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Corte di Cassazione 15/01/2015

Furto al supermercato: le Sezioni Unite chiariscono l'ambito del tentativo

(Cass. pen. , SS.UU., 16 dicembre 2014,n. 52117)

Con la sentenza n. 52117/2014, le Sezioni Unite sono nuovamente intervenute sulla questione del momento in cui si commette il reato di furto nei supermercati, affermando il principio secondo il quale superare le casse integra solamente il tentativo.

Il giudice del merito aveva condannato solo per furto tentato e non per furto consumato gli imputati che si erano impossessati di merce dai banchi di vendita di un supermercato, e che erano stati fermati dal personale di vigilanza all’interno dell’edificio; una qualificazione del delitto quale tentativo sebbene gli imputati fossero stati bloccati dopo il passaggio alle casse, anche se all’interno dell’edificio commerciale.

In realtà i giudici di merito avevano condiviso un orientamento presente nella stessa giurisprudenza di cassazione, che in alcune occasioni aveva affermato che il prelevamento della merce dai banchi di vendita di un grande magazzino a sistema “self service” e l'allontanamento senza pagare realizzasse il reato di furto consumato; ma aggiungendo che “allorché l'avente diritto o la persona da questi incaricata sorvegli l'azione furtiva, così da poterla interrompere in qualsiasi momento, il delitto non può dirsi consumato” perché la cosa non è ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo diretto dell'offeso.

In caso di “blocco” del ladro da parte del personale di vigilanza veniva così a ritenersi configurabile il solo tentativo di furto, con la conseguente diminuzione di pena. E ciò anche se la sottrazione avviene certamente nel momento in cui il cliente non mostra alla cassa la merce per il pagamento; con la integrazione di un “possesso” illegittimo non appena superate le casse (sino al momento della presentazione della merce alla cassa il possesso è legittimo, in quanto finalizzato al successivo acquisto).

A dimostrazione della complessità dell’inquadramento delle varie condotte attraverso le quali si realizza il furto nei grandi magazzini, va precisato che anche prima del passaggio alle casse si può ritenere integrato il reato di furto, allorché il cliente nasconda la merce sulla propria persona o in una borsa, come hanno precisato le stesse Sezioni Unite con la decisione 18 luglio 2013, dep. il 30 settembre 2013, n. 40354, in un caso nel quale il ricorso era stato proposto da un cliente di un grande magazzino, che si era impossessato di alcuni capi di abbigliamento privi della placca antitaccheggio, nascondendoli nella propria borsa. E la giurisprudenza è ormai attestata nel senso che il reato di furto si consuma già nel momento in cui il cliente, dopo avere prelevato un oggetto dai banchi di vendita in un negozio (supermercato o grande magazzino) ove si pratica la vendita con il sistema del self service, lo abbia nascosto sulla propria persona o in un oggetto personale (come la borsa).

Le due questioni sulle quali continuava a sussistere divergenza nelle varie pronunzie, anche del giudice di legittimità, erano, da un lato se tale furto dovesse essere o meno qualificato come furto consumato o fosse ancora allo stadio del tentativo, dall’altro se dovesse o meno ritenersi aggravato dal mezzo fraudolento (aggravante prevista dall’art. 625, comma primo, n. 2 c.p.).

Infatti un orientamento più rigido aveva ritenuto che l’occultamento della refurtiva, prelevata dallo scaffale, all’interno di una borsa o tra gli abiti dell’autore del furto integrasse la circostanza aggravante dell’uso di un mezzo fraudolento, poiché con tale occultamento si eludono le cautele e gli accorgimenti posti in essere dal proprietario del negozio.

Pur tuttavia va considerato che l’occultamento piuttosto che rappresentare un mezzo fraudolento, nel senso previsto dal citato art. 625 c.p., cioè un accorgimento malizioso adottato dal “ladro” per sorprendere il soggetto passivo del furto, appare il mezzo più semplice per realizzare l’impossessamento, e quindi la consumazione del reato.

Ed in tale senso si era espressa larga parte della giurisprudenza, che sottolineava come se il cliente non nascondesse subito in qualche modo la merce sottratta il personale addetto, e fra questi da ultimo il cassiere, sarebbe in grado di accorgersi della sottrazione. In definitiva la aggravante del mezzo fraudolento deve rappresentare un elemento in più rispetto alla attività necessaria per operare la sottrazione e l’impossessamento.

Pertanto alle Sezioni Unite era stato affidato il compito di risolvere la questione se, con riferimento al reato di furto, l’occultamento della refurtiva prelevata dallo scaffale di un supermercato all’interno di una borsa in possesso dell’imputato, o eventualmente sulla sua persona, configurasse la circostanza aggravante dell’essersi avvalso di un qualsiasi mezzo fraudolento, ai sensi dell’art. 625, comma primo, n. 2, c.p.

