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Danno, risarcimento, danneggiato, rischio, esposizione, gara clandestina

(Cass. Civ. , Sez. III, 26 maggio 2014 n. 11698)

L'esposizione volontaria ad un rischio, o, comunque, la consapevolezza di porsi in una situazione da cui consegua la probabilità che si produca a proprio danno un evento pregiudizievole, è idonea ad integrare una corresponsabilità del danneggiato e a ridurre, proporzionalmente, la responsabilità del danneggiante, in quanto viene a costituire un antecedente causale necessario del verificarsi dell'evento, ai sensi dell'art. 1227, co. 1 c.c., e, a livello costituzionale, risponde al principio di solidarietà sociale di cui all'art. 2 Cost. avuto riguardo alle esigenze di allocazione dei rischi (riferibili, nella specie, all'ambito della circolazione stradale) secondo una finalità comune di prevenzione, nonché al correlato obbligo di ciascuno di essere responsabile delle conseguenze dei propri atti. (Nella specie, in applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva ritenuto sussistente il concorso di colpa del danneggiato per aver partecipato come passeggero ad una gara automobilistica clandestina). (1)

    (*) Fonte: CED Cassazione. Riferimenti normativi: artt. 1227, co. 1 e 2054, co. 1 c.c.; art. 2 Cost.
    (1) Cfr. Cass. Civ., sez. III, sentenza 13 maggio 2011, n. 10526 e Cass. Civ., SS.UU., sentenza 21 novembre 2011, n. 24406.

(Massimario.it - 33/2014)

 

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 3 aprile – 26 maggio 2014, n. 11698

(Presidente Segreto – Relatore Rubino)

Svolgimento del processo

 

To.Ma., A. e M., nonché G.M.T. convenivano in giudizio M.S., la Universo Ass.ni s.p.a. e L'Assitalia — le Ass.ni d'Italia s.p.a. per sentirli condannare al risarcimento dei danni loro dovuti a seguito della morte di T.P., rispettivamente fratello e figlio delle parti, avvenuta nella notte del (omissis), allorché l'auto di proprietà e condotta dal M., sulla quale il T. era trasportato, si ribaltava nel corso di una gara clandestina di velocità tra veicoli.

Il Tribunale di Roma, con sentenza del 2000, condannava in solido il M. e la compagnia di assicurazioni Assitalia, quale impresa designata, essendo il veicolo del M. risultato privo di copertura assicurativa, a risarcire il danno nella misura del 50% del totale, ritenuto un pari contributo causale da parte dell'infortunato nel verificarsi dell'evento, avendo il T. scientemente preso parte alla gara di velocità vietata.

I T. proponevano appello, anche nella qualità di eredi della Germani, nel frattempo defunta, e la Corte d'Appello di Roma, con la sentenza n. 2520 del 2007 impugnata, rigettava il gravame confermando integralmente la sentenza di primo grado e compensando le spese di lite.

T.A. e T.M. , in proprio e quali eredi di T.P. , To.Ma. e G.M.T., propongono un motivo di ricorso per cassazione (al termine del quale sottopongono alla Corte due distinti quesiti di diritto) avverso la sentenza n. 2520 del 2007, emessa in data 5.6.2007 dalla Corte d'Appello di Roma nei confronti dell'Ina Assitalia s.p.a. (già Assitalia — Le Assicurazioni d'Italia s.p.a.) nonché di M.S. e della Universo Ass.ni s.p.a.

L'Ina Assitalia resiste con controricorso.

Le altre parti intimate non hanno svolto attività difensiva.

I ricorrenti hanno depositato memorie illustrative.

Motivi della decisione

Con l'unico motivo di ricorso i T. deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2054 c.c., 1 e 4 della legge n. 990 del 1969, 112, 115 e 116 c.p.c. nonché il vizio di carente, illogica e contraddittoria motivazione, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3, 4 e 5 c.p.c. laddove la sentenza di appello ha rigettato la loro impugnazione sull'assunto che al T.P. , terzo trasportato deceduto in occasione della gara automobilistica vietata, si dovesse attribuire un concorso di colpa al 50% in quanto, con la sua volontaria scelta di partecipare ad una gara di velocità, al fianco del conducente M., poneva in essere uno dei presupposti causali per il verificarsi dell'incidente in cui lui stesso rimase ucciso, non potendogli essere sfuggito il rischio a cui si sottoponeva, in relazione al quale poteva ritenersi o che l'avesse preventivamente accettato, o quanto meno che non l'avesse debitamente evitato pur essendone consapevole.

