Cassazione: il cronotachigrafo non dimostra lo straordinario dell'autista se l'azienda non è d'accordo
C’è una sentenza che potrebbe suscitare qualche prurito a molti autisti dipendenti di aziende di autotrasporto. È per la precisione quella con cui lo scorso 13 maggio (n. 10366) la Corte di Cassazione ha respinto la richiesta di un autista a ottenere il pagamento del lavoro straordinario perché la prova presentata – le registrazioni del cronotachigrafo analogico – è stata ritenuta insufficiente a dimostrare che il lavoro sia stato effettivamente svolto. Più precisamente, siccome l’azienda di trasporti per chi lavorava l’autista in questione ha disconosciuto la veridicità di quelle registrazioni, a quel punto – secondo la Cassazione – entra in gioco un articolo del codice civile, il 2712, che dice espressamente che «Le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime».
Insomma, tutte le registrazioni dei fatti, come nel caso del cronotachigrafo, hanno valore soltanto se l’altra parte le riconosce come valide, ma in caso contrario diventano semplici presunzioni e per provare la propria pretesa – come nel caso in questione – c’è bisogno di altro.
Cos’è che potrebbe suscitare pruriti? L’utilizzo bicefalo delle registrazioni del cronotachigrafo, che per un verso, quando un autista viene fermato lungo una strada, sono la prova di quanto ha guidato o ha riposato; al contrario se lo stesso autista utilizza quelle registrazioni per dimostrare che ha lavorato di più di quanto preveda il contratto di lavoro, improvvisamente non hanno più valore, se il datore di lavoro le disconosce.