Nella precedente occasione le Sezioni Unite hanno affermato che nascondere nelle tasche, o in una borsa, o sulla stessa persona dell’autore del furto, la merce prelevata dai banchi di vendita costituisce un semplice accorgimento, peraltro banale ed ordinario, in tale genere di reati, che appare privo dei connotati di una studiata efficienza aggressiva che caratterizza l’aggravante del mezzo fraudolento.

Conseguentemente la questione è stata risolta nel senso che l’aggravante dell’uso di un mezzo fraudolento, di cui all’art. 625, comma primo, n. 2, cod. pen. delinea una condotta, posta in essere nel corso dell’iter criminoso, dotata di marcata efficienza offensiva e caratterizzata da insidiosità, astuzia, scaltrezza, volta a sorprendere la contraria volontà del detentore ed a vanificare le difese che questi ha apprestato a difesa della cosa. Tale insidiosa e rimarcata efficienza offensiva non si configura nel mero occultamento sulla persona o nella borsa di merce esposta in un esercizio di vendita a self service, trattandosi di banale, ordinario accorgimento che non vulnera in modo apprezzabile le difese apprestate a difesa del bene.

In questa nuova occasione la sezione assegnataria del ricorso, proposto dal procuratore di Brescia, ha evidenziato che nella giurisprudenza di cassazione esisteva un diverso orientamento, che ha ritenuto integrato il reato di furto consumato e non tentato nel caso in cui il cliente si era impossessato, superando la barriera delle casse, di merce prelevata dai banchi, sottraendola al pagamento, non dando rilievo al fatto che ciò fosse avvenuto sotto il costante controllo del personale del supermercato incaricato della sorveglianza.

Va infine evidenziato, a conforto della prima opzione, che le sezioni unite (19 aprile 2012 n. 34952, Reina), anche se chiamate a risolvere la diversa questione del tentativo di rapina impropria, hanno ritenuto che finché la cosa non sia uscita dalla sfera di sorveglianza del possessore, e questi è ancora in grado di recuperarla, la condotta andrebbe collocata nell’ambito del tentativo.

In considerazione di quanto sopra la quinta sezione della corte aveva ritenuto di sottoporre alla valutazione del Primo Presidente della Corte la opportunità di assegnare alle Sezioni Unite la trattazione del caso, una opportunità condivisa dal Primo Presidente, che aveva conseguentemente fissato, con decreto del 30 maggio 2014, l’udienza del 17 luglio 2014, per vedere risolta la questione se la condotta di sottrazione di merce all’interno di un supermercato, avvenuta sotto il costante controllo del personale di vigilanza, sia qualificabile come furto consumato o tentato allorché l’autore sia fermato dopo il superamento della barriera delle casse con la merce sottratta.

Le Sezioni Unite hanno privilegiato la soluzione più soft, affermando che si tratta soltanto di furto tentato, in continuità con la richiamata pronuncia delle sezioni unite in tema di rapina impropria.

La decisione ha evidenziato che la definizione della azione di impossessamento della cosa altrui di cui all’art. 624 c.p. (si impossessa della cosa mobile altrui sottraendola a chi la detiene) è caratterizzata dal sintagma impossessamento – sottrazione, ed è a questo che occorre riferirsi pur in presenza di una condotta dell’agente che, oltrepassando la cassa senza avere provveduto al pagamento, dimostra un incontestabile intento furtivo.

Infatti, sostiene la Corte, in difetto del perfezionamento del possesso della refurtiva a favore dell’agente deve escludersi che il reato possa considerarsi consumato.

Sul punto non vi è dubbio che l’impossessamento richieda il raggiungimento della piena signoria sul bene sottratto, intesa come piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva da parte dell’autore del furto. Condizione che viene esclusa dalla concomitante vigilanza della persona offesa dimostrata dall’intervento esercitato a difesa del bene, certamente appreso dal ladro, ma non ancora uscito completamente dalla sfera di controllo del soggetto passivo del reato.

A sostegno della propria scelta le Sezioni Unite hanno altresì richiamato il principio di offensività che ulteriormente giustifica il collegamento della consumazione del reato alla completa rescissione della “signoria che sul bene esercitava il detentore”.

In considerazione di quanto sopra le Sezioni Unite hanno affermato il principio di diritto per il quale “il monitoraggio nella attualità della azione furtiva avviata, esercitato sia mediante la diretta osservazione della persona offesa (o dei dipendenti addetti alla sorveglianza o della forze dell’ordine presenti in loco), sia mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce, e il conseguente intervento difensivo in continenti a tutela della detenzione, impediscono la consumazione del delitto di furto, che resta allo stadio del tentativo, in quanto l’agente non ha conseguito, neppure momentaneamente, l’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo diretto del soggetto passivo”.

