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Notizie brevi 01/06/2005

TESTO AUDIZIONE DEL PRESIDENTE DELL’ASAPS GIORDANO BISERNI ALLA IX COMMISSIONE TRASPORTI DELLA CAMERA DEI DEPUTATI DEL 30 MAGGIO 2005.

TESTO AUDIZIONE DEL PRESIDENTE DELL’ASAPS GIORDANO BISERNI ALLA IX COMMISSIONE TRASPORTI DELLA CAMERA DEI DEPUTATI DEL 30 MAGGIO 2005.

Relazione del Presidente Asaps Giordano Biserni.

Velocità fra educazione e informazione/disinformazione
L’errore più ingenuo che si può commettere quando si va a parlare ai ragazzi nelle scuole è quello di additare la velocità solo come elemento di rischio quindi da guardare con sospetto e da indicare come fattore di sola negatività. La realtà è diversa ed è percepita come tale dai ragazzi, specie i maschi, da subito, appena salgono su una ruota che gira.
La velocità è bella, altro che storie! La velocità attrae, fa sentire in qualche caso (più) forti, e (più) liberi. Come si spiegherebbero altrimenti le gare con i cammelli risalenti a secoli avanti Cristo, le gare fra bighe dei romani fissate nel nostro immaginario da Ben Hur, la celebrazione della velocità dei cavalli fatta da Giacomo Leopardi - personaggio non facilmente incasellabile nella categoria degli amanti del rischio dell’emozione data dalla macchina, per non parlare di Marinetti e del Futurismo.
La velocità è nella natura dell’uomo il quale cerca, a piedi, a cavallo, sulla macchina, di superarsi e superare gli altri.
In realtà la stessa natura ci trae in inganno: subdola, ci fa diffidare già a pochi mesi di vita della velocità verticale, mentre ci permette rischiose confidenze con quella orizzontale. Tutti noi avremmo paura a lanciarci dal terzo piano di un palazzo, se non per la volontà di ucciderci (e se non ci riusciamo ci arrabbiamo da pazzi). Eppure quella velocità di caduta corrisponde ad uno schianto a 50 Km/h contro un ostacolo fisso con la nostra macchina o la nostra moto. In questo caso quando ci facciamo molto male, rimaniamo stupiti e osserviamo che c’è mancato poco che ci ammazzassimo. Eppure si tratta di due velocità a impatto fisico identico.

Quella orizzontale ci inganna, perché i nostri avi ci hanno comunicato coi loro geni che era positiva, serviva infatti migliaia di anni fa a catturare le prede per cibarsi, o a fuggire dai predatori…ma sempre utile e positiva rimaneva a differenza di quella verticale.

La società più moderna ha trasferito questo rapporto confidenziale con la velocità orizzontale alla macchina.
Passeggiando nei giorni scorsi nei pressi di un raduno di motociclisti mi sono fermato a guardare i contachilometri di decine di moto in sosta. Fra quei bolidi affiancati quello che aveva il contatore della velocità più morigerato arrivava ai 260 Km/h, molte toccavano e superavano i 300. E li fanno! Forse per questo in un fine settimana primaverile si contano anche 15-18 morti solo fra motociclisti.

La comunicazione e il sistema economia impongono modelli basati sulla velocità con pubblicità che, anche in modo subliminale, la celebrano.
E’ veramente molto difficile parlare di velocità ai ragazzi dopo che hanno partecipato a varie kermesse di moto e auto sportive, dopo che per ore hanno parlato fra loro di Barrichello e di Valentino. Nessuno spiega loro che quelle stesse moto che fanno i 300, quelle macchine che vanno come schegge, quotidianamente viaggiano su strade senza vie di fuga con sabbia, ma con alberi ai bordi e con concorrenti spesso meno performanti.

Certo il sistema di protezione del veicolo fra air-bag, cinture, abs ecc. ha aumentato di molto le condizioni di sicurezza, ma noi abbiamo del pari aumentato le velocità. Se non fosse così sulle strade ormai dovremmo essere a cifre vicine allo zero nel numero delle vittime.
Ecco allora che la fase educativa/formativa dei ragazzi è delicata, ha necessità di un linguaggio che non criminalizzi ciò che (è innegabile) attrae, ma avverta dei rischi, delle conseguenze, delle responsabilità.
Qualcuno potrà dire: ma perché allora si continuano a costruire moto e macchine che raggiungono velocità assurde? Ma è la legge dell’economia amici! La stessa che fa aprire feroci dibattiti sull’informazione dei rischi dell’alcol, per il quale si può richiamare l’attenzione sul pericolo connesso alla guida, ma senza esagerare, perché l’alcol, questo è il messaggio, in dosi giuste fa anche bene… Ma nessuno dice che non esiste una dose giusta per chi deve poi guidare. L’alcol si deve vendere, anche in piena notte, anche a un ragazzetto ventenne, patentato da poco e con una 150 cavalli sotto il sedere. E’ l’economia!La velocità e le leggi della fisica.