I ricorrenti contestano le affermazioni contenute nella sentenza di merito in quanto le ritengono contrastanti con le norme di cui agli artt. 1 e 4 della legge n. 990 del 1969, in base alle quali il terzo trasportato ha sempre diritto all'integrale risarcimento del danno da parte del responsabile del sinistro.

Contestano inoltre che il comportamento del T., quand'anche questi fosse stato consapevole del rischio al quale andava a sottoporsi partecipando al fianco dell'amico alla gara notturna e lo avesse scientemente accettato, potesse esplicare alcun contributo causale nel verificarsi del sinistro, essendo stato il sinistro esclusivamente provocato dalla condotta del conducente, pure descritta nella sentenza impugnata.

Evidenziano che la sentenza di merito ha errato anche laddove ha ritenuto che la presunzione di responsabilità in capo al conducente del veicolo ed in favore del terzo trasportato, ex art. 2054 primo comma c.c., possa essere superata pur in difetto della prova, da parte del conducente, di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.

Sostengono anche l'esistenza di una carenza di motivazione, laddove la corte territoriale non spiega in che modo la consapevolezza di sottoporsi al rischio, da parte del trasportato, possa aver contribuito a determinare l'evento dannoso, incidendo sulla imprudenza e imperizia alla guida di un altro soggetto.

Infine, denunciano una carenza di motivazione, ed anche una omessa pronuncia, laddove la corte territoriale, senza tener conto della loro domanda subordinata, ha quantificato il concorso di colpa del trasportato nel 50% piuttosto che in altra percentuale.

A conclusione dei loro rilievi, i ricorrenti sottopongono alla Corte un duplice quesito:

1) se la mera contezza della più o meno elevata probabilità che si produca un evento dannoso possa, allorquando ad essa non si riconnetta alcuna azione od omissione riconducibile entro il materiale iter causativo dell'evento stesso, integrare responsabilità o corresponsabilità ai sensi dell'art. 2043 c.c.;

2) se, nell'irrisultanza di condotte del terzo trasportato materialmente interferenti sulle operazioni di guida di un veicolo, possa ritenersi inoperante la presunzione di cui al primo comma dell'art. 2054 c.c.

L'Ina Assitalia s.p.a. nel suo controricorso osserva che i ricorrenti trascurano di considerare che la corte d'appello ha fondato la sua decisione su un coinvolgimento effettivo nella gara del T., che non era un semplice trasportato di cortesia ma che aveva concordato con gli altri partecipanti le regole di ingaggio e quindi, posto a fianco del conducente, aveva agito come navigatore o secondo pilota, come nella gare di rally.

Non poteva quindi considerarsi un mero trasportato di cortesia, cui si applica la presunzione di cui all'art. 2054 primo comma c.c. ma piuttosto un attivo compartecipe rispetto ad una competizione automobilistica particolarmente rischiosa. Sostiene pertanto la compagnia di assicurazioni che il giovane trasportato non potesse giovarsi della presunzione ma, al contrario, che il suo comportamento era stato riconosciuto come eziologicamente rilevante ai fini del verificarsi dell'evento dannoso.

In merito al quantum della responsabilità, osserva la compagnia di assicurazioni che la corte d'appello, avendo ritenuto infondati i motivi d'appello, aveva confermato integralmente la sentenza di primo grado.

Il ricorso non può essere accolto.