La decisione in sintesi

Esito del ricorso

Rigetto del ricorso.

Precedenti giurisprudenziali

Cassazione penale, Sezioni Unite, sentenza 19 aprile 2012, n. 34952;
Cassazione penale, Sezione V, sentenza 15 giugno 2012, n. 25555;
Cassazione penale, Sezione V, sentenza 7 febbraio 2013, n. 20838;
Cassazione penale, Sezione V, sentenza 20 dicembre 2010, n. 7042/2011;
Cassazione penale, Sezione IV, sentenza 22 settembre 2010, n. 38534.

Riferimenti normativi

Codice penale: artt. 56, 624, 625.

(Altalex, 22 dicembre 2014. Nota di Alfredo Montagna tratta da Il Quotidiano Giuridico Wolters Kluwer)

 

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE PENALI

Sentenza 17 aprile - 16 dicembre 2014, n. 52117

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE PENALI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SANTACROCE Giorgio - Presidente -

Dott. CHIEFFI Severo - Consigliere -

Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere -

Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere -

Dott. CONTI Giovanni - Consigliere -

Dott. VECCHIO Massimo - rel. Consigliere -

Dott. DAVIGO Piercamillo - Consigliere -

Dott. DIOTALLEVI Giovanni - Consigliere -

Dott. VESSICHELLI Maria - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Brescia;

nel procedimento nei confronti di:

1. C.J., nata a (OMISSIS);

2. P.G., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 11/02/2013 del Tribunale di Bergamo;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal componente Massimo Vecchio;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell'Avvocato generale Dott. DESTRO Carlo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza deliberata l'11 febbraio 2013 e depositata il 25 febbraio 2013, il Tribunale di Bergamo, in composizione monocratica, giudicando col rito abbreviato, instaurato in esito alla convalida dell'arresto e alla presentazione per il giudizio direttissimo, ha condannato, nel concorso della attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità (reputata equivalente alla aggravante dell'uso della violenza sulle cose e alla recidiva), nonchè della diminuente del rito, alla pena della reclusione in tre mesi e della multa in cento Euro C.J. e P.G., dichiarati responsabili del furto tentato, commesso, in concorso tra loro, a danno del centro commerciale (OMISSIS), così riqualificata la originaria imputazione di furto consumato.

Il Tribunale ha accertato che i giudicabili, entrambi confessi, avevano prelevato dai banchi di esposizione del supermercato tre flaconi di profumo, caffè e biscotti; avevano lacerato le confezioni, rimuovendo la "placchette antitaccheggio"; avevano occultato la refurtiva, celandola dentro una borsa e sotto gli indumenti; avevano, quindi, superato la cassa, senza pagare la merce nascosta, ma esibendo altro prodotto (regolarmente pagato); ed erano usciti dal centro commerciale.

All'esterno del fabbricato l'addetto alla sicurezza, F.M., il quale si era avveduto in precedenza della azione furtiva, era alfine intervenuto, promovendo l'intervento della polizia giudiziaria che aveva tratto in arresto i due imputati.

2. Con riferimento a quanto serba rilievo nella sede del presente scrutinio di legittimità, sul punto della definizione giuridica del fatto, il Tribunale ha motivato che la concorsuale condotta delittuosa doveva essere derubricata nella ipotesi del tentativo, in quanto tutta la azione si era "svolta sotto gli occhi dell'addetto alla sicurezza il quale aveva monitorato ogni spostamento" dei due imputati e aveva deciso "di bloccarli alla rectius: dopo la barriera delle casse, anzichè durante la sottrazione, per mere ragioni di opportunità".

3. Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte territoriale ha proposto ricorso immediato per cassazione con atto recante la data del 27 marzo 2013, dichiarando promiscuamente di denunziare, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in relazione all'art. 56 c.p., nonchè mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.

