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Corte di Cassazione 20/11/2014

Licenziabile chi lavora in malattia

(Cass. Civ., sez. lavoro, 07 ottobre 2014, n. 21093)

Lo svolgimento, durante il periodo di malattia, di attività lavorativa presso soggetti diversi dal proprio datore di lavoro (anche se in ambito familiare) legittima il licenziamento disciplinare del dipendente. L’eventuale compatibilità dell’attività svolta con la malattia, anche ove si tratti di depressione, deve essere provata dal lavoratore.

Questa la conclusione, coerente con la giurisprudenza maggioritaria in materia, cui è pervenuta la Suprema Corte nella sentenza in commento.

Nello specifico, il giudice di legittimità ha rigettato l’impugnativa proposta da un lavoratore, assente in malattia, licenziato perché l’azienda, in seguito agli accertamenti svolti, ha scoperto che lo stesso lavorava presso il negozio di un familiare durante la malattia.

Ad avviso del ricorrente, risultato soccombente sia in primo che in secondo grado, lo svolgimento di altra attività lavorativa durante la malattia (documentata con certificato medico) costituisce motivo di licenziamento disciplinare solo ove il dipendente:

a) abbia agito simulando la malattia;
b) si sia comportato in modo da compromettere o ritardare la propria guarigione;
c) abbia svolto un'attività oggettivamente incompatibile con lo stato di malattia o in contrasto col divieto di concorrenza.

Peraltro, sottolinea il ricorrente, le prestazioni svolte gratuitamente in favore di familiari non rappresentano attività lavorativa, specie ove consistano, come nella fattispecie, in piccoli lavori (quali, la riparazione di un elettrodomestico).

La Cassazione, invece, nel respingere il ricorso, ha accertato che il lavoratore, pur avendo denunciato una doppia malattia (depressione e cervicobrachialgia da ernia discale), aveva lavorato in maniera sistematica presso il negozio di casalinghi del fratello, svolgendo “attività non saltuarie né prive di incidenza funzionale” (quali la sistemazione della merce negli scaffali, la vigilanza sulla merce esposta, l'assistenza ai clienti dell'esercizio commerciale).

In particolare, l'attività lavorativa in questione, ad avviso del giudice di legittimità, è incompatibile con le malattie denunciate, specie ove si consideri che l'attività di sorveglianza "antitaccheggio" richiede una “costante focalizzazione dell'attenzione e contatti anche antagonistici con persone non conosciute”.

L’aspetto interessante è che per la Cassazione l’onere della prova circa la compatibilità tra tale diversa attività lavorativa e lo stato di malattia avrebbe dovuto essere assolto dal lavoratore, e non dal datore di lavoro, che aveva solo il diverso onere - nel caso, ampiamento assolto - di provare che era stata svolta attività lavorativa in favore di terzi durante la malattia.

( Nota di Giuseppina Mattiello)

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Sentenza 8 luglio - 7 ottobre 2014, n. 21093

Svolgimento del processo

Massima e Testo Integrale

 

 

da Altalex

 

 

 

Giovedì, 20 Novembre 2014
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