La sentenza impugnata va confermata, avendo fatto corretto uso del principio di diritto secondo il quale il concorso colposo del danneggiato, che comporta ex art. 1227 primo comma c.c. la conseguente e proporzionale riduzione della responsabilità del danneggiarne, è configurabile non solamente in caso di cooperazione attiva del danneggiato nel fatto dannoso posto in essere dal danneggiante ma in tutti i casi in cui il danneggiato si esponga volontariamente ad un rischio superiore alla norma, in violazione di norme giuridiche o di regole comportamentali di prudenza avvertite come vincolanti dalla coscienza sociale del suo tempo, con una condotta (attiva o omissiva che sia) che si inserisca come antecedente causale necessario nel processo causale che culmina con il danno da lui subito.

La fattispecie sottoposta all'esame della Corte concerne la vicenda di un giovane che, salito di sua volontà sulla vettura condotta da un amico per partecipare ad una gara clandestina e notturna tra automobili, rimaneva ucciso a seguito delle ferite riportate nell'incidente verificatosi allorché il conducente della vettura sulla quale era trasportato perdeva il controllo della macchina, che usciva di strada ribaltandosi.

La questione da esaminare è quindi se il comportamento del soggetto danneggiato che consiste nella sua volontaria esposizione al rischio possa integrare il concorso di colpa del danneggiato, rilevante ai sensi dell'art. 1227 primo comma c.c. ai fini della proporzionale riduzione della responsabilità del danneggiante, anche se rimanga accertato che il danneggiato non abbia influito sulla condotta di guida del conducente, contribuendo positivamente al verificarsi dell'incidente e quindi se, con riguardo alla fattispecie concreta, la scelta imprudente del trasportato di partecipare ad una corsa vietata possa superare in tutto o in parte la presunzione di responsabilità esclusiva del conducente e del proprietario dettate dall'art. 2054 c.c. a tutela della posizione del trasportato stesso.

Qualora si ritenesse di affermare che la esposizione volontaria al rischio può concorrere a causare il danno subito da un soggetto, dovrà poi individuarsi la soglia del rischio superata la quale ciascuno può essere ritenuto responsabile — almeno in parte – dei danni che subisce per un accadimento non direttamente da lui provocato, ma al quale si espone.

Deve ritenersi, sulla base delle considerazioni che seguono, che anche la mera consapevolezza da parte di un soggetto di porsi in una situazione da cui consegua una più o meno elevata probabilità che si produca a suo danno un evento pregiudizievole — ovvero l'esposizione volontaria al rischio -, a cui non sia collegata alcuna azione o omissione di un comportamento avente un diretto apporto causale rispetto al verificarsi del sinistro, possa integrare una corresponsabilità del danneggiato. Nel caso di specie, poiché l'evento infausto si è verificato in conseguenza di una gara vietata di autoveicoli, e quindi si applicano le norme sulla responsabilità civile automobilistica, l'esposizione volontaria al rischio del trasportato rileva non fino al punto di rendere inoperante la presunzione di responsabilità in capo al conducente, di cui all'art. 2054 primo comma c.c., ma nel senso di ridurre proporzionalmente l'area di responsabilità del danneggiante, in quanto essa viene a costituire un antecedente causale necessario del verificarsi dell'evento.

Occorre infatti collocarsi nella corretta prospettiva secondo la quale con l'accettazione consapevole del rischio il trasportato ha posto in essere un antecedente causale non del fatto dannoso complessivo, ovvero del sinistro in cui sono rimasti coinvolti lui e il danneggiante (nel caso di specie, dell'incidente stradale) ma dell'evento che si è verificato a suo carico (la lesione alla propria integrità fisica) e pertanto non ne può far gravare tutta la responsabilità su altro soggetto.

Non si ritiene di poter condividere quanto affermato dall'unico precedente specifico di questa Corte sul punto (Cass. n. 27010/2005), anch'esso relativo ad un incidente stradale con accettazione del rischio in capo al trasportato da un conducente che si trovava in quel caso in stato di ebbrezza, la cui massima così recita: "Il primo comma dell'art. 1227 cod. civ. concerne il concorso colposo del danneggiato, configurabile solamente in caso di cooperazione attiva nel fatto colposo del danneggiante (Nell'affermare il suindicato principio la S.C. ha escluso la configurabilità di un concorso colposo del danneggiato nella mera accettazione, da parte del medesimo, del trasporto su autovettura con alla guida conducente in evidente stato di ebbrezza, non assurgendo tale condotta a comportamento materiale di cooperazione incidente nella determinazione dell'evento dannoso)".

