Circolazione veicolare: proprietario esonerato se prova la volontà contraria
Il proprietario di un motoveicolo, per non rispondere in via solidale alle infrazioni commesse dal conducente, deve dar prova che la circolazione del mezzo sia avvenuta contro la sua volontà, non semplicemente in assenza del suo consenso. L'art. 196 del C.d.S., sulla scorta del principio generale di cui all'art.6 della l. n. 689 del 1981, pone a carico del proprietario del veicolo l’obbligazione solidale al pagamento della sanzione pecuniaria elevata per l’illecito commesso, attraverso quel veicolo, dall’autore della violazione. Il citato articolo 196 C.d.S., nel contempo, concede al proprietario del veicolo, per esonerarsi da tale presunzione di responsabilità, di dar la prova che la circolazione del mezzo ha avuto luogo contro la propria volontà. Questa la motivazione svolta dalla VI Sezione Civile di Piazza Cavour, nel rigettare il ricorso proposto dalla proprietaria di un ciclomotore, che il figlio della stessa aveva prestato ad un amico.
I Carabinieri avevano fermato tale soggetto alla guida del ciclomotore intestato alla ricorrente, sprovvisto del certificato di idoneità tecnica, della copertura assicurativa nonché della targa identificativa del mezzo, contestando quindi la violazione degli artt. 116, comma 13 bis, 193, commi 1 e 2, e 97, commi 8 e 14, C.d.S. La ricorrente rispondeva di tali illeciti in qualità di obbligata in solido. Il giudice di pace rigettava il ricorso in opposizione depositato dalla donna, ritenendo insussistente la prova della circolazione del veicolo per contrarietà alla volontà della stessa. Questa proponeva quindi gravame, che il Tribunale riteneva infondato condividendo la motivazione stilata dal giudice di prime cure, con conferma della relativa sentenza.
La proprietaria del motoveicolo propone, quindi, ricorso per cassazione, asserendo la violazione dell’art. 196 C.d.S. e dell’art. 6 della L. n. 689/1981: i due giudici di merito avrebbero fatto derivare la mancata prova della volontà contraria alla circolazione del motorino, dalla circostanza, di fatto, dell’impiego dello stesso. Lamenta, inoltre, un vizio di motivazione, poiché il tribunale non avrebbe ritenuto provata la circostanza della circolazione del motorino contro la volontà della ricorrente, nonostante gli elementi offerti in giudizio. In primis la Corte riqualifica i due motivi articolati nel ricorso quali vizi di omessa o insufficiente motivazione. La Corte nell’affermare che l'iter logico seguito dal tribunale, esternato in motivazione, non è inficiato da vizi logici, richiama il proprio orientamento sul punto, riferibile all’art. 2054 c.c. ma estensibile anche agli illeciti disciplinati dal C.d.S.: "Il proprietario del veicolo, il quale intenda sottrarsi alla presunzione di responsabilità prevista dal terzo comma dell'art. 2054 c.c., non può limitarsi a provare che la circolazione sia avvenuta senza il suo consenso (invito domino), ma deve dimostrare che la stessa abbia avuto luogo "contro la sua volontà" (prohibente domino), il che postula che la volontà contraria si sia manifestata in un concreto e idoneo comportamento ostativo specificamente rivolto a vietare la circolazione ed estrinsecatosi in atti e fatti rilevatori della diligenza e delle cautele allo scopo adottate (Cass. 15521/2006; Cass. 15478/2011)”. La Corte, inoltre, ritiene che i due giudici di merito hanno valutato la “mancata volontà contraria” alla circolazione del veicolo da alcune circostanze di fatto inidonee ad inibire la circolazione medesima, quale il prelievo del veicolo, da parte del figlio, in assenza di difficoltà.
Infine la Corte concorda coi giudici di merito sul diniego di valenza probatoria della circostanza che il ciclomotore si trovasse in un locale adiacente all'abitazione della donna, nonché del fatto che il trasgressore fosse a conoscenza dell'assenza di targa e di copertura assicurativa. Ambedue le circostanze non postulano la sussistenza di quella cautela che sarebbe stata necessaria per evitare la circolazione del motorino, “quali l'occultamento delle chiavi o tutte le altre misure idonee a dimostrare la precisa volontà di non consentire l'utilizzo del mezzo”.