Il ricorrente deduce, anche con richiamo di pertinenti arresti della Corte di cassazione: il giudice a quo ha trascurato di dare conto delle supposte ragioni di opportunità che avrebbero indotto l'addetto alla vigilanza a non intervenire prima che i giudicabili superassero le casse; per vero è "solo al momento in cui gli imputati alla cassa non hanno pagato" la merce, prelevata e occultata, che "è scattata ... la possibilità di contestare con certezza il furto"; un intervento prematuro non avrebbe consentito di stabilire se la condotta fosse stata realmente preordinata al furto, in quanto "molte volte" accade che i clienti dei supermercati aprano le confezioni dei prodotti o, addirittura, li consumino, "prima di raggiungere le casse e che, poi, li paghino regolarmente"; nella specie, colla materiale apprensione, la refurtiva è "uscita dalla disponibilità della persona offesa ... al momento del passaggio alla barriera delle casse" in mancanza del pagamento della merce; la circostanza che l'addetto alla vigilanza avesse notato la azione dei prevenuti, già prima che costoro avessero raggiunto la cassa, "non trasforma il furto consumato in furto tentato", in quanto "i responsabili sono stati colti in un momento successivo alla realizzazione del fatto reato", in una area "diversa da quella dove era stata perpetrata la sottrazione della merce" e in una "fase temporale" distinta e posteriore; peraltro, anche accedendo all'indirizzo minoritario della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale ostano alla consumazione del reato la concomitante osservazione del personale addetto alla sorveglianza e la possibilità di interrompere l'azione furtiva rilevata, nella specie neppure emerge che il controllo fosse stato "così pregnante, capillare e diffuso da consentire di interrompere l'azione criminosa in qualsiasi momento".

4. La Quarta Sezione penale, assegnataria del ricorso, con ordinanza in data 30 aprile 2014 l'ha rimesso alle Sezioni Unite a norma dell'art. 618 c.p.p.

La ordinanza ha rilevato il contrasto giurisprudenziale in ordine alla questione, oggetto del ricorso, della qualificazione giuridica della condotta furtiva consistente nel prelievo di merce dai banchi di un supermercato e nel successivo occultamento della refurtiva all'atto del passaggio davanti al cassiere, quando tutta la azione delittuosa si è svolta sotto il controllo costante del personale addetto alla vigilanza, intervenuto solo dopo che il soggetto attivo ha superato la barriera delle casse.

4.1. Secondo un primo orientamento, invocato dal Procuratore generale ricorrente e che è stato, da ultimo ribadito con sentenza Sez. 5, n. 20838 del 07/02/2013, Fornella, Rv. 256499, la condotta in parola integra gli estremi del delitto di furto consumato, nulla rilevando, al riguardo, "la circostanza che il fatto sia avvenuto sotto il costante controllo del personale del supermercato incaricato della sorveglianza" (così ex plurimis Sez. 5, n. 7086 del 19/01/2011, Marin, Rv. 249842; Sez. 5, n. 37242 del 13/07/2010, Nasi, Rv. 248650; Sez. 5, n. 27631 del 08/06/2010, Piccolo, Rv. 248388; Sez. 5, n. 23020 del 09/05/2008, Rissotto, Rv. 240493).

L'indirizzo in parola sostiene che il soggetto attivo del reato nel preciso momento nel quale supera la cassa, senza mostrare (nè pagare) la refurtiva celata, perfeziona la sottrazione del bene del quale, solo allora, "consegue istantaneamente il possesso illegittimo ... indipendentemente dal monitoraggio svolto dal personale del supermercato". Mentre, nulla rileva che fino a quell'istante il cliente, autorizzato ad apprendere dal banco di esposizione e a portare con sè la merce prelevata, "non la lasci in vista, avendola riposta nelle tasche dell'abito o in un qualsiasi contenitore".

4.2. Secondo l'orientamento opposto, pur citato dal ricorrente, la concomitante "sorveglianza continua dell'azione criminosa" da parte del soggetto passivo o dei suoi dipendenti impedisce la consumazione del reato di furto, in quanto la refurtiva, appresa e occultata permane nella "sfera di vigilanza e di controllo diretto dell'offeso, il quale può in ogni momento interrompere" la condotta delittuosa (così Sez. 5, n. 11592 del 28/01/2010, Finizio, Rv. 246893; Sez. 5, n. 21937 del 06/05/2010, Lazaar, Rv. 247410; Sez. 4, n. 38534 del 22/09/2010, Bonora, Rv. 248863; Sez. 5, n. 7042 del 20/12/2010, dep. 2011, D'Aniello, Rv. 249835; e, in tema di rapina impropria, Sez. 2, n. 8445 del 05/02/2013, Niang, n.m.).

4.3. In conclusione, sulla base del rilevato contrasto, la Sezione rimettente ha sottoposto la questione della consumazione del delitto di furto, in costanza del concomitante monitoraggio ad opera degli addetti alla sorveglianza, della condotta dell'agente, il quale, appresa la merce in esposizione, abbia superato la barriera della cassa, occultando quanto sottratto prima di essere bloccato dal personale di vigilanza.

5. Con decreto del 30 maggio 2014 il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali e ne ha fissato la trattazione per la odierna udienza pubblica.

Motivi della decisione

1. La questione di diritto sottoposta alle Sezioni Unite, siccome formulata dalla Sezione rimettente, si sostanzia nel quesito seguente: "Se la condotta di sottrazione di merce all'interno di un supermercato, avvenuta sotto il costante controllo del personale di vigilanza, sia qualificabile come furto consumato o tentato allorchè l'autore sia fermato dopo il superamento della barriera delle casse con la merce sottratta".