Tale sentenza in primo luogo traeva le mosse da una nozione di concorso di colpa del danneggiato eccessivamente ristretta alla luce della consolidata giurisprudenza in materia, in quanto ridotta alla sola azione positiva, con esclusione della rilevanza del comportamento omissivo (nel senso che il concorso di colpa del danneggiato possa conseguire sia ad una azione che ad una omissione v. per tutte, da ultimo, Sezioni Unite, sent. n. 24406 del 2011 nonché, in materia di circolazione stradale, la cospicua giurisprudenza che costantemente riconosce il concorso di colpa del passeggero che non abbia allacciato le cinture di sicurezza).

Inoltre, la suddetta sentenza identificava l'evento dannoso subito dal danneggiato, rispetto al quale soltanto poteva rilevare un comportamento concausale, nel sinistro stradale stesso, con la conseguenza che la responsabilità dell'incidente non potesse essere addebitata che al solo conducente dell'auto (o eventualmente ad altri soggetti esterni all'auto che avevano dato causa al verificarsi dell'incidente), e non al trasportato che nell'occorso non si ingeriva in alcun modo nella conduzione dell'auto e rivestiva un ruolo puramente passivo.

Senonchè ai fini di individuare correttamente l'evento dannoso, in relazione al quale si pone il problema del concorso di colpa del soggetto danneggiato, occorre avere riguardo non solo all'incidente stradale in sé considerato, con la conclusione che esso si sarebbe in ogni caso verificato, anche se il trasportato non fosse salito in macchina adottando un'evidente regola prudenziale, ma occorre considerare l'intera serie causale all'interno della quale occorre individuare l'evento dannoso da lui subito (la lesione), da cui consegue poi il danno risarcibile per cui egli ha instaurato la causa.

L'evento dannoso per il danneggiato non si esaurisce e non si identifica con il segmento causale attinente al momento cinematico dei fatti ovvero all'incidente, la cui responsabilità è addebitabile esclusivamente al conducente, ma occorre prendere in considerazione come segmento terminale e quindi di perfezionamento del fatto storico, la "lesione del bene giudico tutelato" e quindi nel caso del trasportato la lesione della sua integrità fisica (da cui poi deriva il danno conseguenziale risarcibile).

Orbene tale lesione (evento dannoso) non si sarebbe verificata se non si fossero realizzati diversi antecedenti causali: se il conducente avesse guidato l'auto rispettando le regole del codice della strada e le regole generali di prudenza (evitando nel caso in esame di impegnarla in una corsa clandestina), e se, a monte, il trasportato si fosse astenuto dal salire in macchina, ben sapendo in che attività sarebbe stata da lì a breve impegnata la vettura, secondo una regola prudenziale.

È proprio il comportamento del trasportato che si pone all'inizio della sequela eziologica che si è conclusa per lui con l'evento dannoso più gravoso, la morte, in quanto egli, pur accorgendosi a tempo debito nel caso esaminato dalla sentenza del 2005 dello stato di ebbrezza del conducente dell'auto su cui si accingeva a salire, nel caso in esame essendo consapevole della partecipazione della vettura ad una corsa clandestina - e quindi consapevole in entrambi i casi che il suo conducente si apprestava a tenere una condotta illecita e contraria alle regole di prudenza - tuttavia si esponeva volontariamente al rischio salendo sull'auto, in violazione di norme comportamentali comunemente adottate dalla coscienza sociale oltre che di precise regole del codice stradale.

Con l'accettazione consapevole del rischio cui andava a sottoporsi il trasportato ha posto in essere un antecedente causale necessario quindi non del fatto dannoso incidente stradale, ma dell'evento che si è verificato a suo danno (lesioni all'integrità fisica), e pertanto, nella misura in cui quell'evento è addebitabile al suo apporto causale non se ne può far gravare la responsabilità su un altro soggetto.

