Stupefacenti: la Cassazione detta le regole per stabilire la quantità ingente
Ai fini della determinazione della "quantità ingente" di sostanza stupefacente, per effetto dell'espressa reintroduzione della nozione di quantità massima detenibile, ai sensi dell'articolo 75, comma 1 bis, del dpr n. 309 del 1990, come modificato dalla legge 16 maggio 2014, n. 79, di conversione, con modificazioni, del decreto legge 20 marzo 2014, n. 36, mantengono validità i criteri basati sul rapporto tra quantità di principio attivo e valore massimo tabellarmente detenibile, secondo i principi già espressi dalla sentenza delle Sezioni unite, 24 maggio 2012, Biondi.
La sentenza è molto interessante perchè, tra le prime, affronta la tematica dei criteri utilizzabili per stabilire quando ricorra il “quantitativo ingente” di droga idoneo ad integrare l’aggravante di cui all’articolo 80, comma 2, del dpr n. 309 del 1990, dopo il radicale rivolgimento normativo determinato, in materia, dalla nota sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale e dagli interventi normativi che ad essa sono seguiti.
La tematica
Per inquadrare il tema, sono due i profili che vanno esaminati, per la corretta ricostruzione dell’aggravante della quantità ingente.
In primo luogo quello dell’apprezzamento del quantitativo rilevante per la configurabilità dell’aggravante.
In secondo luogo il rilievo che, appunto, possa esserne derivato dal novum normativo indotto dalla sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale e dalle successive modifiche normative.
La determinazione del quantitativo “ingente”.- Sotto il primo profilo, assume immediato rilievo la sentenza delle Sezioni unite, 24 maggio 2012, Biondi, laddove si è affermato che: “La circostanza aggravante dell’ingente quantità di sostanza stupefacente, prevista dall’articolo 80, comma 2, del dpr 9 ottobre 1990 n. 309, non è di norma ravvisabile quando la quantità sia inferiore a “2000 volte” il valore massimo in milligrammi (valore-soglia), determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al dm 11 aprile 2006, ferma restando la discrezionale valutazione del giudice di merito, quando tale quantità sia superata”.
Le Sezioni unite, come è noto, hanno cioè cercano di ricostruire i parametri valutativi rilevanti ai fini della configurabilità della circostanza aggravante.
E’ un tema delicato, dovendosi dare applicazione ad una nozione “elastica”, quale appunto quella dell’”ingente quantità”, rimessa alla concreta determinazione del giudice.
Sul punto, in effetti, è principio giurisprudenziale senz’altro consolidato quello secondo cui la circostanza aggravante dell’ingente quantità ricorre quando il quantitativo della sostanza stupefacente, pur non raggiungendo valori massimi, sia tale da creare condizioni di agevolazione del consumo nei riguardi di un “elevato” numero di tossicodipendenti, secondo l’apprezzamento del giudice di merito (cfr., tra le tante, Sezioni unite, 21 giugno 2000, Primavera ed altri; di recente, Sezione VI, 3 marzo 2010, Iadonisi).
Ciò non toglie che, volendo passare dall’astrattezza del principio alla applicazione concreta, il portato dell’aggravante ha scontato e sconta quasi inevitabili margini di indeterminatezza, forieri di applicazioni non coerenti, magari a fronte dello stesso quantitativo di sostanza stupefacente.
Quando può dirsi “elevato” il numero dei tossicodipendenti il cui fabbisogno può trovare soddisfazione con l’immissione sul mercato della sostanza? Vi sono limiti quantitativi minimi della sostanza al di sotto dei quali deve escludersi la configurabilità dell’aggravante?
E’ situazione che ha suscitato dubbi di costituzionalità della norma, sotto il profilo del rispetto del principio di determinatezza, aspetto del più generale principio di legalità presidiato dall’articolo 25, comma 2, della Costituzione (ma cfr. anche articolo 7 della CEDU). Dubbi sempre esclusi con l’argomento che nel nostro sistema penale il comportamento da ritenersi penalmente sanzionato deve essere necessariamente descritto con grande precisione, ma ciò non esclude che il legislatore lasci al giudice la sua valutazione se, nel caso concreto, tale comportamento per la sua entità debba essere considerato aggravato o attenuato, consentendo in tal modo alla giurisprudenza di stabilire – sulla base degli innumerevoli e mai predeterminabili casi della vita- i criteri più idonei per valutare tale entità (cfr. Sezione VI, 7 ottobre 2009, Proc. gen. App. Napoli in proc. Guida ed altri).
