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Causa non eccedente i 1.100 euro?
Il giudice di pace decide sempre secondo equità

(Tribunale Milano, sez. X, 27 febbraio 2014, n. 1882)

Affinché si possa ritenere che il giudizio instaurato abbia valore superiore a millecento euro - e che di conseguenza il Giudice di Pace non possa decidere secondo equità -, non è sufficiente che l’attore abbia domandato la condanna del convenuto al pagamento di un specifico importo e, in via alternativa o subordinata, della maggiore o minore somma, bensì è necessario esaminare la fattispecie concreta ed interpretare la domanda proposta dalla parte, anche alla luce del contenuto complessivo dell’atto di citazione.

 

Con la decisione 7 febbraio 2014, n. 1882 il Tribunale di Milano ribadisce l’orientamento prevalente della Corte di Cassazione in base al quale le sentenze rese dal giudice di pace in cause di valore non eccedente i millecento euro, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi mediante moduli o formulari di cui all'art. 1342 c.c., sono da considerare sempre pronunciate secondo equità, ai sensi dell'art. 113, comma 2, c.p.c.

 

Ne consegue che il tribunale, in sede di appello avverso sentenza del giudice di pace, pronunciata in controversia di valore inferiore al suddetto limite, è tenuto a verificare, in base all'art. 339, terzo comma, cod. proc. civ., come sostituito dall'art. 1 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, soltanto l'inosservanza dei principi superiori di diritto, che non possono essere violati nemmeno in un giudizio di equità.

 

In buona sostanza, per la Suprema Corte le sentenze del Giudice di Pace rese in controversie di valore non superiore a millecento euro devono sempre considerarsi pronunciate secondo equità, come previsto dall’art. 113, comma 2 del codice di rito, a prescindere dal fatto che il giudice abbia applicato norme di legge ritenute corrispondenti all’equità o abbia fatto riferimento a norme di diritto senza alcun riferimento all’equità.

 

Nel caso di specie, una società a responsabilità in liquidazione conveniva in giudizio la propria compagnia di assicurazione, per sentirla condannare al pagamento di un importo corrispondente al costo di due giorni di noleggio di veicolo sostitutivo oltre che alle spese. Infatti, la compagnia di assicurazione, pur in presenza di una regolare cessione del credito intervenuta fra la danneggiata e la ricorrente a seguito di incidente stradale, si era rifiutata di pagare il proprio debito nei confronti della attuale appellante.

 

Il Giudice di pace rigettava la domanda della società a responsabilità limitata in liquidazione ritenendo non provata la necessità del noleggio del veicolo sostitutivo e, pertanto, non risarcibili i costi a tal fine sostenuti, condannando la stessa alla rifusione delle spese processuali. A seguito dell’instaurazione del giudizio di appelli, Il Tribunale di Milano risponde alle doglianze avanzate dall’appellante ribadendo in primo luogo l’orientamento giurisprudenziale già riportato.

 

Inoltre, il giudice di merito aderisce anche ad un altro orientamento della Cassazione in base al quale in una causa nella quale l'attore indica con precisione l'ammontare del suo credito e chiede che quell'ammontare gli sia attribuito dal giudice, la formula che nel gergo forense si suole aggiungere "o quell'altra maggiore o minore somma che risulterà in corso di causa" ha natura di un clausola di stile ed è inidonea ad influire sulla determinazione della competenza per valore, sicché quest'ultima resta delimitata dalla somma specificata, non potendo la controversia essere considerata di valore indeterminabile.

 

Inoltre, si legge nella sentenza in commento, nel giudizio instaurato davanti al giudice di pace, per il risarcimento dei danni, qualora l'attore, oltre a richiedere una somma specifica non superiore a euro 1.032,91, abbia anche concluso, in via alternativa o subordinata, per la condanna del convenuto al pagamento di una somma maggiore o minore da determinarsi nel corso del giudizio, siffatta ultima indicazione, pur non potendosi reputare mera clausola di stile, non può, tuttavia, ritenersi di per sé sola sufficiente a dimostrare la volontà dello stesso attore di chiedere una somma maggiore - ed ancor meno una somma superiore ad euro 1032,91 - in assenza di ogni altro indice interpretativo idoneo ad ingenerare quanto meno il dubbio che le circostanze dedotte siano potenzialmente idonee a superare il valore espressamente menzionato e, in particolare, quello entro il quale è ammessa la decisione secondo equità.