Prendendo in considerazione non l'evento incidente stradale nel suo complesso, rispetto al quale non si può dire che il trasportato abbia tenuto un comportamento avente una qualche incidenza causale, ma l'evento lesivo subito dal trasportato stesso, quindi focalizzando l'attenzione sulla sua posizione e sul suo diritto al risarcimento del danno, i danni conseguenza che in base alle regole generali della responsabilità civile automobilistica dovrebbero gravare sul conducente e sul proprietario del veicolo e sulla sua assicurazione per la responsabilità civile automobilistica in base alla presunzione di responsabilità di cui all'art. 2054 c.c., devono essere proporzionalmente ridotti nella misura in cui sono stati provocati anche dall'apporto causale del danneggiato stesso, e in quella misura devono rimanere a suo carico.

La misura della ripartizione è poi oggetto di giudizio in fatto eseguito dal giudice di merito e non rinnovabile in questa sede.

Il fondamento normativo del concorso di colpa del danneggiato in caso di sua esposizione volontaria al rischio si rinviene quindi nell'art. 1227, primo comma c.c. (in questo senso, per una ipotesi di accettazione del rischio del trasporto associato in quel caso ad un suo comportamento attivo tra le altre v. da ultimo Cass. n. 10526 del 2011). A livello costituzionale il fondamento normativo si identifica nel principio generale di solidarietà sociale dettato l'art. 2 della Costituzione (per la riconduzione del fondamento costituzionale dell'art. 1227 primo comma c.c. all'art. 2 Cost. v., tra le altre, Cass. n. 5348 2009). Se tale principio generale di solidarietà sociale nell'ambito contrattuale, costituisce il fondamento dell'obbligo di reciproca lealtà di condotta che deve presiedere sia all'esecuzione del contratto che alla sua formazione ed interpretazione, accompagnandolo, in definitiva, in ogni sua fase, in campo extracontrattuale (ove l'art. 1227 c.c. opera per espresso richiamo normativo contenuto nell'art. 2056 c.c.) esso va inteso come fondante al tempo stesso le scelte di politica sociale di allocazione del rischio in determinati settori ( quale quello appunto della circolazione stradale) su una categoria di soggetti istituzionalmente deputata a sostenere tale rischio, ma anche l'obbligo di ciascuno di essere responsabile e valutare le conseguenze dei propri atti, in definitiva contempera le scelte di dislocazione del rischio con il principio di precauzione al fine di realizzare una finalità comune di prevenzione.

Si può aggiungere che questa lettura del principio secondo il quale ciascuno deve essere chiamato a rispondere dalla parte di danno che ha concorso a provocare, anche laddove ci siano dei sistemi di allocazione della responsabilità (come in materia di assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile automobilistica) non si pone in contrasto, ma al contrario va di pari passo con l'evoluzione della giurisprudenza comunitaria in materia.

Infatti la Corte di Giustizia, con sentenza 30 giugno 2005, in causa C-537/03, rispondendo ad una domanda di interpretazione pregiudiziale della legislazione comunitaria sollevata dalla corte suprema finlandese, ha in sintesi affermato che l'obiettivo delle direttive comunitarie in materia di assicurazione obbligatoria per gli autoveicoli è quello di consentire a tutti i passeggeri vittime di un incidente causato dal veicolo di essere risarciti dei danni dai medesimi subiti, e pertanto che le disposizioni nazionali che disciplinano il risarcimento dei sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli, non possono privare le dette disposizioni del loro effetto utile. La Corte di Giustizia prosegue affermando che ciò si verificherebbe, segnatamente, se una normativa nazionale, in base a criteri generali ed astratti, negasse al passeggero il diritto al risarcimento da parte dell'assicurazione obbligatoria per gli autoveicoli, ovvero limitasse tale diritto in misura sproporzionata, esclusivamente sulla base della corresponsabilità del passeggero stesso nella realizzazione del danno. Solo al verificarsi di circostanze eccezionali, in base ad una valutazione caso per caso, l'entità del risarcimento della vittima potrebbe essere limitata. La Corte puntualizza che la valutazione della sussistenza di tali circostanze e del carattere di proporzionalità del limite al risarcimento spetta al giudice nazionale.

