio - 3 febbraio 2014, n. 5143

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 

SEZIONE SESTA PENALE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

 

Dott. MILO Nicola - Presidente -

 

Dott. LANZA Luigi - Consigliere -

 

Dott. ROTUNDO Vincenzo - Consigliere

 

Dott. CITTERIO Carlo - Consigliere -

 

Dott. PETRUZZELLIS Anna - rel. Consigliere -

 

ha pronunciato la seguente:

 

sentenza

 

sul ricorso proposto da:

 

M.S., nato in (OMISSIS);

 

avverso la sentenza del 28/03/2013 della Corte d'appello di Bologna;

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;

 

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. PETRUZZELLIS Anna;

 

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. IACOVIELLO Francesco Mauro, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

 

Svolgimento del processo

 

1. La Corte d'appello di Bologna, con sentenza del 28/03/2013, ha confermato la condanna di M.S. per plurimi episodi di cessione di sostanze stupefacenti, inquadrati nella fattispecie di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamenti aggravati, pronunciata dal Gup del Tribunale di Ravenna con sentenza del 25/09/2012.

2. Ha proposto ricorso l'imputato personalmente con il quale si lamenta mancata assunzione di prova decisiva, secondo quanto previsto dall'art. 606 c.p.p., lett. d). Si espone in fatto che sull'istanza volta a disporre una perizia cinematica la Corte di merito si era esclusivamente richiamata alle valutazioni del primo giudice in ordine alla scarsa utilità dell'approfondimento per ricostruire la dinamica dell'incidente, ritenuto invece indispensabile al fine di inquadrare correttamente la contestata resistenza, ed in subordine a determinare i danni, il cui ristoro era essenziale per determinare l'importo dovuto a titolo di risarcimento, e quindi per accedere all'applicazione dell'attenuante, valutazione che giustificava la richiesta di definizione con il rito dell'abbreviato condizionato, formulata in primo grado.

3. Con il secondo motivo si deducono vizi della motivazione con riferimento al rigetto della richiesta di applicazione dell'art. 62 bis c.p. ed al mancato riconoscimento della prevalenza dell'attenuante di cui al comma 5 della norma incriminatrice, stante lo scarso rilievo del precedente che ha giustificato la contestazione della recidiva e le condizioni di vita dell'interessato, che risulta radicato nel nostro territorio.

 

Motivi della decisione

 

 

1. Il ricorso è parzialmente fondato.

 

2. Il primo motivo di ricorso non merita accoglimento, richiamando un vizio, attinente alla mancata assunzione di una prova decisiva che, per pacifica giurisprudenza, non può riguardare la mancata predisposizione della perizia sollecitata, ma esclusivamente l'ipotesi cui all'art. 495 c.p.p., comma 2, in cui sia illegittimamente escluso il diritto dell'interessato alla prova contraria, come è dato ricavare dalla lettera della disposizione invocata. Ed è bene richiamare in argomento, quanto già stabilito da questa Corte sulla natura dell'accertamento invocato che non è rapportabile alla categoria della "prova decisiva" ed il relativo provvedimento di diniego non è sanzionabile ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), in quanto costituisce il risultato di un giudizio di fatto che, se sorretto da adeguata motivazione, è insindacabile in cassazione. (Sez. 6^, n. 43526 del 03/10/2012 - dep. 09/11/2012, Ritorto e altri, Rv. 253707).

 

3. Analogamente privo di fondamento è il rilievo con il quale si contestata completezza della motivazione del primo giudice, con riferimento alla determinazione della mancata concessione delle attenuanti generiche e della valutazione di prevalenza dell'attenuante di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, riconosciuta nel grado di merito, in quanto la relativa decisione risulta supportata da argomentazioni di sostegno complete e non contraddittorie, rispetto alle quali la parte si limita a prospettare diverse vantazioni, così sollecitando un giudizio estraneo a questo grado.

 

4. La mancata definizione del giudizio alla data di emissione del D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, entrato in vigore il giorno successivo, impone di ritenere applicabile nella specie la diversa, più favorevole disciplina dettata dall'art. 2 di tale disposizione, recante modifiche della previsione del fatto di lieve entità di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, che delinea la nuova fattispecie nei termini seguenti "Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da uno a cinque anni e della multa da Euro 3.000 a Euro 26.000".

 

Si è già osservato in sede di prima applicazione che l'utilizzo della clausola di riserva, operata con riferimento all'inquadramento in diverso reato rende evidente il mutamento della natura giuridica della previsione, che cessa di potersi identificare come attenuante, per integrare una figura di reato autonomo, con le conseguenti necessità di rivalutazione sia dell'incidenza delle diverse circostanze presenti, che pertanto si sottraggono ad una comparazione con la fattispecie, che dell'analisi dell'eventuale decorso del termine prescrizionale.

 

A tale ultimo fine, si deve considerare la diversa pena edittale prevista, la cui rilevanza giuridica è strettamente correlata all'esclusione della qualità di elemento circostanziale della fattispecie, che ne imponeva l'esclusione dal computo ai sensi dell'art. 157 c.p., da ritenersi invece attualmente superata.

 

5. La indefettibilità di valutazioni di fatto in tale necessaria considerazione della nuova fattispecie, estranee a questo grado del giudizio, impone l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio al giudice di merito indicato in dispositivo per nuovo giudizio sul punto.

 

P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d'appello di Bologna.

 

Rigetta nel resto il ricorso.

 

Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2014.

 

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2014

 

 

da Altalex

 

 

 

Giovedì, 16 Gennaio 2014
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