Il contrasto di giurisprudenza
E’ stato un tema a lungo controverso non essendovi stata concordia, in giurisprudenza, sulle modalità con cui dare “concretezza” alla fattispecie incriminatrice, attraverso una affidabile ricostruzione della nozione di “quantità ingente”.
La ragione dell’intervento delle Sezioni unite è stato infatti imposto dalla presenza di due orientamenti diametralmente opposti.
Da un lato, l’orientamento secondo cui, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante dell’ingente quantità di sostanza stupefacente, prevista dall’articolo 80, comma 2, del dpr 9 ottobre 1990 n. 309, non compete al giudice di legittimità indicare in via generale i limiti quantitativi minimi rilevanti e spetta, piuttosto, al giudice di merito procedere al relativo apprezzamento, che dovrà essere effettuato tenendo conto dei parametri, già fissati dalla sentenza delle Sezioni unite, 21 giugno 2000, Primavera ed altri, della oggettiva eccezionalità del quantitativo, del grave pericolo che lo smercio di un tale quantitativo può determinare per la salute pubblica e della possibilità del quantitativo oggetto della condotta di soddisfare le richieste di numerosissimi consumatori per l’elevatissimo numero di dosi ricavabili (cfr., principalmente, Sezione IV, 3 giugno 2010, Iberdemaj; ma anche, tra le altre, Sezione IV, 1° febbraio 2011, Ardizzone; Sezione IV, 11 marzo 2011, Sarda; Sezione IV, 18 maggio 2011, Zyko ed altro).
Dall’altro, l’orientamento, formatosi presso la VI Sezione della Cassazione, che si è invece espresso a favore della ammissibilità della prefissazione di limiti quantitativi minimi della sostanza da parte della stessa Cassazione, per soddisfare un’esigenza di concretezza e di uniformità valutativa, ed ha quindi ha cercato di “quantificare” i presupposti dell’aggravante di cui all’articolo 80, comma 2, del dpr n. 309 del 1990, arrivando ad affermare che non possono, di regola, definirsi “ingenti” quantitativi di droghe “pesanti” (eroina e cocaina) che, presentando un valore medio di purezza per il tipo di sostanza, siano al di sotto dei due chilogrammi; e quantitativi di droghe “leggere” (hashish e marijuana) che, sempre in considerazione di una percentuale media di principio attivo, non superino i cinquanta chilogrammi (la sentenza “capofila” è Sezione VI, 2 marzo 2010, Castrogiovanni; ma v. anche, tra le altre, Sezione VI, 2 marzo 2010, Mtumwa; Sezione VI, 4 novembre 2010, Pelumbi; Sezione VI, 4 novembre 2010, Immorlano).
Il principio di diritto delle Sezioni unite
Chiamate a risolvere il contrasto, le Sezioni unite hanno seguito, sia pure solo “metodologicamente”, il secondo orientamento, nel senso che hanno ritenuto necessario e possibile una predeterminazione giudiziale dei parametri determinativi rilevanti per l’individuazione della nozione di quantità ingente.
A tal fine, però, con impostazione innovativa, hanno considerato di poter valorizzare, come base di partenza, il dato dei “limiti-soglia” indicati nella tabella allegata al dm 11 aprile 2006 [si tratta, come è noto, della quantità massima detenibile” (Q.M.D.), espressa in mg., al di sotto della quale si “presume” l’uso personale dello stupefacente], sul rilievo che trattasi di criterio utilmente rinvenibile nella disciplina sanzionatoria degli stupefacenti apprestata dal legislatore.
Il passaggio successivo è stato quello di determinare il valore di riferimento rilevante per la determinazione della nozione della quantità ingente. In proposito, la Corte ha ritenuto di poter considerare il valore di “2000”, che è stato ricavato – si legge in motivazione- dalla disamina di una casistica cui ha proceduto l’Ufficio del Massimario della Cassazione sulle decisioni di merito oggetto di ricorso per cassazione.
In definitiva, secondo il ragionamento delle Sezioni unite, perché si abbia la quantità ingente di sostanza stupefacente, di cui all’articolo 80, comma 2, del dpr n. 309 del 1990, il quantitativo della droga non può essere inferiore di “2000” volte il valore soglia, espresso in mg., indicato nella tabella allegata al dm 11 aprile 2006.