Con una più recente sentenza tuttavia, sempre resa in sede di rinvio pregiudiziale (Corte di giustizia, 3 sezione, sentenza n. 409 del 9.6.2011, C-409/2009) la Corte di Lussemburgo distribuisce diversamente gli equilibri tra l'esigenza di tutela del trasportato e la necessità che ciascuno sia chiamato a rispondere delle conseguenze delle proprie azioni dichiarando che le tre direttive del Consiglio concernenti il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli devono essere interpretate nel senso che esse non ostano a disposizioni nazionali rientranti nella disciplina della responsabilità civile, le quali consentano di escludere o di limitare il diritto della vittima di un incidente a pretendere un risarcimento a titolo dell'assicurazione della responsabilità civile dell'autoveicolo implicato nel sinistro, sulla base di una valutazione caso per caso della responsabilità esclusiva o parziale di detta vittima nella causazione del danno da essa subito. Tale ipotesi si verifica, in particolare, nel caso di una normativa nazionale che intenda escludere la responsabilità oggettiva del conducente del veicolo coinvolto nel sinistro solo qualora tale sinistro sia imputabile in modo esclusivo alla vittima e che preveda, inoltre, nel caso in cui la vittima abbia colpevolmente contribuito alla genesi o all'aggravamento del suo danno, che il risarcimento ad essa spettante sia ridotto in misura proporzionale al grado di gravità di tale colpa. La Corte di Lussemburgo chiarisce che una normativa siffatta non ha come effetto, in caso di responsabilità della vittima nella causazione del danno da essa subito, di escludere ipso iure o di limitare in misura sproporzionata il diritto di quest'ultima ad ottenere un risarcimento da parte dell'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile del conducente del veicolo coinvolto nel sinistro e non pregiudica quindi la garanzia, sancita dal diritto dell'Unione, che la responsabilità civile, determinata secondo il diritto nazionale applicabile, sia coperta da un'assicurazione conforme alle tre direttive summenzionate.

Autorevole dottrina in passato ha ricondotto il principio del concorso di colpa del danneggiato, che costituiva una novità introdotta dal codice del '42, al principio di autoresponsabilità (per un richiamo più recente al principio di autoresponsabilità v. Corte cost., sentenza n. 156 del 1999), che imporrebbe ai potenziali danneggiati doveri di attenzione e diligenza allo scopo di prevenire eventuali danni; la dottrina più recente ravvisa piuttosto in esso un corollario del principio della causalità, per cui al danneggiante non può far carico quella parte di danno che non è a lui causalmente imputabile.

Può ritenersi che la colpa, cui fa riferimento l'art. 1227 c.c., vada intesa non nel senso di criterio di imputazione del fatto (perché il soggetto che danneggia se stesso non compie un atto illecito di cui all'art. 2043 c.c.), bensì come requisito legale della rilevanza causale del fatto del danneggiato. Ovvero il comportamento del danneggiato, attivo o omissivo, può rilevare come concausa di produzione del danno a suo carico.

Una volta riconosciuta all'art. 1227, c. 1, c.c., la funzione di regolare, ai fini della causalità di fatto, l'efficienza causale del fatto colposo del soggetto leso, con conseguenze sulla determinazione dell'entità del risarcimento, ed una volta ritenuto che detta norma trova il suo inquadramento nel principio causalistico, secondo cui se tutto l'evento lesivo è conseguenza del comportamento colposo del danneggiato, risulta interrotto il nesso di causalità con le possibili cause precedenti, mentre se egli ha in parte dato causa al verificarsi dell'evento dannoso, la responsabilità dell'autore materiale va ridotta in proporzione, rimane da esaminare quando il comportamento omissivo del danneggiato possa essere idoneo a costituire causa esclusiva o concausa dell'evento lesivo, ovvero quale sia la soglia di rilevanza causale della esposizione volontaria al rischio.