 

Da qui l’inammissibilità dell’appello in quanto, pur avendo ad oggetto una sentenza decisa secondo equità, è stato proposto al di fuori dei casi previsti dall’art. 339, comma 3, c.p.c., che prevede l’appellabilità delle sentenze pronunciate dal Giudice di Pace secondo equità solo per violazione delle norme sul procedimento, di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia.

 

(Nota di Alessandro Ferretti)

 

Tribunale di Milano

Sezione X

Sentenza 7 febbraio 2014, n. 1882

(est. Damiano Spera)

 

 

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Damiano Spera

 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 1882/2014

(pubblicata il 7.2.2014)

 

Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione

 

Con atto ritualmente notificato, E S.r.l. in liquidazione esponeva:

 

- che l’autovettura di .. era stata danneggiata a seguito di incidente stradale imputabile a colpa esclusiva di .. e che pertanto .. aveva dovuto noleggiare un’auto sostitutiva per il periodo necessario alla riparazione del proprio veicolo;

 

- che .. aveva ceduto a E S.r.l. in liquidazione il credito nei confronti della propria compagnia assicuratrice .. Assicurazioni S.p.a. derivante dai costi sostenuti per il noleggio veicolo sostitutivo;

 

- che, nonostante la regolarità della cessione del credito intervenuta fra la danneggiata ed E S.r.l. in liquidazione, la compagnia assicuratrice si era rifiutata di pagare il proprio debito nei confronti dell’odierna appellante.

 

Conveniva pertanto in giudizio avanti al Giudice di Pace di Milano .. Assicurazioni S.p.a. per sentirla condannare al pagamento dell’importo di Euro 180,00, corrispondente al costo di due giorni di noleggio del veicolo sostitutivo, e di Euro 75,00 per le spese sostenute durante la fase stragiudiziale, il tutto oltre interessi legali.

 

Si costituiva la convenuta, la quale concludeva per il rigetto delle domande.

 

Con sentenza n. 105.236 del 2012, il Giudice di Pace rigettava la domanda di E S.r.l. in liquidazione ritenendo non provata la necessità del noleggio del veicolo sostitutivo e, pertanto, non risarcibili i costi a tal fine sostenuti; per l'effetto condannava la E alla rifusione delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 516,00.

 

Avverso questa sentenza, con atto regolarmente notificato, E S.r.l. in liquidazione proponeva rituale appello per i seguenti motivi:

 

- il Giudice di Pace avrebbe violato il diritto di difesa di E S.r.l. nonché il principio del contraddittorio poiché avrebbe dapprima ritenuto superflua l’istruttoria orale e, successivamente, in maniera contraddittoria, avrebbe ritenuto non provato il diritto di credito;

 

- il Giudice di Pace avrebbe altresì violato il principio della restitutio in integrum di cui agli artt. 2043 e ss. c.c. e della disponibilità delle prove poiché, ai fini del risarcimento del danno da fermo tecnico, anziché ritenere sufficiente la prova dell’inutilizzabilità del veicolo danneggiato, avrebbe richiesto anche la prova delle specifiche esigenze lavorative o di carattere personale che avrebbero giustificato il noleggio di un’autovettura sostitutiva.

 

Conveniva pertanto in giudizio .. Assicurazioni S.p.a. e concludeva affinché il Tribunale di Milano, in totale riforma dell’impugnata sentenza, accogliesse le conclusioni già formulate in primo grado.

 

Si costituiva l’appellata, la quale concludeva per il rigetto dell’appello.

 

Rimasto infruttuoso il tentativo di conciliazione, le parti precisavano le conclusioni come da fogli allegati al verbale di udienza dell’1.10.2013. All'udienza di discussione del 19.12.2013, ex art. 281 quinquies cpv. c.p.c., il Tribunale riservava la decisione.

 

Ritiene il Tribunale che l’appello deve essere dichiarato inammissibile in quanto, pur avendo ad oggetto una sentenza decisa secondo equità, è stato proposto al di fuori dei casi previsti dall’art. 339, comma 3, c.p.c., che prevede l’appellabilità delle sentenze pronunciate dal Giudice di Pace secondo equità solo per violazione delle norme sul procedimento, di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia.

 

Preliminarmente si rileva che, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, la sentenza oggi impugnata deve ritenersi pronunciata dal Giudice di Pace secondo equità ai sensi dell’art. 113, comma 2, c.p.c., che prevede che il Giudice di Pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede millecento euro, ad eccezione di quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all’art. 1342 c.c.