(Nota di Laura Biarella)
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI - 2 CIVILE
Sentenza 25 giugno - 21 ottobre 2014, n. 22318
(Presidente Petitti - Relatore D’Ascola)
Fatto e diritto
1) Alle parti è stata comunicata, ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c. relazione preliminare che, formalmente emendata, di seguito sostanzialmente si riproduce.
1.1) Con ricorso in opposizione depositato in data 20.3.2009, D.N.C. censurava la legittimità dei verbali n. (omissis) e n. (omissis), emessi dal Nucleo operativo e radiomobile dei Carabinieri di Chieti, con i quali le veniva contestata la violazione degli artt. 116, comma 13 bis, 193, commi 1 e 2, e 97, commi 8 e 14, del Codice della strada.
La ricorrente rispondeva quale obbligata in solido, in qualità di proprietaria di un ciclomotore Piaggio SP 50, per gli illeciti commessi da S.C. : quest'ultimo, a cui era stato consegnato il motorino da parte del figlio della ricorrente, era stato fermato alla guida del ciclomotore della D.N. , sprovvisto del certificato di idoneità tecnica, della copertura assicurativa e della targa identificativa del mezzo.
L'Ufficio Territoriale del Governo di Chieti si costituiva in giudizio, insistendo per il rigetto del ricorso.
Il giudice di pace di Francavilla, con sentenza pubblicata il 25.2.2010, rigettava il ricorso, a causa della mancata prova, da parte dell'opponente, della circolazione del veicolo contro la sua volontà.
Mediante atto di citazione notificato all'UTG di Chieti e al Ministero dell'Interno, D.N.C. proponeva appello.
Il Ministero dell'Interno e l'UTG di Chieti si costituivano in giudizio, domandando la conferma della sentenza impugnata.
Il tribunale dell'Aquila, con sentenza del 4.4.2012, riteneva infondato il gravame, avallando le argomentazioni utilizzate dal giudice di primo grado.
D.N.C. ha proposto ricorso per cassazione, notificato al Ministero dell'Interno e all'UTG di Chieti in data 18/19.4.2013, e articolato su due motivi.
Il Ministero dell'Interno e l'UTG di Chieti, rappresentati dall'Avvocatura Generale dello Stato, hanno resistito con controricorso.
2) Con il primo motivo di ricorso, D.N.C. lamenta la violazione degli artt. 196 Cds e 6 1.689/81, in quanto sia il giudice di pace che il tribunale sarebbero incorsi in un'evidente petizione di principio nel far derivare la mancata prova sulla circolazione del ciclomotore contro la volontà del proprietario dal fatto stesso dell'avvenuto utilizzo del mezzo.
Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia un vizio di motivazione, poiché il tribunale dell'Aquila non avrebbe ritenuto provata dall'odierna ricorrente la circostanza della circolazione contro la sua volontà, sebbene gli elementi di fatto introdotti in giudizio deponessero nel senso opposto.
2.1) Preliminarmente, va rilevato che, nonostante il verbale impugnato dalla ricorrente sia stato formato dai carabinieri, la legittimazione passiva a stare in giudizio non spetta necessariamente al Ministero della Difesa, cui risponde il corpo dei carabinieri, ma al Ministero dell'Interno: a tal proposito, l'art. 11 CdS dispone che ai servizi di polizia stradale, tra cui rientra "la prevenzione e l'accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale" (comma 1, lett. a), provvede il Ministero dell'Interno (cfr. Cass. 17189/2007).
2.2) Nel merito, i due motivi possono essere trattati congiuntamente.
Entrambi paiono prospettare, nonostante il nomen iuris utilizzato dalla ricorrente per il primo, un vizio di omessa o insufficiente motivazione.
