Stupefacenti, detenzione, consumo di gruppo, sanzione amministrativa
Il c.d. consumo di gruppo di sostanze stupefacenti, sia nell'ipotesi di acquisto congiunto, che in quella di mandato all'acquisto collettivo ad uno dei consumatori, non è penalmente rilevante, ma integra l'illecito amministrativo sanzionato dall'art. 75, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, a condizione che: a) l'acquirente sia uno degli assuntori; b) l'acquisto avvenga sin dall'inizio per conto degli altri componenti del gruppo; c) sia certa sin dall'inizio l'identità dei mandanti e la loro manifesta volontà di procurarsi la sostanza per mezzo di uno dei compartecipi, contribuendo anche finanziariamente all'acquisto.
(1) (*) Riferimenti normativi: artt. 73 e 75, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
1) Cfr. Cass. Pen., SS.UU., sentenza 31 gennaio 2013, n. 25401 e, di recente, Cass. Pen., sez. IV, sentenza 23 gennaio 2014, n. 6782.
(Fonte: Massimario.it - 15/2015)
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Sentenza 2 dicembre 2014 - 9 gennaio 2015, n. 532
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNINO Saverio F. - Presidente -
Dott. DI NICOLA Vito - Consigliere -
Dott. GRAZIOSI Chiara - Consigliere -
Dott. ACETO Aldo - Consigliere -
Dott. PEZZELLA Vincenzo - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
H.I. N. IL (OMISSIS);
D.A. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 821/2012 CORTE APPELLO di TRIESTE, del 17/02/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 02/12/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Pasquale Fimiani, che ha concluso per l'inammissibilità dei proposti ricorsi.
Svolgimento del processo
1. La Corte di Appello di Trieste, pronunciando nei confronti di H.I. e D.A. in data 17.2.2014, preso atto dell'intervenuta sentenza n. 32/2014 della Corte Costituzionale e della conseguente reviviscenza di un trattamento sanzionatorio più favorevole per le cosiddette droghe leggere, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Gorizia il 10.11.2011, rideterminava la pena in mesi 10 e gg. 20 di reclusione ed Euro 2400 di multa ciascuno, con pena sospesa per entrambi confermando nel resto la sentenza impugnata.
Il giudice di prime cure, all'esito di giudizio abbreviato, aveva condannato i due, concesse loro le circostanze attenuanti generiche e operata la riduzione per il rito, alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed Euro 12.000 di multa ciascuno, essendo imputati:
H.
B) del delitto p. e p. dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 1 bis, (T.U.L.Stup.), per avere, senza l'autorizzazione di cui all'art. 17, illecitamente acquistato ricevuto, o comunque detenuto, a fini di spaccio, gr. 192,547 netti di hashish, sostanza stupefacente di cui alla tab. JA prevista dall'art. 14 della legge medesima.
In (OMISSIS).
D.
C) del delitto p. e p. dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 1 bis, (T.U.LStup.), per avere, senza l'autorizzazione di cui all'art. 17, illecitamente acquistato ricevuto, o comunque detenuto, a tini di spaccio, gr. 191,344 netti di hashish, sostanza stupefacente di cui alla tab. I prevista dall'art. 14 della legge medesima.
In (OMISSIS).
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, H.I. e D. A., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
H.I.:
a. EX ART. 606 c.p.p., lett. B), VIOLAZIONE E/O ERRATA APPLICAZIONE DEL D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73;
b. EX ART. 606 c.p.p., lett. E). INSUFFICIENZA ED ILLOGICITA' MANIFESTA DELLA DECISIONE DI CONDANNA. Secondo il ricorrente, in congruamente, i giudici d'appello hanno ritenuto, sulla scia della prima decisione, la destinazione in tutto o in parte della cessione a terzi della sostanza sequestrata all'imputato. Entrambe le decisioni di merito avrebbero valorizzato solo il dato quantitativo della marijuana in possesso del ricorrente, negando ogni peso ad una serie di altre circostanze accreditanti la tesi difensiva dell'uso personale e di gruppo delineata dal ricorrente.