2. Deve essere esaminata in limine la questione preliminare, in rito, della esperibilità del ricorso immediato per cassazione proposto dal Pubblico ministero e, conseguentemente, della competenza di questa Corte di legittimità a conoscere la impugnazione, laddove il ricorrente ha denunziato (congiuntamente alla erronea applicazione della legge penale) la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

2.1. L'art. 569 c.p.p., comma 3, stabilisce: "La disposizione del comma 1 recante la previsione della proposizione diretta del ricorso per cassazione avverso le sentenze di primo grado appellabili non si applica nei casi previsti dell'art. 606, comma 1, lett. d) ed e). In tali casi il ricorso eventualmente proposto si converte in appello".

La norma comporta che col ricorso c.d. per saltum non possono farsi valere i motivi previsti dalle citate lettere dell'art. 606 c.p.p.

2.2. Nella specie, tuttavia, la questione deve essere risolta in senso positivo. E' pur vero che il Pubblico ministero ricorrente ha dichiarato di dedurre vizi di motivazione, ma la relativa denunzia deve considerarsi tanquam non esset e affatto irrilevante, ai fini della qualificazione del ricorso, perchè è assorbita dalla concorrente denunzia della erronea applicazione della legge penale.

Giova, in proposito, ricordare che in materia di questioni di diritto circa la interpretazione della legge, non è consentita la deduzione di (ritenuti) vizi di motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in quanto la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione sono configurabili "soltanto con riguardo ad elementi di fatto che il giudice abbia trascurato o di cui abbia dato una valutazione illogica o contraddittoria, e non con riguardo" alle questioni di diritto nè alle "argomentazioni giuridiche delle parti". Se, infatti, le questioni e le argomentazioni in parola sono fondate, "il fatto che il giudice le abbia disattese (motivatamente o meno) da luogo al diverso motivo di censura costituito dalla violazione di legge", mentre, se "sono infondate, il fatto che il giudice le abbia disattese non può dar luogo ad alcun vizio di legittimità della pronuncia giudiziale" (Sez. 1, n. 4931 del 17/12/1991, dep. 1992, Parente, Rv. 188913; Sez. 5, n. 4173 del 22/02/1994, Marzola, Rv. 197993; Sez. 2, n. 3706 del 21/01/2009, P.C. in proc. Haggag, Rv. 242634; Sez. 2, n. 19696 del 20/05/2010, Maugeri, Rv. 247123).

3. Superata la questione preliminare in rito, lo scrutinio del quesito di diritto proposto involge, innanzi tutto, l'analisi dell'orientamento della giurisprudenza di legittimità (invocato dal ricorrente) nel senso della ritenuta consumazione del furto, nelle circostanze indicate, a dispetto della concomitante vigilanza del soggetto passivo del reato (o di suoi addetti) e dell'immediato recupero della refurtiva.

3.1. Oltre alle sentenze Rissotto, Piccolo, Nasi, Marin e Fornella, citate nella ordinanza di rimessione, la tesi della consumazione è stata affermata da pronunce della Cassazione sia risalenti nel tempo, che recentissime: tra le altre, Sez. 2, n. 938 del 24/05/1966, Delfino, Rv. 102532; Sez. 2, n. 2088 del 18/06/1973, dep. 1974, Mucci, Rv. 126456; Sez. 4, n. 7235 del 16/01/2004, Coniglio, Rv. 227347; Sez. 2, n. 48206 del 12/01/2011, Pezzuolo; Sez. 5, n. 25555 del 15/06/2012, Magliulo, n.m.; Sez. 5, n. 41327 del 10/07/2013, Caci, Rv. 257944; Sez. 5, n. 8395 del 2/10/2013, dep. 2014, La Cognata, n.m.; Sez. 5, n. 1701 del 23/10/2013, dep. 2014, Nichiforenco, Rv. 258671; Sez. 7, n. 6832 del 20/11/2013, dep. 2014, Pulsoni, n.m.; Sez. 5 n. 677 del 21/11/2013, dep. 2014, Flauto, n.m.; Sez. 4, n. 8079 del 12/12/2013, dep. 2014, Molinari, n.m.; Sez. 4, n. 7062 del 09/01/2014, Bergantino, Rv. 259263.

Nell'ambito di tale indirizzo talune pronunce hanno ravvisato la consumazione del furto ancor prima del superamento della barriera delle casse, allorchè l'agente, prelevata la mercè dal banco, "l'abbia nascosta sulla propria persona oppure in una borsa o, comunque, l'abbia occultata" (Sez. 2, Delfino, Rv. 102532, cit.), sulla base della considerazione che la condotta in parola "oltre alla amotio ... determina l'impossessamento della res (non importa se per lungo tempo o per pochi secondi) e, dunque, integra, in presenza del relativo elemento psicologico gli elementi costitutivi del delitto di furto" (Sez. 5, Marin, Rv. 249842, cit.).

