Guardate gli occhi di questo bambino, e pensate a cosa è
riuscito a fare della sua Vita. In questi giorni così intensi,
ci è venuto da pensare solo al lutto, alla grande opera
di un Uomo che ha interpretato al meglio la sua Missione, che
ha cambiato con la sua forza di volontà la storia del mondo.
Sono occhi determinati, che sembrano consapevoli di ciò
che sarà.
Sforziamoci per una volta, di non vivere spiaccicati solo sul
presente, e approfittiamo di questo Lungo Addio per pensare a
cosa è stato il mondo prima di Karol, cosa è stato
con lui affacciato al balcone del mondo e cosa sarà dopo,
quando un altro Lui reciterà l’Angelus, quando dovremo
per forza andare avanti, perché così avrebbe voluto
e perché così, in fondo, è la vita.
Gli abbiamo voluto bene, e questo è innegabile.
L’amore della gente è stata forse una delle poche
ricompense avute in vita, tra tante delusioni che il mondo gli
ha riservato, a lui che fraternizzava con i ragazzini ebrei del
suo quartiere poco prima che la Shoà cominciasse, a lui
orfano a soli 8 anni di una madre, ricordata fino all’ultimo
respiro, ed orfano di padre nella prima adolescenza. A lui attore,
sportivo, studente, operaio, prete, vescovo, cardinale e Papa.
Se ci si pensa vengono i brividi, solo a provare per un attimo
a immedesimarsi in Lui, a voler immaginare cosa ha provato quando
in quel mistero terreno che è il Conclave, il Camerlengo
pronunciò il suo nome alla stessa piazza sul mondo che
oggi gli tributa il Lungo Addio.
Sono giorni che saranno ricordati, che sono stati immortalati
da tutti i punti di vista, che hanno spettacolarizzato la fine
della vicenda terrena di un uomo che ha rappresentato Dio sulla
terra.
Impossibile dire ora quanto la sua opera abbia pesato sulla storia
moderna della nostra civiltà, ma sappiamo che Karol venuto
dal freddo ci ha conquistati, quando sciava, quando contemplava
le Alpi, quando portava a braccetto Sandro Pertini sui sentieri
innevati dell’Adamello o quando ruzzava con i giovani facendo
saltare i rigidi protocolli vaticani, mai rispettati perché
riscritti in continuazione.
Sappiamo che ci ha conquistati, quando Alì Agca gli sparò
contro due proiettili, deviati dall’Immacolata (lo diceva
Lui), tentando inutilmente di frenare la sua spallata poderosa
di atleta di Dio alla cortina di ferro, sfracellando l’impero
sovietico.
Ci ha conquistati, quando strinse il braccio di Agca in carcere,
e quella stretta del Protetto di Dio fece tremare i vertici del
Kgb e della Stasi. Il silenzio del suo segreto di Confessore,
fece più rumore della nitro, e l’onda d’urto
finì con lo spazzare via il muro.
C’è anche chi in questi giorni lo ha definito un uomo
medievale, cercando forse di ritagliarsi uno spazio di ribalta
a rebours, controcorrente.
La verità, secondo noi, è che Karol sia l’ultimo
gigante di una nuova era, piena di pressappochisti.
L’ultimo di una Casta di gente che non ha mai conosciuto
una sosta nella propria infaticabile opera, come quella pastorale
di Karol, il Polacco, l’Uomo che ha preso per mano l’umanità
e l’ha traghettata aldilà del secondo millennio, ottenendo
in cambio, spesso, di non essere nemmeno ascoltato.
Pensiamo alla guerra, alla strenua opera di mediazione che ha
portato avanti, anche quando i missili piovevano a grappoli sul
centro di Baghdad, piegandosi sulla croce nel suo calvario della
sofferenza del mondo.
Potremmo dire Ecce Homo, ma Karol si arrabbierebbe, perché
considererebbe blasfemo un paragone con l’Altissimo.
Nemmeno sul riconoscimento delle origini cristiane dell’Europa,
lui che è stato uno dei più convinti sostenitori
di un continente unificato, è stato alla fine preso in
considerazione, finendo col sentirsi dire da molti – che
oggi lo piangono – che un uomo di chiesa non dovrebbe impicciarsi
della Res Publica.
Sì, hanno dato dell’impiccione all’Uomo di Dio,
Eletto per fare quello, per evangelizzare, convertire, predicare.
Un impiccione che vedrà però 200 capi di stato ai
suoi funerali, e due milioni di Pellegrini in coda anche dieci
ore per sfilare davanti al suo corpo sfinito, esposto in abiti
medievali per l’ultimo atto.
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Ai
rifiuti dei potenti, Lui, si è sorretto nella fede, ed
è andato avanti, sapendo che molto di quello che ha seminato
sarà raccolto a lungo, negli anni a venire.
La Cina con la Chiesa patriottica e quella clandestina, che invia
condoglianze e auspica la riapertura delle relazioni diplomatiche,
Cuba, con Fidel che dichiara lutto nazionale per 2 giorni, o i
Talebani, che in un comunicato dicono “né gioia, né
dolore, ma quello che diceva è degno di nota”.
Sono regimi che uccidono, incarcerano, vietano. Ma che rendono
l’Onore delle Armi al proprio instancabile antagonista
Forse proprio quando ci accorgeremo di essere troppo appiattiti
in un continuo presente, vivendo come se ogni giorno fosse l’ultimo
o il solo degno di considerazione, saremo pronti a capire il messaggio
di Karol l’Evangelico, il portatore della Buona Novella.
Quando? Quando Smetteremo, per esempio, di considerare lo Tsunami
come la più grande tragedia mondiale, salvo poi svegliarci
il giorno dopo già satolli della nostra buona azione con
qualche messaggino inviato ai gestori telefonici, perdendo così
anche il gusto di alzare il sedere da una sedia e di fare una
coda in banca o alla posta.
Una certezza, come la sua fede incrollabile, come la mano rivolta
ai suoi figli, nella Piazza che gridava “Giovanni Paolo”,
e che non l’ha più abbandonato quando ha capito che
il Gigante aveva allungato il passo nel lungo cammino verso la
Verità.
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