Omesso versamento ritenute: crisi e assenza di dolo
Il reato di omesso versamento di ritenute di cui all'art. 10-bis del D.lgs 74/2000, è stato introdotto nell'ordinamento penale tributario con la finanziaria 2005. ( art. 1, comma 414 legge n. 311/2004).
Secondo la norma, qualunque sostituto di imposta che non abbia versato le ritenute attestate dalla propria certificazione, per una somma superiore a 50.000 Euro, calcolata su ciascun periodo di imposta, entro la scadenza prevista per la dichiarazione annuale di sostituto, è punito con un periodo di reclusione compreso tra sei mesi e due anni.
Con sentenza 5477/2014, la Corte di Cassazione ha affrontato il ricorso di una imprenditrice condannata per avere versato, in ritardo, le ritenute per crisi di liquidità e quindi, con insussistenza di dolo.
Secondo i giudici, l'esistenza di crediti vantati non può esonerare l'impresa dall' adempimento tributario. Per la Suprema Corte, la prova del dolo si realizza quando viene rilasciata al sostituto di imposta la certificazione e presentata la dichiarazione annuale attestante le ritenute effettuate, prevista dal modello 770. Il sostituto, è obbligato a mettere da parte le somme che deve al fisco, accantonando le risorse necessarie ad adempiere ai suoi obblighi.
Onere della prova
Solo il giudice ha la possibilità insindacabile di avvallare l'assenza del dolo e l'impossibilità di assolvere l'obbligo in sede di legittimità, caratteristica che assume sempre maggiore importanza in tempi di crisi, che finiscono per bruciare anche le risorse che devono obbligatoriamente essere versate al Fisco.
E' necessario però che siano stati assolti gli oneri di allegazioni, vale a dire che si dimostri che la crisi di liquidità non sia imputabile all'imprenditore e non sia stato possibile affrontarla ricorrendo a idonee misure concretamente valutabili provando che, come riportato dalla Suprema corte: """ non sia stato possibile, per il contribuente, reperire le risorse necessarie a garantirgli il corretto puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo poste in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili""".
Tornando al caso di specie, secondo i Giudici, l'imprenditrice non aveva assolto gli oneri di allegazioni: non ha dimostrato che il ritardo fosse ascrivibile al mancato pagamento di crediti liquidi ed esigibili; non ha comprovato la natura dei crediti vantati e l'esistenza improvvisa della crisi di liquidità ( dai bilanci si evinceva una crisi consolidata nel tempo ); non sono state adottate misure, per accantonare le risorse.