Altre sentenze hanno distinto: per un verso hanno ammesso la possibilità del tentativo (praticamente esclusa dalle decisioni testè citate in considerazione della immediatezza della consumazione), circoscrivendo la relativa ipotesi al caso dell'intervento della persona offesa o dei suoi incaricati, là dove costoro, avendo sorvegliato tutte le fasi della azione furtiva, la interrompano prima che l'agente abbia oltrepassato la barriera delle casse; per altro verso hanno ribadito che, in ogni caso, "il momento consumativo" del reato si realizza indefettibilmente quando il soggetto attivo sia passato davanti all'addetto alla cassa senza pagare, a prescindere dal concomitante monitoraggio della condotta delittuosa (Sez. 4, Coniglio, cit., richiamata, tra altre, da Sez. 4, Molinari, cit.).

3.2. La tesi della consumazione è, in generale, sostenuta dalla duplice affermazione: a) del perfezionamento della condotta tipizzata dello impossessamento della refurtiva, per effetto del prelievo della mercè, senza il successivo pagamento dovuto all'atto del passaggio davanti alla cassa; b) della irrilevanza della circostanza che "il fatto sia avvenuto sotto il costante controllo del personale del supermercato incaricato della sorveglianza" (così, da ultimo, Sez. 4, Bergantino, cit.).

La citata sentenza Sez. 5, n. 25555 del 2012, Magliulo, ha offerto un contributo di approfondimento, postulando essere condizione "necessaria e sufficiente perchè il ... reato possa dirsi consumato che la persona offesa sia stata privata della detenzione e, per ciò, stesso sia stata posta nella condizione di doversi attivare, se vuole recuperala, nei confronti del soggetto che l'ha acquisita" e, in proposito, argomentando che l'agente, tosto che abbia "oltrepassato la barriera delle casse senza pagare la merce", consegue "da quel momento la detenzione esclusiva e illecita" della refurtiva, "mentre, in precedenza, salvo il caso dell'occultamento, detta detenzione non poteva dirsi, nè esclusiva, nè illecita".

La sentenza n. 8395 del 2013, La Cognata, cit., ha negato che il concomitante "controllo" dello sviluppo della azione delittuosa da parte del personale del personale di vigilanza impedisca la consumazione del furto, motivando: la circostanza è "del tutto estranea all'operato dell'agente"; la sorveglianza non ha impedito la violazione della norma; il recupero della refurtiva, in seguito all'eventuale intervento degli addetti alla sorveglianza, si colloca "nella fase post delictum".

4. Anche il contrario orientamento trova ancoraggio (oltre che nelle più recenti sentenze Finizio, Lazaar, Bonora, D'Aniello e Niang, menzionate nella ordinanza di rimessione) in altre pronunce di legittimità, scandite nell'ampio arco temporale durante il quale si è protratto il contrasto di giurisprudenza: Sez. 5, n. 398 del 27/10/1992, dep. 1993, De Simone, Rv. 193177; Sez. 5, n. 11947 del 30 ottobre 1992, Di Chiara, Rv. 192608; Sez. 5, n. 837 del 03/11/1992, dep. 1993, Zizzo, Rv. 193486; Sez. 5, n. 3642 del 21 gennaio 1999, Imbrogno, Rv. 213315; nonchè (non massimate sul punto in esame) Sez. 4, n. 31461 del 03/07/2002, Carbone; Sez. 4, n. 24232 del 27/04/2006, Giordano.

L'indirizzo si fonda sulla considerazione che la concomitante osservazione da parte della persona offesa, ovvero del dipendente personale di sorveglianza, dell'avviata azione delittuosa (al pari dei controlli strumentali mediante apparati elettronici di rilevazione automatica del movimento della merce, scilicet: sensori, placche antitaccheggio) e la correlata e immanente possibilità di intervento nella immediatezza, a tutela della detenzione, impediscono la consumazione del reato, per non essersi perfezionata la fattispecie tipizzata - dell'impossessamento, mediante sottrazione, della cosa altrui - in quanto l'agente non ha conseguito l'autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo diretto del soggetto passivo, la cui "signoria sulla cosa" non è stata eliminata.