E’ quindi molto difficile spiegare ai ragazzi (ma non solo a loro) il fattore di rischio riconducibile alla velocità.
In una interessante lezione potremmo scomodare a scuola proprio le basi elementari delle leggi della fisica, con un significativo ma semplice esempio.
Ci aiuta una recente intervista rilasciata a "Il Centauro" da Franco Taggi, Direttore Ambiente e Traumi dell’Istituto Superiore di Sanità.

Ci dice il dr.Taggi:
Sere fa, seguendo una puntata della nota serie televisiva "Star Trek", mi ha colpito una frase che il capitano dell’Enterprise diceva ad un suo ufficiale a proposito di un problema dell’ astronave: "L’ottimismo non altera le leggi della Fisica". Parole sante. Per quanto si possano avere opinioni diverse, certamente sulla fisica possiamo essere tutti sufficientemente d’accordo. Quindi, semplificando le cose ai fini di una maggiore comprensibilità, partiamo dalla fisica.
Quando un corpo si muove uniformemente, questo possiede un’energia in proporzione al quadrato della sua velocità. Questa "energia di movimento" (energia cinetica) è anche proporzionale alla massa che si muove, e risulta:



1

Ec
=
mv2


2

dove m è la massa del mobile e v la sua velocità.
Dunque, alla stessa velocità, un camion carico ha più energia cinetica di un’automobile col solo conducente. E questo, peraltro, coincide con quello che il buon senso suggerisce.
Prescindendo dalla massa del veicolo, supposta costante, se a 20 km/h ho 400 punti di energia (20 x 20 = 400), a velocità doppia, 40 km/h, ne ho 1600 (40 x 40 = 1600): in altre parole, raddoppiando la velocità, l’energia di movimento quadruplica.
Se dobbiamo improvvisamente arrestare il nostro veicolo, ad esempio per evitare uno scontro, dobbiamo scaricare tutta questa energia, cosa che avviene per attrito, frenando. Eliminare tutta l’energia cinetica è vitale: per esempio, se siamo a 100 km/h e scarichiamo il 99% della nostra energia, quel poco che ne resta (1%) comporta un impatto non già a 1 km/h come sembrerebbe a prima vista, bensì a 10 km/h!

Se non scarichiamo tutta l’energia cinetica, all’atto dello scontro quella residua si ripercuote sulle strutture del veicolo, deformandole, e su chi sta nel veicolo stesso, provocandogli lesioni, oltre a quelle che già possono essersi verificate per la rapida decelerazione. In termini neuropsicologici il problema di fondo è che noi percepiamo i cambiamenti di velocità (accelerazioni e decelerazioni), ma non l’entità di energia cinetica che accumuliamo (N.B.: si osservi che in queste considerazioni stiamo trattando, per semplicità, le cose dal punto di vista di un solo veicolo: si tenga sempre presente però che – in caso di scontro - l’energia complessiva in gioco non è solo quella del veicolo su cui uno viaggia, ma anche quella dell’altro veicolo contro cui avviene l’impatto).

Ma torniamo alla velocità. A 130 km/h ho 16.900 punti di energia (130 x 130= 16.900), a 150 km/h ne ho 22.500 (150 x 150 = 22.500), con un incremento di energia cinetica del 33.1% rispetto a quella che avevo a 130 km/h. Consideriamo poi che a 130 km/h stiamo viaggiando a 36.4 metri al secondo, a 150 km/h a 42.0 metri al secondo. Per avere un’idea concreta di queste velocità, si pensi che un centometrista di valore (10 secondi netti) corre a poco più di 35 km/h e che un campione immaginario che riuscisse a percorrere i 100 metri in 9 secondi netti non raggiungerebbe ancora i 40 km/h (correrebbe a 39.7 km/h). D’altra parte, in caso di situazione critica, prima dobbiamo percepire i segnali "fisici" di tale situazione, poi riconoscerla come pericolosa, poi ancora decidere cosa fare ed infine farlo: e questo richiede del tempo al nostro cervello. Supponiamo che tale tempo sia circa un secondo, questo vuol dire che se siamo a 100 km/h cominciamo a frenare dopo aver percorso 28 metri dalle prime avvisaglie di pericolo; ma se abbiamo bevuto, o siamo intorpiditi dalla sonnolenza, o se siamo distratti (magari dal cellulare), o altro ancora, e ci mettiamo 2 secondi, allora la frenata comincia nei fatti dopo aver percorso 56 metri!