L'art. 196 CdS, sulla scorta del principio generale affermato dall'art.6 l.689/81, estende al proprietario del veicolo l'obbligo al pagamento delle sanzioni pecuniarie per gli illeciti commessi da altri soggetti tramite quel mezzo: un'obbligazione a titolo solidale con l'effettivo autore della violazione.
Lo stesso art. 196 consente al proprietario del veicolo di esonerarsi da questa presunzione di responsabilità allorché riesca a fornire la prova che la circolazione del mezzo è avvenuta contro la sua volontà.
Tale costruzione della fattispecie è mutuata letteralmente dall'art. 2054, comma n.3, c.c., il quale disciplina l'ipotesi del danno aquiliano cagionato dalla circolazione di veicoli.
In tale ambito, la giurisprudenza di questa Corte, con considerazioni estensibili anche agli illeciti previsti dal CdS, ha chiarito la portata della clausola di esonero da responsabilità: "Il proprietario del veicolo, il quale intenda sottrarsi alla presunzione di responsabilità prevista dal terzo comma dell'art. 2054 c.c., non può limitarsi a provare che la circolazione sia avvenuta senza il suo consenso (invito domino), ma deve dimostrare che la stessa abbia avuto luogo "contro la sua volontà" (prohibente domino), il che postula che la volontà contraria si sia manifestata in un concreto e idoneo comportamento ostativo specificamente rivolto a vietare la circolazione ed estrinsecatosi in atti e fatti rilevatori della diligenza e delle cautele allo scopo adottate (Cass. 15521/2006; Cass. 15478/2011).
Inoltre, "la valutazione della diligenza del proprietario e della sufficienza dei mezzi adottati per impedire la circolazione del veicolo deve essere compiuta secondo un criterio di normalità ed in relazione al caso concreto e che il relativo accertamento è rimesso al giudice di merito, il cui giudizio, se adeguatamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità" (Cass. 15521/2006).
Nel caso in esame, sia il giudice di pace che il tribunale hanno logicamente inferito da alcuni elementi di fatto la mancata adozione di quei comportamenti necessari a inibire la circolazione del ciclomotore:
a) il figlio della ricorrente, B.M. , aveva prelevato il veicolo, per farlo visionare a S.C. , senza alcuna difficoltà;
b) il ciclomotore era privo di assicurazione obbligatoria e del certificato di circolazione, perché smarrito, come da denuncia mostrata agli agenti: di conseguenza, la ricorrente avrebbe dovuto vigilare in maniera ancor più pregnante, per evitare che il figlio utilizzasse un mezzo che non poteva circolare.
2.3) Inoltre, correttamente i giudici di merito hanno negato valenza probatoria tanto alla circostanza che il ciclomotore si trovasse in locale adiacente all'abitazione della ricorrente, quanto al fatto che S.C. , potenziale acquirente del mezzo, fosse a conoscenza dell'assenza di targa e copertura assicurativa: infatti, entrambi questi dati non postulano l'esistenza di quelle cautele adeguate, impiegate per evitare la circolazione del motorino, che sarebbero state necessarie, quali l'occultamento delle chiavi o tutte le altre misure idonee a dimostrare la precisa volontà di non consentire l'utilizzo del mezzo.
Alla luce di queste considerazioni, l'iter logico seguito dal tribunale, esternato in motivazione, non è inficiato da vizi logici.
3)11 Collegio condivide queste considerazioni, rimaste prive di controdeduzioni, sebbene la relazione preliminare sia stata ritualmente notificata.
3.1)Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, unitariamente liquidate in dispositivo, in relazione al valore della controversia, secondo il d.m. 55/14, in favore delle amministrazioni congiuntamente costituitesi.
Va dato atto della sussistenza delle condizioni per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla refusione alle amministrazioni costituite delle spese di lite liquidate in Euro 500 per compenso, oltre accessori di legge e rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater,del d.p.r. 115 del 2002, inserito dall'art. 1 comma 17 legge n. 228/2012, va dichiarata la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell'art. 1 bis dello stesso art. 13.
da Altalex