In proposito la sentenza n. 31461 del 2002, Carbone, cit., distingue, opportunamente, "l'intervento in re ipsa" a difesa della detenzione esercitato dalla persona offesa, dai dipendenti della stessa addetti alla vigilanza (o, quale atto dovuto, dalle forze dell'ordine) dall'intervento (meramente eventuale) dispiegato da un terzo estraneo (a tutela dell'altrui possesso); ed esclude che quest'ultimo tipo di intervento, connotato da accidentalità e "aleatorietà", sia di ostacolo al riconoscimento della consumazione del reato, in quanto il recupero della refurtiva a opera del terzo estraneo presuppone la intervenuta perdita della signoria sulla cosa da parte del derubato.

Incisivamente la sentenza n. 8445 del 2013, Niang, cit., ha argomentato a sostegno dell'orientamento in esame che è da "ritenersi preferibile la tesi che tende a privilegiare un connotato di "effettività" che deve caratterizzare l'impossessamento quale momento consumativo del delitto di furto, rispetto al semplice momento sottrattivo, con la conseguenza che l'autonoma disponibilità del bene potrà dirsi realizzata solo ove sia stata correlativamente rescissa la altrettanto autonoma signoria che sul bene esercitava il detentore".

5. Le Sezioni Unite ritengono di dover comporre il contrasto giurisprudenziale mediante la riaffermazione di tale secondo orientamento, nel senso della qualificazione giuridica della condotta in esame in termini di furto tentato.

La soluzione si colloca, peraltro, in linea di continuità col dictum della sentenza Sez. U, n. 34952 del 19/04/2012, Reina, Rv. 253153.

Nel risolvere positivamente la questione della configurabilità del tentativo di rapina impropria (anche) in difetto della materiale sottrazione del bene all'impossessamento del quale l'azione delittuosa era finalizzata, la citata sentenza ha argomentato, proprio con espresso riferimento al furto: "finchè la cosa non sia uscita dalla sfera di sorveglianza del possessore" e "questi è ancora in grado di recuperala" tanto fa "degradare la condotta di apprensione del bene a mero tentativo".

5.1. La quaestio iuris in esame involge il più ampio tema della definizione giuridica della azione di impossessamento della cosa altrui, tipizzata dalla norma incriminatrice.

5.2. L'art. 624, primo comma, cod. pen. contempla la condotta di chi "si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trame profitto per se o per altri".

La formulazione normativa riecheggia e riproduce nel nucleo essenziale la previsione dell'art. 402, comma 1, del codice Zanardelli del 1889, salvo che per la significativa sostituzione dell'inciso modale del predicato verbale, contenuto nella previgente disposizione, che recitava "togliendola dal luogo in cui si trova", avendo in tali termini il legislatore del 1989 recepito la teoria della amotio, eletta dalla dottrina dell'epoca per denotare l'impossessamento mediante, appunto, l'adozione del criterio c.d. spaziale.

La norma vigente ha espunto siffatto criterio introducendo quello personale o funzionale della sottrazione.

Sicchè la descrizione della condotta delittuosa risulta scandita dal sintagma impossessamento-sottrazione.

5.3. L'analisi della dottrina in punto di definizione e di rapporto reciproco dei due segmenti della condotta delittuosa, sinergicamente configurati nel costrutto sintattico della norma incriminatrice, caratterizzato dalla adozione del verbo "sottrarre" nella subordinata, non ha, per vero, approdato a condivise conclusioni, ora accentuandosi la distinzione cronologica e logica dei momenti della sottrazione e dell'impossessamento, ora controvertendosi in ordine alla relativa sequenza, ora enfatizzando la pregnanza dell'uno piuttosto che dell'altro.

Nel caso in esame le difficoltà sono acuite da due ordini di fattori: a) la sovrapposizione, rilevata in talune delle sentenze citate, dei piani affatto diversi della qualificazione della condotta e della prova del reato e, segnatamente, dell'elemento psicologico;

b) la relazione di tipo prenegoziale, presupposta dalla condotta delittuosa, che lega l'agente al soggetto passivo, offerente in vendita della mercè esposta, e che abilita il primo al prelievo dei beni dai banchi di esposizione.

In tale prospettiva la condotta dell'agente il quale oltrepassi la cassa, senza pagare la merce prelevata, rende difficilmente contestabile l'intento furtivo, ma lascia impregiudicata la questione se la circostanza comporti di per sè sola la consumazione del reato, quando l'azione delittuosa sia stata rilevata nel suo divenire dalla persona offesa, o dagli addetti alla vigilanza, i quali, nella immediatezza intervengano a difesa della proprietà della mercè prelevata.

5.4. Decisiva è, al riguardo, la premessa che in difetto del perfezionamento del possesso della refurtiva in capo all'agente è, comunque, certamente da escludere che il reato possa ritenersi consumato.

La considerazione assorbe la disamina del controverso rapporto tra la sottrazione e l'impossessamento.