Nella convivenza civile non si può pretendere dai soggetti che vivono ed operano nella società di attenersi alla massima regola di prudenza, che comporta la tendenziale esclusione del rischio, ovvero il sistematico tentativo di sottrarsi ad ogni possibile fonte di rischio, perché da ciò conseguirebbero delle limitazioni nelle scelte di vita, la partecipazione alle quali comporta sempre un "normale rischio", incompatibili con la stessa vita sociale.

Quindi non si può porre a carico di chi non viola regole fissate dalla legge o il cui rispetto sia imposto dalla coscienza sociale, e ciò non di meno si sottopone ai normali rischi che la vita nel contesto sociale impone, di sottostare alle eventuali conseguenze negative di tale esposizione al rischio, che non soltanto è consapevole ma in taluni casi necessitata o obbligata, o comunque inevitabile.

La sottrazione totale al rischio in assoluto è infatti da un lato impossibile, non essendo tutti i rischi prevedibili ed evitabili, e dall'altro contrasta con il vivere nella società e con l'esigenza di assolvere senza sottrarvisi ai vari compiti che la società stessa ci impone, lavorativi, relazionali, parentali, di sopravvivenza. Quindi, vivere e svolgere il proprio ruolo, qualunque esso sia, nel contesto sociale, non prevede che ci si debba attenere alla massima regola di prudenza evitando ogni occasione di rischio, ma al contrario comporta e spesso impone la sottoposizione ad un "normale rischio" proprio per non sottrarsi alle varie funzioni che necessariamente conseguono al partecipare alla vita della società civile (paradossalmente, sarebbe assurdo ritenere responsabile dei danni subiti in un sinistro un pedone per il solo fatto che abbia attraversato la strada, in tal modo esponendosi ai rischi del traffico, ma senza violare le regole di prudenza codificate e non).

Occorre allora individuare quando la esposizione consapevole o volontaria, al rischio possa essere fonte di responsabilità per chi vi si espone.

È semplice individuare la condotta, attiva o omissiva del danneggiato, che comporta esposizione volontaria al rischio e sia al contempo fonte di responsabilità quando essa sia posta in essere in precisa violazione di norme giuridiche (ad esempio, per rimanere nell'ambito della circolazione stradale, il trasportato che non allacci le cinture di sicurezza).

Meno immediata è la collocazione della soglia di rilevanza di tale comportamento quando sia posta in essere una violazione non di norme giuridiche ma di regole di prudenza: a questo scopo occorre distinguere tra comportamento solo genericamente imprudente del danneggiato che di per sé non può essere ritenuto fonte di responsabilità, da quelle condotte che integrino violazione di norme comportamentali che, benché non accompagnate da sanzione, siano individuate come vincolanti non dalla legge ma dalla coscienza sociale del tempo, che il giudice si limita a registrare facendosene interprete.

Non ogni comportamento imprudente può essere fonte di responsabilità per il danneggiato quindi, ma si ha esposizione volontaria al rischio, idonea a rilevare come fattore concausale del danno quando il soggetto assuma un rischio che si pone ingiustificatamente sopra la soglia della normalità, e si caratterizza per essere un rischio anormale o anomalo.

Si può ritenere quindi che il danneggiato ponga in essere una condotta - attiva o omissiva - causalmente rilevante in tutti i casi in cui accetti volontariamente di esporsi ad un rischio gratuito, cioè non necessitato e neppure giustificato dall'attività che egli debba svolgere (ad esempio una attività sportiva, pericolosa ma svolta secondo le regole), violando una norma giuridica o ponendosi consapevolmente in contrapposizione ad una regola di prudenza comportamentale avvertita come vincolante dalla comunità sottoponendosi in tal modo ad un rischio anormale, quindi ad un rischio gratuito, consapevole, dovuto ad una scelta voluttuaria e gravemente imprudente.

Si ha in questi casi una accettazione consapevole che si traduce nella partecipazione anche senza un ruolo attivo ad una attività contra legem, o anche se non vietata dalla legge contraria ad una regola di prudenza avvertita come esistente e vincolante nella coscienza sociale del tempo, che il giudice si limita a registrare.

