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Coltivazione stupefacenti: da reato di pericolo astratto a reato di pericolo concreto

(Cass. Pen., sez. II, 03 aprile 2014 n. 1519)

Un'interessante pronunzia della Corte di Cassazione in materia di coltivazione si pone in controtendenza rispetto all'orientamento che parrebbe vigente.

 

La Suprema Corte ha, infatti, confermato l'assoluzione dell'imputato dal reato di coltivazione di 15 piante, sul presupposto sia dell'esiguità del numero delle piante in questione, ma anche in funzione della minimalità del principio attivo contenuto.

 

Si tratta di un passo avanti nella direzione giusta, cioè nel senso di procedere alla valorizzazione del principio dell'offensività, sì da permettere di ritenere che il reato di coltivazione non costituisca più un illecito penale di pericolo astratto, bensì di pericolo concreto.

 

L'approdo a questo tipo di categoria concettuale (e l'inserimento della fattispecie in tale classificazione) permetterebbe, poi, di procedere sul cammino di un sempre maggiore apprezzamento dell'offensività della condotta, sino a pervenire al traguardo dell'esclusione del carattere di offensività, anche in forza di una analisi teleologicamente orientata della condotta.

 

Si può, comunque, già affermare che la sentenza recide definitivamente qualsiasi vincolo con quell'indirizzo ermeneutico (seguito dalla Corte di Cassazione in passato), in base al quale la sola semina già, di per sè sola costituiva condotta facente parte del concetto di coltivazione, prescindendo dall'attecchimento del seme, dalla verifica in ordine al sesso della pianta, alla capacità di sviluppo effettivo della stessa.

 

La Corte, infatti, esaltava esclusivamente - con questa impostazione - la potenzialità della coltivazione, sulla base di un presupposto valutativo del tutto errato (vedi, SS.UU. 28 aprile 2008) che sarebbe consistito nella convinzione che il solo predisporre una coltivazione - ancorchè domestica - era sicuramente funzionale all'immissione sul mercato dello spaccio di nuova sostanza.

 

Dimenticava il giudice di legittimità un'elementare verità e cioè che chi coltiva per uso personale, lo fa proprio per evitare di sostenere - con l'apporto finanziario dell'acquisto - il mercato e per far cadere la richiesta di sostanza stupefacente.

 

Proprio l'esatto opposto di quanto sostenuto dai supremi Giudici. Ed adesso attendiamo l'ulteriore passo avanti giurisprudenziale.

 

(Nota di Carlo Alberto Zaina)

 

 

 

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II PENALE

Sentenza 13 dicembre 2013 - 3 aprile 2014, n. 15191

 

Massima e testo integrale

 

 

da Altalex

 

 

 

 

 

Martedì, 10 Giugno 2014
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