Orbene, appare difficilmente confutabile - e il dato deve ritenersi acquisito per generale consenso e in carenza di veruna apprezzabile obiezione - che l'impossessamento del soggetto attivo del delitto di furto postuli il conseguimento della signoria del bene sottratto, intesa come piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva da parte dell'agente.

Sicchè, laddove esso è escluso dalla concomitante vigilanza, attuale e immanente, della persona offesa e dall'intervento esercitato in continenti a difesa della detenzione del bene materialmente appreso, ma ancora non uscito dalla sfera del controllo del soggetto passivo, la incompiutezza dell'impossessamento osta alla consumazione del reato e circoscrive la condotta delittuosa nell'ambito del tentativo.

La conclusione riceve conforto dalla considerazione dell'oggetto giuridico del reato alla luce del principio di offensività.

In tale prospettiva, di recente valorizzata quale canone ermeneutico di ricostruzione dei "singoli tipi di reato" da Sez. U, n. 40354 del 18/07/2013, Sciuscio, il fondamento della giustapposizione tra il delitto tentato e quello consumato (e del differenziato regime sanzionatorio) risiede nella compromissione dell'interesse protetto dalla norma incriminatrice.

Affatto coerente risulta, pertanto, l'aggancio della consumazione del furto alla completa rescissione (anche se istantanea) della "signoria che sul bene esercitava il detentore", come esattamente individuato dalla citata sentenza n. 8445 del 2013, Niang. Mentre, di converso, se lo sviluppo dell'azione delittuosa non abbia comportato ancora la uscita del bene dalla sfera di vigilanza e di controllo dell'offeso, è per vero confacente, alla stregua del parametro della offensività, la qualificazione della condotta in termini di tentativo.

6. La conclusione raggiunta resiste alle obiezioni espresse nelle sentenze che si sono uniformate al contrario indirizzo.

6.1. Sono ricorrenti nelle pronunce in parola i riferimenti alla amotio della refurtiva da parte dell'agente.

La teoria della amotio, in linea generale, appare anacronistica in quanto non è confortata dall'addentellato normativo, in precedenza offerto dell'art. 402, comma 1, del codice Zanardelli del 1889.

Inoltre, con specifico riferimento al caso in esame, il criterio spaziale dello spostamento della cosa "dal luogo in cui si trova" non è certamente applicabile alla apprensione della mercè dal banco di esposizione del negozio in quanto il sistema di vendita selfservice abilita l'avventore al prelievo.

6.2. L'argomento che la sorveglianza dell'offeso non ha impedito la violazione della norma penale non è nè concludente, nè oltretutto pertinente.

Ciò che è in discussione non è la sussistenza della attività delittuosa, bensì la relativa definizione giuridica.

6.3. Neppure appare calzante, per confutare la qualificazione della condotta de qua in termini di tentativo, la obiezione che la concomitante sorveglianza della persona offesa e la correlata possibilità di intervento immediato, a tutela della detenzione, costituiscano "circostanza del tutto estranea all'operato dell'agente": per vero il delitto tentato si caratterizza per la mancata verificazione dell'evento dovuta a cause indipendenti dalla volontà dell'agente (Sez. U, n. 7523 del 21/05/1983, Andreis, Rv. 160247; Sez. U, n. 34952 del 19/04/2012, Reina, Rv. 253153), ricorrendo altrimenti la ipotesi alternativa della desistenza prevista dall'art. 56 c.p., comma 3.

6.4. Gli ulteriori argomenti (non privi di suggestione) in ordine al rilievo della attivazione della persona offesa per il recupero della refurtiva e in ordine alla collocazione della relativa attività "nella fase post delictum" devono essere disattesi per la petizione di principio che sottendono: assumono a premessa la tesi da dimostrare della consumazione del furto colla intervenuta perdita del bene da parte del soggetto passivo; mentre si tratta della difesa della detenzione esercitata dall'offeso in continenti e resa possibile dalla perdurante presenza della res nella sfera di vigilanza e di controllo del detentore.

7. Le considerazioni che precedono consentono di formulare il seguente principio di diritto: "il monitoraggio nella attualità della azione furtiva avviata, esercitato sia mediante la diretta osservazione della persona offesa (o dei dipendenti addetti alla sorveglianza o delle forze dell'ordine presenti in loco,), sia mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce, e il conseguente intervento difensivo in continenti, a tutela della detenzione, impediscono la consumazione del delitto di furto, che resta allo stadio del tentativo, in quanto l'agente non ha conseguito, neppure momentaneamente, l'autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo diretto del soggetto passivo".

8. In conclusione, alla stregua del principio di diritto enunciato, il ricorso risulta infondato, sicchè esso deve essere rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 17 aprile 2014.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2014

 

da Altalex

 

Giovedì, 15 Gennaio 2015
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