 

La giurisprudenza è costante nel ritenere che le sentenze del Giudice di Pace rese in controversie di valore non superiore a millecento euro devono sempre considerarsi pronunciate secondo equità, come previsto dall’art. 113, comma 2, c.p.c., a prescindere dal fatto che il giudicante abbia applicato norme di legge ritenute corrispondenti all’equità oppure abbia espressamente fatto riferimento a norme di diritto senza alcun riferimento all’equità: “Le sentenze rese dal giudice di pace in cause di valore non eccedente i millecento euro, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi mediante moduli o formulari di cui all'art. 1342 c.c., sono da considerare sempre pronunciate secondo equità, ai sensi dell'art. 113, comma 2, c.p.c. Ne consegue che il tribunale, in sede di appello avverso sentenza del giudice di pace, pronunciata in controversia di valore inferiore al suddetto limite, è tenuto a verificare, in base all'art. 339, terzo comma, cod. proc. civ., come sostituito dall'art. 1 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, soltanto l'inosservanza dei principi superiori di diritto, che non possono essere violati nemmeno in un giudizio di equità.” (Cass. n. 5287/2012. Si vedano, fra le tante, anche Cass. n. 4079/2005 e Cass. n. 19724/2011).

 

La giurisprudenza ha inoltre chiarito che il valore della causa deve essere determinato ex ante in base alla domanda delle parti (si veda da ultimo Cass. n. 28198/2013).

 

Pertanto, in applicazione dei suddetti principi ed in considerazione del fatto che E S.r.l. in liquidazione domandava la condanna della convenuta all’importo complessivo di Euro 255,00 (di cui Euro 180,00 per le spese di noleggio di un veicolo sostitutivo ed Euro 75,00 per le spese legali sostenute nella fase stragiudiziale), oltre interessi, si deve ritenere che la sentenza n. 105.236/2012 del Giudice di Pace di Milano sia stata pronunciata secondo equità ai sensi dell’art. 113, comma 2, c.p.c. e sia pertanto soggetto alla disciplina di cui all’art. 339, comma 3, c.p.c.

 

Deve infatti essere disattesa la tesi di parte appellante secondo la quale, qualora l'attore abbia formulato dinanzi al Giudice di Pace una domanda di condanna al pagamento di una somma di denaro inferiore a millecento euro, accompagnandola però con la richiesta di una maggiore o minore somma che dovesse risultare in corso di giudizio (come E S.r.l. ha specificato nel proprio atto di citazione), la causa dovrebbe ritenersi — in difetto di tempestiva contestazione ai sensi dell'art. 14 c.p.c. — di valore indeterminato, e la sentenza che la conclude appellabile senza i limiti prescritti dall'art. 339 c.p.c.

 

Questo Tribunale ritiene, invece, di aderire all’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione in merito all’individuazione del valore della causa secondo il quale “In una causa nella quale l'attore indica con precisione l'ammontare del suo credito e chiede che quell'ammontare gli sia attribuito dal giudice, la formula che nel gergo forense si suole aggiungere "o quell'altra maggiore o minore somma che risulterà in corso di causa" ha natura di un clausola di stile ed è inidonea ad influire sulla determinazione della competenza per valore, sicché quest'ultima resta delimitata dalla somma specificata, non potendo la controversia essere considerata di valore indeterminabile” (Cass. n. 16318/2011. Si veda anche Cass. n. 7255/2011).

 

Detto principio è stato specificamente ribadito dalla Suprema Corte anche in merito all’appellabilità delle sentenze emesse dal Giudice di Pace: “Nel giudizio instaurato davanti al giudice di pace, per il risarcimento dei danni (nella specie da circolazione stradale), qualora l'attore, oltre a richiedere una somma specifica non superiore a euro 1.032,91 (nella specie euro 258,00), abbia anche concluso, in via alternativa o subordinata, per la condanna del convenuto al pagamento di una somma maggiore o minore da determinarsi nel corso del giudizio, siffatta ultima indicazione, pur non potendosi reputare mera clausola di stile, non può, tuttavia, ritenersi di per sé sola sufficiente a dimostrare la volontà dello stesso attore di chiedere una somma maggiore - ed ancor meno una somma superiore ad euro 1032,91 - in assenza di ogni altro indice interpretativo idoneo ad ingenerare quanto meno il dubbio che le circostanze dedotte siano potenzialmente idonee a superare il valore espressamente menzionato e, in particolare, quello entro il quale è ammessa la decisione secondo equità. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza del giudice di gravame che aveva dichiarato inammissibile il proposto appello avverso la sentenza resa dal giudice di pace, giacché, in totale assenza di contrarie emergenze processuali, era da ritenersi ininfluente, al fine di individuare il mezzo di impugnazione esperibile, l'ulteriore richiesta, avanzata dall'attore con l'atto di citazione, di condanna del convenuto per un importo maggiore o minore rispetto a quello espressamente indicato)” (Cass. n. 24153/2010).