Il Giudizio della Corte territoriale, in tal senso, sarebbe frutto di un'illazione/presunzione e si pone in contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità secondo la quale "per affermare che la sostanza detenuta è destinata ad un uso non esclusivamente personale non è sufficiente il superamento dei limiti ponderati fissati con D.M. ma occorre altresì prendere in considerazione anche gli altri indici probatori quali le modalità di presentazione, il peso lordo complessivo, il confezionamento eventualmente frazionato, ed ogni altra circostanza dell'azione che possa risultare significativa della destinazione all'uso non esclusivamente personale del soggetto agente, "(ex multis Cassazione n. 7578/2011; Cassazione n. 40575/2008).
I Giudici della Corte d'Appello, infatti, avrebbero ignorato sia le circostanze attinenti alla persona del ricorrente, consistenti nel suo stato di incensuratezza, nello svolgimento di un lavoro stabile, del suo vivere all'interno della famiglia, sia l'insussistenza di qualsiasi elemento di prova, quale il ritrovamento di strumenti per la pesatura o sostanza da taglio in uso all'imputato, o ancora la presenza di ipotetici clienti.
La perquisizione personale e quella domiciliare hanno avuto esito negativo e l'arresto differito non ha fatto emergere nessun coinvolgimento del ricorrente nell'attività di spaccio.
Ulteriormente, in sentenza;la Corte d'Appello (pagina 3-4) afferma "fondata ed incontrovertibile conclusione che la detenzione delle sostanze stupefacenti da parte del D. e dell' H. sia da qualificarsi come illecita discende dal rilevante valore economico globale della sostanza detenuta, valore assolutamente sproporzionato rispetto alle condizioni patrimoniali dei due appellanti, radicalmente privi di occupazione lecita e di dimostrate fonti di reddito e dal fatto che non è stato acquisito alcun elemento probatorio idoneo a fornire dimostrazione dell'esistenza di uno stato di tossicodipendenza da hashish, al più potendosi trarre dagli esami cimici prodotti dall' H. la sua qualità di assuntore della sostanza".
Anche in questo caso si deve constatare - secondo il ricorrente- che, impropriamente, la Corte d'Appello di Trieste avrebbe censurato la mancata allegazione da parte dell'imputato di uno stato di tossicodipendenza o di fonti o elementi asseveranti l'addotta destinazione della sostanza drogante all'uso personale o di gruppo.
Viene ricordato che sul punto la giurisprudenza di legittimità, ha più volte ribadito che "non è la difesa a dover fornire la dimostrazione di un uso personale dello stupefacente detenuto, ma è pur sempre la pubblica accusa che, secondo i principi generali, deve fornire la prova di una detenzione della droga per scopi diversi da quello del consumo personale.
Il semplice dato quantitativo del superamento dei limiti tabellari non produce alcuna inversione dell'onere della prova a carico dell'imputato - si lamenta ancora in ricorso - nè introduce alcuna presunzione relativa alla destinazione della droga ad attività cessoria" (ex multis si citano le pronunce di questa Corte n. 39262/2008; n. 12146/2009; n. 21870/2011).
Si evidenzia, pertanto, una lacunosità motivazionale della decisione affermativa della colpevolezza dell'imputato, in quanto la stessa sarebbe basata non su convergenti elementi indiziari che si sovrappongono alla ribadita eccedenza della sostanza drogante, ma su meri elementi congetturali, non idonei a vanificare sul piano logico la tesi difensiva avanzata dal ricorrente in punto di consumo personale o di gruppo della sostanza sottoposta a sequestro.