E’ evidente che all’aumentare della velocità si accorcia il tempo a disposizione per prendere provvedimenti e cresce lo spazio netto di frenata (quello percorso da quando si comincia a frenare sino all’arresto del veicolo), che – è bene ricordarlo – va anch’esso col quadrato della velocità (in condizioni medie, a 50 km/h, dopo aver frenato, per fermarsi ci vogliono circa 25 metri, a 100 km/h circa 100 metri). Lo spazio di frenata complessivo è quindi la somma di quello percettivo-decisionale e di quello legato all’azione frenante stessa. E’ bene inoltre aver chiaro che i tempi medi che comunemente si considerano per la durata della fase percettivo-decisionale (in genere tra 0.7 secondi – 1.5 secondi) provengono da studi di laboratorio, e sono a mio parere molto ottimistici in quanto in queste prove il soggetto si aspetta un segnale e sa cosa deve fare in risposta: non c’è molto da riconoscere né da decidere (il soggetto lo sa già). Inoltre, il soggetto sa di essere osservato e, in genere, la sua "performance" è migliore di quella che avrebbe in realtà su strada. Questo è comunque un limite che riguarda tutte le prove su simulatore. Lo spazio netto di frenata è poi molto aleatorio perché dipende in concreto, oltre che dalla velocità, dalla massa, dal sistema frenante, dallo stato dei pneumatici, dalla natura del fondo stradale, dalle condizioni atmosferiche, e da altre variabili ancora.

In conclusione, maggiore è la velocità più impegnativi – a parità di condizioni - appaiono i problemi di sicurezza.

Detto questo, però, bisogna obiettivamente considerare che lo stesso ragionamento fatto per i 130 e i 150 si può fare a ritroso, come ad esempio per i 130 km/h verso i 110 km/h: in questo caso abbiamo a 110 km/h 12.100 punti di energia e a 130 km/h 16.900, con un incremento dell’energia pari al 39.7%. E così scendendo, sino ad arrivare a velocità zero dove, tuttavia, se uno ha la sfortuna di perdere l’equilibrio o di inciampare malamente, può sempre procurarsi un brutto trauma cranico o qualche grave frattura e, al limite, anche morire.

Il vero problema, dunque, appare il seguente: dove porre al meglio il limite di velocità massima? E’ una domanda che non ha una risposta univoca: se è vero che quando il limite va verso il basso si può rallentare la circolazione; e se va troppo in alto si possono acuire i problemi della sicurezza, è anche vero che il tutto deve essere rapportato allo specifico contesto stradale (non a caso abbiamo limiti differenziati per zona urbana e zona extraurbana).

Il sistema del controllo dei limiti.

A proposito di limiti va detto qui e subito che se ci sono è perché vanno fatti rispettare, tuttavia è indiscutibile che negli ultimi anni si siano attivate troppo spesso forme di controllo generico, tese più a ripianare le casse delle amministrazioni oltraggiate dai tagli che si susseguono nelle varie finanziarie, per cui si arriva a situazioni assurde con appalti di strumenti e controlli dettati più dalle esigenze di un assessore che da reali rischi per la sicurezza. Sinceramente non mi sta bene che si proceda a forme di controllo generalizzate con misuratori di velocità che rischiano di delegittimare la norma e la sua applicazione, realizzando antipatiche e trasversali forme di solidarietà fra il violatore sistematico e pericoloso e l’occasionale conducente distratto a danno sempre dell’operatore in divisa. Stanno proliferando associazioni antiautovelox, le stesse associazioni dei consumatori dimenticando spesso colpevolmente il loro ruolo sul versante della sicurezza, si sono nettamente schierate a protezione dell’automobilista vessato. Questo è un dato che dovrebbe far riflettere. Siamo in piccolo al “dagli alla polizia” da curva sud allo stadio. Non ci siamo!