 

Pertanto, affinché si possa ritenere che il giudizio instaurato abbia valore superiore a millecento euro (e che di conseguenza il Giudice di Pace non possa decidere secondo equità), non è sufficiente che l’attore abbia domandato la condanna del convenuto al pagamento di un specifico importo e, in via alternativa o subordinata, della maggiore o minore somma, bensì è necessario esaminare la fattispecie concreta ed interpretare la domanda proposta dalla parte, anche alla luce del contenuto complessivo dell’atto di citazione.

 

Il mero riferimento alla somma maggiore o minore che risulterà di giustizia, aggiunto all’indicazione di un determinato importo, non può ritenersi di per se’ solo sufficiente a dimostrare l’effettiva volontà dell’attore di chiedere una somma maggiore - ed ancor meno una somma superiore ad Euro 1.100,00 - in mancanza di altro indice interpretativo idoneo ad ingenerare quanto meno il dubbio che le circostanze dedotte siano potenzialmente idonee a superare il valore espressamente menzionato ed in particolare quello entro il quale è ammessa la decisione secondo equità.

 

In difetto di circostanze concrete che inducano a ritenere che la somma che risulterà dovuta all’esito del giudizio possa essere effettivamente superiore a quella specificata dall’attore nonché all’importo di millecento euro, la menzione nella domanda introduttiva del giudizio di una somma risarcitoria maggiore di quella concretamente indicata nelle conclusioni dell’atto di citazione deve quindi essere considerata ininfluente, una mera clausola di stile.

 

Peraltro nelle motivazioni delle sentenze richiamate dallo stesso appellante viene specificato che la domanda di condanna ad un importo e, in via alternativa o subordinata, ad una minore o maggior somma di giustizia può far ritenere superato il limite stabilito dall'art. 113 c.p.c. per la decisione della causa secondo equità solo a condizione che si possa desumere dalle risultanze di causa che la clausola non sia di stile e che la controversia abbia ad oggetto “somma di denaro non determinata ma orientativamente indicata in "quella maggiore o minore conforme a giustizia" (Cass. n. 22759/2013 e Cass. n. 9432/2012).

 

D’altronde, un’interpretazione che considerasse sufficiente la mera apposizione della suddetta clausola per ritenere indeterminato il valore della controversia comporterebbe l’abrogazione di fatto degli artt. 113, comma 2, e 339, comma 3, c.p.c. poiché la clausola in questione viene apposta dai procuratori in tutti gli atti introduttivi di giudizi che hanno come petitum immediato la condanna al pagamento di una somma.

 

Una tale interpretazione, inoltre, rimetterebbe al mero arbitrio delle parti la scelta della disciplina sostanziale e processuale loro applicabile: l’attore, semplicemente aggiungendo alla domanda di condanna del convenuto al pagamento di una specifica somma l’inciso “o della minore o maggior somma ritenuta di giustizia” (o ricorrendo a clausole analoghe) senza alcun onere motivazionale, di fatto sceglierebbe se il proprio processo deve essere deciso secondo equità o secondo diritto, nonché diventerebbe il dominus della disciplina processuale concretamente applicabile, ad esempio proprio in materia di appellabilità delle sentenze del Giudice di Pace.

 

Una tale conclusione si pone in evidente contrasto col dato normativo nonché con il principio affermato dalla Corte di Cassazione la quale, proprio in riferimento all’art. 113, comma 2, c.p.c., ha chiarito che “la decisione di merito del Giudice di Pace deve essere adottata deve essere adottata, senza possibilità di scelta né per le parti, né per il giudice, secondo diritto ovvero secondo equità in dipendenza del valore della causa” (Cass. n. 1080/2005).

 

Orbene, nel caso di specie non vi è alcun dubbio che il valore della causa proposta da E S.r.l. in liquidazione ammonti ad Euro 255,00 oltre interessi legali e che la domanda di condanna alla “minore o maggiore somma” debba essere considerata ininfluente ai fini della determinazione della domanda proposta dall’attrice odierna appellante in quanto clausola di stile.

 

Né nell’atto di citazione né nell’appello E S.r.l. in liquidazione ha mai formulato domande per importi superiori ad Euro 255,00, né ha dedotto circostanze tali da far presumere che ambisse ad una somma maggiore di quella indicata.

