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Articoli 04/12/2014

Non punibilità dei reati minori
Lo Stato ripiega?
La frustrazione di un colpo di spugna

Di Lorenzo Borselli*

(ASAPS) Forlì, 4 dicembre 2014 – Il Consiglio dei Ministri sta lavorando a un decreto legislativo che disciplina la non punibilità gli autori dei cosiddetti reati minori, quelli cioè per i quali è prevista una pena nel massimo non superiore a 5 anni o una semplice sanzione pecuniaria: secondo le prime esplorazioni giuridiche, si tratta di reati come il furto semplice o della truffa, ma anche del danneggiamento o dell’interruzione di pubblico servizio e seguendo questa logica anche la violenza privata o la guida in stato di ebbrezza.

Se qualcuno sostiene che in fondo si tratterebbe del classico esempio del furto di una mela, qualcun altro oppone l’esempio di una truffa all’anziano.
Ok, dovrà sempre trattarsi di un fatto contraddistinto da tenuità o di un fatto occasionale, ma come si farà ad arrivare alla condanna di qualcuno se ogni volta il procedimento penale che lo vede indagato non si concluderà?
Perché senza condanne, nessuna abitudine al crimine verrà sancita.

Il Sole 24 ora ha pubblicato qualche settimana fa la prima stima dei reati denunciati in Italia nel corso del 2013 e il dato ci dice cose che non vorremmo sentire: quasi 2,9 milioni di delitti, il 2,6% in più rispetto al 2012. Crescono rapine, furti, truffe e  frodi informatiche: vero è che sembrerebbe cresciuta anche la risposta in termini di polizia – nel senso che è aumentato del 10% il numero degli autori di reato arrestati o denunciati – ma ciò che poi accade nelle aule dei Tribunali, francamente, è quasi impossibile saperlo.

Le grandi inchieste fanno notizia, gli inviati delle tv si precipitano sulle scene dei crimini più efferati, ma c’è una parte di Paese che subisce lo stillicidio di piccoli reati, anche quelli di particolare “tenuità”, che già oggi difficilmente si conducono al termine con una condanna.
Dunque, al cittadino cui qualcuno ruba una mela o truffa soldi su internet, a colui che si vede la macchina sgraffiata o la facciata dipinta da un vandalo (che oggi si chiama  writer), che viene minacciato per strada, che ritarda perché il conducente del bus è costretto a cedere alle minacce di qualcuno, cosa dovremo dire?

La faccia è sempre la nostra, perché restando obbligatorio l’esercizio dell’azione penale e dovendosi rimandare alle successive fasi del procedimento penale l’archiviazione di un procedimento per i reatucci bagatellari di cui parla lo schema del decreto, noi dovremo comunque continuare a ricevere le denunce, ad esperire le indagini di polizia giudiziaria, a comporre le notizie di reato e a trasmetterle in Procura.
Quindi, la polizia deve comunque lavorare.
Poi, solo poi, il Pubblico Ministero – verificato che il presunto autore non sia un delinquente abituale, che non concorrano altri reati e che il fatto sia comunque tenue – potrà chiedere l’archiviazione, atto al quale la persona offesa potrà comunque opporsi entro 10 giorni.

Cioè il derubato della mela, cui dovrebbe essere notificata la richiesta del Pubblico Ministero (con altri aggravi di spesa, perché una notifica costa mille volte di quanto effettivamente pesa), dovrebbe scrivere un’impugnazione e motivarla, perché in Italia non basta barrare una casella accanto a un perché sì o a un perché no, ma non è detto che del suo parere poi se ne tenga conto.
Il GIP potrà decidere successivamente, anche quando il Procuratore sia andato avanti con le indagini.

Aumenteranno, ve lo diciamo con assoluta certezza, la frustrazione di chi ci mette la faccia quando il cittadino si rivolge all’autorità per chiedere aiuto o giustizia, e la frustrazione del cittadino che sostanzialmente non si sentirà più sicuro, che vedrà disgregarsi il tessuto sociale che dovrebbe difenderlo o comunque prendere le parti della vicenda che lo vede coinvolto. Pensate a una disputa tra condomini, ai pugni presi durante una lite al semaforo, al cliente vittima di una frode in commercio: chi penserà a loro? Chi darà il segnale che lo Stato c'è?

In un momento come questo, è normale che lo Stato ripieghi?
La sicurezza è un argomento complesso: per darne quanta ne serva a una comunità bisogna fare in modo che i suoi cittadini si sentano sicuri nella propria casa, nel proprio condominio, sul posto di lavoro, in strada. È necessario che quando qualcuno mini la sicurezza di qualcuno violando le regole del patto sociale, il violato possa contare sulla fiducia nel governo e nei rapporti quotidiani con i funzionari pubblici che lo rappresentano.
Sentirsi sicuri in casa, in strada, nella comunità di cui si fa parte, significa avere opportunità di cure, di istruzione o di lavoro, indipendentemente dal genere, dalla religione o dall’etnia.

Ma per essere sicuri, bisogna poter contare sull’inviolabilità dei diritti e nella certezza di potersi avvalere di un adeguato mezzo di tutela, qualora tali diritti siano violati. L'esercizio obbligatorio dell'azione penale inceppa spesso i meccanismi di una giustizia lenta, male in arnese, farraginosa nelle procedure e nelle burocrazie ma in un paese in cui corruzione e clientelismi sembrano sempre farla da padrona, l'idea di un colpo di spugna così, ci fa proprio male. (ASAPS)

*Sovrintendente della
Polizia Stradale

 


 

Un argomento che diventerà oggetto di parecchie discussioni e considerazioni, cominciamo a parlarne. (ASAPS)

Giovedì, 04 Dicembre 2014
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