A conferma che le Sezioni unite hanno seguito solo metodologicamente l’impostazione della VI Sezione, va osservato che a base del criterio determinativo della quantità ingente è stato considerato il “principio attivo”, e non il valore ponderale globale della sostanza: infatti, la base di calcolo è fondata sui valori soglia stabiliti nella tabella ministeriale, che risultano costruiti avendo riguardo al principio attivo e, quindi, alla sostanza “pura”.
Esemplificando: per l’hashish, il quantitativo massimo di principio attivo detenibile è pari a mg. 500 [non 1000, come sembrano ritenere, in parte motiva, le Sezioni unite, che, probabilmente, non tengono conto che il dm 4 agosto 2006, che aveva aumentato da mg. 500 a mg. 1000 il quantitativo massimo detenibile, è stato annullato dal TAR Lazio, Sezione III, sentenza 21 marzo 2007 n. 2487], giusta le indicazioni contenute nella tabella allegata al dm 11 aprile 2006, onde deve ritenersi sussistente l’aggravante, in ossequio alle indicazioni delle Sezioni unite, allorquando il quantitativo detenuto di principio attivo non sia inferiore a kg. 1.
Per la cocaina, invece, il quantitativo massimo di principio attivo è pari a mg. 750, onde deve ritenersi sussistente l’aggravante allorquando il quantitativo detenuto di principio attivo non sia inferiore a kg.1,5.
Per l’eroina, il cui quantitativo massimo è pari a mg. 250, il quantitativo per l’aggravante deve essere non inferiore a kg.0,5.
Per la marijuana, il quantitativo massimo di principio attivo è pari a mg. 500, onde l’aggravante è configurabile allorquando il quantitativo di principio attivo non sia inferiore a kg. 1.
Volendo concretizzare l’indicazione delle Sezioni unite, l’operazione ricostruttiva va fatta apprezzando il quantitativo lordo della sostanza, moltiplicato per la percentuale di principio attivo, diviso, poi, per 100.
Non è questa la sede per approfondire oltre, anche relativamente ad alcuni profili critici della sentenza delle Sezioni unite.
E’ sufficiente apprezzare lo sforzo fatto per dare una “guida” ai giudici di merito, onde garantire, laddove possibile, soluzioni uniformi.
Ed è altresì sufficiente osservare che le stesse Sezioni unite, evidentemente consapevoli che il ruolo della giurisprudenza è diverso da quello del legislatore, nel fondare il criterio basato sul tasso-soglia e sul moltiplicatore lo hanno poi ridimensionato, facendo salva “la discrezionale valutazione del giudice di merito”: ciò sia nel caso in cui la soglia sia stata superata, sia nel caso in cui il parametro quantitativo non risultasse superato [cfr. il 15.4 della motivazione].
Le Sezioni unite, in definitiva, hanno escluso qualsivoglia “automatismo” applicativo, vuoi che il quantitativo abbia superato di 2000 volte il valore soglia, vuoi che ciò non sia avvenuto: il tema della sussistenza/insussistenza dell’aggravante non può quindi risolversi sulla base di una valutazione solo “matematica”, occorrendo pur sempre una valutazione sui dati processuali, che compete doverosamente al giudice, il quale deve in proposito fornire adeguata motivazione.
La soglia stabilita dalla Corte definisce perciò tendenzialmente il quantitativo minimo, nel senso che, al di sotto di essa, l’ingente quantità non potrà di regola essere ritenuta; al di sopra, viceversa, deve comunque soccorrere la valutazione in concreto del giudice di merito.
In altre parole, il parametro quantitativo non determina – di per sé e automaticamente- se superato, la configurabilità dell’aggravante, giacchè il giudice deve pur sempre dare conto della ravvisata sussistenza dell’aggravante, valorizzando le circostanze del caso concreto [mercato di destinazione della droga, numero dei tossicodipendenti rifornibili, oggettiva eccezionalità del sequestro in relazione all’area di interesse, ecc.] [“…l’aggravante non è di norma ravvisabile quando la quantità sia inferiore a 2000 volte il valore-soglia, ferma restando la discrezionale valutazione del giudice di merito quando tale quantità sia superata…].
Tale parametro piuttosto vale in negativo, nel senso che al di sotto di esso l’aggravante deve, in linea di massima, ritenersi non sussistente.
Il giudice anche in tale ultimo caso non è interdetto dalla possibilità di ritenere l’aggravante; come, nello stesso modo, il giudice non è interdetto dalla possibilità di escludere l’aggravante nonostante il superamento del limite quantitativo indicato dalle Sezioni unite.