 

Anzi, l’appellante ha sempre specificato di aver diritto e di aver richiesto solo il pagamento dell’importo di Euro 180,00, corrispondente a due soli giorni di noleggio del veicolo sostitutivo (a tal proposito si rileva che l’appellante ribadiva più volte nel corpo dei propri atti che, sebbene .. ....loppi avesse noleggiato un veicolo sostitutivo per sei giorni, la richiesta di Elica Rent era limitata a soli due giorni), nonché le spese legali stragiudiziali riferibili solo al preavviso di notula del 24.11.2008, ammontanti ad Euro 75,00.

 

Non vi è nulla negli atti di E S.r.l. dal quale sia possibile desumere che la società avesse diritto o che avrebbe richiesto una somma superiore ad Euro 255,00; pertanto, dovendosi ritenere la sentenza pronunciata secondo equità, l’appello potrebbe ritenersi ammissibile solo per le specifiche violazioni indicate dall’art. 339, comma 3, c.p.c.

 

Ritiene questo Tribunale che la sentenza appellata non abbia violato alcuna delle norme e dei principi regolatori di cui all’art. 339 c.p.c. In particolare:

 

- E S.r.l. sostiene che il Giudice di Pace, dopo aver ritenuto superflua l’istruttoria orale e sufficientemente istruita la causa, avrebbe contraddittoriamente dichiarato non provate le esigenze personali o di lavoro che avrebbero giustificato il risarcimento dei costi sostenuti per il noleggio di un veicolo sostitutivo, così violando il principio di difesa, del contraddittorio, nonché le norme processuali che prevedono l’obbligo di motivazione.

 

In realtà dalla lettura degli atti e del verbale del processo di primo grado risulta chiaramente che il Giudice di Pace non ha respinto ogni istanza istruttoria e poi ritenuto non provati i fatti costitutivi del diritto al risarcimento, bensì risulta che nessuna delle parti aveva formulato alcuna istanza istruttoria orale o, comunque, alcuna istanza volta a provare la natura delle esigenze per il cui soddisfacimento .. aveva noleggiato un veicolo sostitutivo. Non è pertanto ravvisabile alcun violazione del diritto di difesa, del principio del contraddittorio né un difetto di motivazione della sentenza oggetto di impugnazione;

 

- E S.r.l. afferma inoltre che il Giudice di Pace, ritenendo non risarcibili i costi sostenuti per il noleggio del veicolo sostitutivo in difetto di prova della necessità del noleggio, avrebbe violato il principio della restitutio in integrum e della disponibilità delle prove.

 

Anche in questo caso il Tribunale ritiene che non sia stata integrata alcuna violazione di principi regolatori della materia, che consistono nelle regole fondamentali del rapporto che debbono essere ricavate dal complesso delle norme preesistenti (Cass. n. 15460/2011).

 

Il Giudice di Pace, infatti, non ha escluso in astratto la risarcibilità dei danni subiti da .. .. - e cioè del danno emergente consistente nei costi per il noleggio di un veicolo sostitutivo -, bensì ha ritenuto che, per risultare integrato tale danno, dovesse emergere anche la necessità del noleggio dell’automezzo.

 

Non è però possibile sostenere che la richiesta della prova di detta necessità costituisca una lesione dei principi regolatori della materia risarcitoria, tanto più che il Giudice di Pace ha aderito ad un orientamento che, pur non potendo essere definito maggioritario, non risulta isolato (ad esempio Cass. 12820/1999).

 

Alla luce di quanto sopra, l’appello proposto da E S.r.l. in liquidazione deve essere dichiarato inammissibile.

 

Consegue alla soccombenza la condanna dell'appellante a rifondere all’appellata le spese processuali relative al presente giudizio di appello.

 

La presente sentenza è dichiarata provvisoriamente esecutiva ex lege.

 

P.Q.M.

 

Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, così provvede:

 

- dichiara inammissibile l’appello proposto da E S.r.l. in liquidazione avverso la sentenza n. 105.236 del 2012, emessa inter partes dal Giudice di Pace di Milano;

 

- condanna l'appellante a rifondere all’appellata le spese processuali del presente giudizio di appello, che liquida in Euro 1.250,00 per compenso professionale di avvocato, oltre I.V.A. e C.P.A.;

 

- dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva.

 

Milano, 6.2.2014.

 

Il Giudice Istruttore
in funzione di Giudice Unico
dr. Damiano SPERA

 

 

 

da Altalex

 

 

 

 

Mercoledì, 10 Settembre 2014
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