Mi spiego. Siamo del parere che anche sulla strada si debba attivare quella sorta di principio che vale nella medicina. Una appropriata cura va applicata là dove c’è la malattia. Nel caso della strada va quindi verificata, a mio parere, l’esistenza di un tratto specie se fuori dell’area strettamente urbana, oggettivamente pericoloso con una sinistrosità pregressa documentata. In sostanza non mi basta che ci sia un limite dei 50. Serve anche accertare che in quella strada si verifichino numerosi sinistri. Se negli ultimi 3 anni si sono contati 4 incidenti con danni per 2.000 euro è evidente che esiste un limite, ma non esiste un pericolo oggettivo che è il vero scopo di un severo sistema di controllo. Individuata la strada con un fattore di rischio pronunciato si dovrà sì applicare un sistema severo di controllo (la cura), ma poi si dovranno andare a verificare nel tempo i risultati, cioè il calo degli incidenti (scomparsa o diminuzione della malattia) altrimenti è evidente che la cura va cambiata.

La stessa adozione della patente a punti si sta rivelando un sistema sicuramente efficace e le percentuali in calo della sinistrosità nella prima fase di applicazione lo stanno dimostrare. Tuttavia la recente sentenza n. 27 del 2005, con l’eliminazione della possibilità di togliere punti al proprietario del veicolo, se da una parte può aver ripianato la debolezza costituzionale della norma, dall’altra ha creato un vulnus che ora è tutto da verificare come capacità di mantenere forza dissuasiva. Si dovrà adottare un sistema di controlli della velocità con fermo immediato del veicolo o identificazione dei conducenti con accertamenti frontali. Certo qualcuno ci dovrebbe spiegare poi anche come si possa prevedere di togliere 2 punti a chi viaggia fino a 176 in autostrada (fino a 200 col nuovo limite dei 150) e gli stessi 2 punti a chi non indossa il giubbotto retroriflettente se si ferma per un’urgenza in una corsia o piazzola d’emergenza.

Serve alla sicurezza diminuire la velocità media?

Detto questo però torniamo alla faccia vera della velocità: il rischio, per rispondere alla scuola di pensiero che tende a sottostimarla.
Una riduzione di 3 km/h della velocità media permetterebbe di salvare da 5.000 a 6.000 vite ogni anno in Europa, e eviterebbe da 120.000 a 140 000 incidenti, con un’economia di 20 miliardi di euro. Chi lo dice? L’Asaps?
No, si tratta del risultato di uno studio del Transport Research Laboratory del Regno Unito. Secondo le osservazioni inglesi, l’installazione di videocamere di sorveglianza automatiche specie nei tratti e incroci più pericolosi, ha portato ad una riduzione di 9 km/h della velocità media, cosa che permetterebbe, se tale diminuzione fosse generalizzata a livello dell’Unione europea, di eliminare un terzo degli incidenti e dimezzare il numero di morti sulle strade.
Crediamo che in questo studio sia racchiusa la miglior risposta a quanti insistono nel dire che la velocità non è poi la prima e più importante causa della quantità e gravità degli incidenti. Cominciamo a capire anche perché gli inglesi in pochi anni sono riusciti a far diminuire la sinistrosità del 50%, mentre in Italia ancora fatichiamo a raggiungere certi livelli.

E’ anche vero, bisogna dirlo, che, come ha spiegato il simpatico corrispondente da Londra del TG1 Antonio Caprarica, la metà dei detenuti delle carceri di sua maestà è dentro per violazioni alle regole della strada. In Italia ci sarebbe da ridere. Se un agente si vede annullato (ingiustamente) un verbale dal solito GdP, per altro neppure territorialmente competente, può trovarsi chiamato a rispondere dei danni causati al vessato automobilista in termini di stress psicologico, a fronte di un verbalotto da 68 euro, per un importo di 25.000 euro da corrispondersi entro una settimana…
Lo studio inglese costituisce tuttavia anche una stampella importante al manifesto contro i 150 nelle autostrade a 3 corsie attivato da Asaps e Sicurstrada e che ha raccolto molto consenso.

Anche se ci sembra ormai di poter affermare che l’ipotesi 150 - saremmo stati l’unico paese europeo a sperimentarla - sembra ormai definitivamente archiviata.
Mi sento di poter dire che, se fra le ragioni sociali che potevano motivare l’esistenza dell’Asaps ci fosse stata solo quella, potremmo ormai sciogliere l’associazione per raggiungimento dello scopo. Ma nello scopo sociale c’è il perseguimento di una più consistente sicurezza stradale e gli oltre 6.000 morti e 300.000 feriti che contiamo ogni anno sulle strade ci dicono che c’è ancora molto da fare. A cominciare proprio dalla velocità.




Relazione del Presidente Asaps Giordano Biserni.

Mercoledì, 01 Giugno 2005
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