In entrambi i casi occorre una specifica motivazione, che deve essere maggiormente rigorosa nel primo caso, qualora dovesse ritenersi la configurabilità dell’aggravante pur in presenza di una quantità inferiore a 2000 il valore soglia, invertendosi, in tal caso, il rapporto tra regola (che esclude la configurabilità dell’aggravante) ed eccezione (che solo in casi eccezionali consente di ritenerla).
I principi delle Sezioni unite alla “prova” della Corte costituzionale
Come accennato, con riferimento al secondo profilo di interesse, il novum normativo indotto dalla sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale ha posto l’interprete di fronte alla pratica impossibilità di fare ricorso al parametro valutativo indicato dalle Sezioni unite.
Ciò perché l’incostituzionalità del sistema sanzionatorio introdotto dalla legge Fini-Giovanardi n. 49 del 2006 ha travolto anche il dm 11 aprile 2006 che, contenendo il riferimento alla Q.M.D., riverberava, indirettamente, i propri effetti anche ai fini della persistente utilizzabilità dei principi espressi dalle Sezioni unite.
Sul punto, nessun ausilio era venuto dal primo intervento in materia del legislatore, contenuto nel decreto legge n. 36 del 2014, ingiustificatamente silente.
I problemi sono stati invece risolti con la legge di conversione n. 79 del 2014, stavolta attenta al tema.
Rilevano due importanti disposizioni.
In primo luogo, quella dell’articolo 2, laddove si prevede che dalla data di entrata in vigore della legge riprendono ad avere effetto a produrre effetti gli atti amministrativi adottati sino alla data di pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014: tra questi, certamente, il richiamato dm 11 aprile 2006 e l’ivi contenuta disciplina della Q.M.D.
In secondo luogo, il disposto del nuovo articolo 75, comma 1 bis del dpr n. 309 del 1990, che nel fornire i parametri probatori utili per dimostrare l’illecito amministrativo [ma, anche, all’evidenza, quello penale] attribuisce valenza al parametro della “quantità” della droga ed al decreto ministeriale di riferimento , appunto il dm 11 aprile 2006.
In sostanza, oggi risulta recuperato [almeno allo stato e salva successiva determinazione ministeriale] il decreto dell'11 aprile 2006, adottato dal Ministro della salute, di concerto con il Ministro della giustizia, contenente l'indicazione dei limiti quantitativi massimi delle sostanze stupefacenti e psicotrope, riferibili ad un uso esclusivamente personale.
E tale decreto bene è utilizzabile anche per stabilire la quantità ingente, facendo ricorso alle indicazioni operative delle Sezioni unite.
La sentenza
In questo senso è espressamente la sentenza qui pubblicata, ma anche la precedente sentenza della Sezione IV, 20 giugno 2014, Jitaru ed altri.
La sentenza in esame, in realtà, è di interesse perché prende espressamente le distanze da una precedente decisione [Sezione III, 21 maggio 2014, Amato], secondo cui la modifica del sistema tabellare realizzata per effetto del decreto legge n. 36 del 2014, convertito in legge n. 79 del 2014 [droghe pesanti: tabelle I e III; droghe leggere: tabelle II e IV; tabella dei medicinali], imporrebbe una nuova verifica in ordine alla sussistenza dell’aggravante della quantità ingente, “in considerazione dell’accresciuto tasso di modulazione normativa, difficilmente compatibile con una interpretazione tendenzialmente solo aritmetica di tale aggravante”. Secondo questa ultima sentenza, in sostanza, sarebbe necessaria una rivalutazione ab imis dei criteri stabiliti dalle Sezioni unite, in ragione del ritorno alla distinzione tra “droghe leggere” e “droghe pesanti”.
In realtà, ci sembra che una soluzione adeguata possa essere trovata ricordando che le stesse Sezioni unite, pur introducendo un criterio “matematico”, hanno escluso qualsivoglia automatismo applicativo: ergo, a maggior ragione oggi è pur sempre imposta al giudice una rigorosa verifica delle circostanze del caso concreto, rispetto alla quale il superamento/non superamento del limite di “2000” volte la Q.M.D. è criterio guida, ma non assoluto.
Esito del ricorso
Rigetto.
Precedenti giurisprudenziali
Riferimenti normativi:
D.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 80, comma 2.
(Nota di Giuseppe Amato tratta da Il Quotidiano Giuridico Wolters Kluwer)
Sentenza 19 novembre 2014, n. 47907