In questo caso, l'esposizione volontaria al rischio anche se passiva, ovvero non associata ad un comportamento attivo idoneo a provocare il possibile evento dannoso supera la soglia del comportamento consentito e può rilevare come colposa, e come tale è compiuta sotto la responsabilità di ciascuno di noi, ovvero le eventuali conseguenze dannose non possono essere fatte ricadere integralmente su un altro soggetto, in quanto il comportamento tenuto si inserisce nel processo causale che porta all'evento dannoso divenendo un segmento della catena causale.

Solo in questo caso la condotta si può considerare colposa e rilevare per far gravare almeno in parte la responsabilità del danno provocato non sul soggetto che normalmente ne risponderebbe in quanto autore materiale dell'evento dannoso, ma su altro soggetto, il danneggiato, che con la sua scelta imprudente si sia inserito in una situazione a rischio che avrebbe agevolmente potuto evitare con una scelta più prudente. Calando questo ragionamento nel contesto di regole applicabili al caso di specie, ovvero nella materia della circolazione stradale, non è più giustificata l'applicazione a vantaggio del trasportato che si esponga volontariamente ed ingiustificatamente ad un trasporto in violazione per il conducente delle norme del codice della strada (nel caso di specie, la partecipazione ad una gara automobilistica non autorizzata è sanzionata come reato dall'art. 9 ter del codice della strada) e per lui delle più elementari regole di prudenza, della presunzione di responsabilità del conducente come unica regola di responsabilità, dettata a tutela di un soggetto che, nell'id quod plerumque accidit, subisce un danno senza poter fare nulla per opporvisi, ovvero il trasportato.

La particolare tutela del trasportato si spiega perché questi è di solito il soggetto debole che si affida ad altri per lo svolgimento di una attività che comporta un certo rischio socialmente accettato in quanto "normale" ed utile, a cui la vita sociale rende ormai necessario esporsi ed anzi protetto anche a mezzo della assicurazione obbligatoria. Tale particolare protezione si giustifica proprio perché egli di solito nessun apporto causale da e soprattutto nessun apporto causale può dare per evitare il verificarsi dell'eventuale incidente, del quale è esclusivamente vittima e di regola mai artefice (salvo eccezionali e comprovati casi in cui è il trasportato a dar causa in tutto o in parte all'incidente intromettendosi nella guida).

In caso di accettazione consapevole del rischio nella partecipazione anche senza comportamento attivo ad una attività che si sa rischiosa e contra legem, o contrastante con le regole della coscienza sociale, viene meno la ragione per fornire al soggetto trasportato una particolare tutela.

Il principio di diritto affermato - che in caso di esposizione volontaria al rischio richiama ciascuno all'obbligo di sottostare alle relative conseguenze - segnala la necessità dell'assunzione consapevole delle responsabilità da parte di ciascuno all'interno delle innumerevoli occasioni di rischio che la società ci propone, e trova il suo fondamento costituzionale negli inderogabili doveri di dovere di solidarietà sociale, imposti dall’art. 2 Cost. ed è volto a richiamare l'attenzione sul fatto che l'aumento della sicurezza complessiva passa non solo attraverso la responsabilizzazione del danneggiante, o la individuazione di un soggetto a carico del quale vengano allocati economicamente i rischi (l'assicurazione) ma anche attraverso la consapevolezza della necessità che tutti i soggetti coinvolti in una attività che presenti margini di rischio si attengano ad un principio di precauzione.

Nella fattispecie quindi può ritenersi che correttamente il giudice di merito abbia accertato la sussistenza di un concorso di colpa del danneggiato, che volontariamente si è esposto al rischio violando il precetto comportamentale di non partecipare, neppure come passeggero, a gare automobilistiche clandestine ed abbia di conseguenza ritenuto di superare la presunzione di colpa posta a carico del conducente dall'art. 2054 primo comma c.c. nei limiti percentuali di ripartizione delle responsabilità accertati in concreto.

La particolarità della questione costituisce giusto motivo per la compensazione delle spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa le spese di lite tra le parti.




da altalex.com

Lunedì, 26 Maggio 2014
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