c. EX ART. 606 c.p.p., lett. B), VIOLAZIONE E/O ERRATA APPLICAZIONE DEL D.P.R. n. 309 del 1990, art. 75;
d. EX ART. 606 c.p.p., lett. E): INSUFFICIENZA ED ILLOGICITA' MANIFESTA DELLA MOTIVAZIONE;
Il ricorrente evidenzia che, in relazione all'esclusione del consumo di gruppo della sostanza stupefacente, da parte di entrambi i giudici del merito tutta la decisione ruota intorno alla discrepanza sui grammi che sarebbero stati acquistati dal ricorrente, anche in nome e per conto degli altri testi, e sul prezzo che ognuno di loro ha versato ("Orbene come correttamente evidenziato dal primo giudice, dalle suddette deposizioni si trae al più la prova del finanziamento da parte di T.T., R.M., F.M. e H.T. per l'acquisto di stupefacente - per 38-40 grammi..; che non risulta neppure certo che i quattro versarono ciascuno cento Euro a testa perchè il R. nel rispondere alla domanda sulla somma sborsata, ha riferito di cento Euro, ma ha anche detto che c'era chi magari ne ha messi 40, chi 60, se è una colletta, di talchè il quantitativo che i quattro amici si aspettavano di ricevere era di gran lunga inferiore al quantitativo di 200 grammi acquistato da ciascuno dei due imputati, cosicchè difetta la prova della codetenzione della prova di gruppo (sentenza Corte d'Appello, pagina 4).
Anche in questo caso il giudice triestino, facendo riferimento esclusivamente al dato quantitativo della sostanza, valuterebbe negativamente tutti quegli elementi che, viceversa, questa Corte Suprema indica come indice di un consumo di gruppo e cioè che il mandatario sia anche lui un assuntore; che sia certa fin dall'inizio l'identità dei componenti il gruppo e che gli effetti dell'acquisizione traslino direttamente in capo agli interessati. (Cassazione Sezioni Unite n. 25401/2013).
Il Giudice d'appello, nel confermare l'esclusione di una consumazione di gruppo della sostanza stupefacente, valuterebbe - senza però fornire un'adeguata motivazione - attendibile il coimputato Ha.
A. quando afferma che "sia H. sia D. hanno acquistato 200 grammi di hashish pagati 1.000,00 Euro ciascuno, mentre ritiene non credibile il ricorrente - anche in questo caso senza fornire una motivazione - nel momento in cui in sede di interrogatorio e nell'immediatezza dei fatti afferma che "avrebbe diviso un panetto da 200 grammi con il D. e che solo per comodità nel trasporto della sostanza si erano accordati per celare un panetto a testa sulla loro persona".
Il ricorrente si domanda sulla base di quali elementi il coimputato Ha.Ay. sia più attendibile del ricorrente H. se entrambi rilasciano queste dichiarazioni in sede di interrogatorio ed entrambi vengono fermati con addosso un panetto.
Il giudice del merito avrebbe dovuto fornire una puntuale spiegazione delle ragioni per cui le dichiarazioni del ricorrente risultino inattendibili.
Palese, poi, sarebbe la contraddittorietà della motivazione del giudice territoriale nella parte in cui, se da un lato riconosce una forma di finanziamento da parte dei testi - che quindi porta a ritenere che vi sia un preventivo mandato all'acquisto - dall'altro esclude il consumo di gruppo solo perchè ritiene non credibile che l'imputato abbia acquistato solo 100 grammi di sostanza e non un intero panetto (circa 200 grammi) come invece affermato dal coimputato Ha..
Ma allora il ragionamento del giudice dell'appello si potrebbe, secondo il ricorrente riassumere così: se fossero stati solo 100 grammi avrebbe riconosciuto il consumo di gruppo ed emesso sentenza di assoluzione, ma, visto che - arbitrariamente, unilateralmente ed in maniera immotivata - ha ritenuto che H. abbia acquistato l'intero panetto ha ritenuto corretto confermare la sentenza di condanna emessa dal Giudice di prima istanza.
e. EX ART. 606 c.p.p., lett. B), VIOLAZIONE E/O ERRATA APPLICAZIONE DEL D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5;
f. ex art. 606 c.p.p., lett. E). INSUFFICIENZA ED ILLOGICITA' MANIFESTA DELLA DECISIONE DI CONDANNA;
Il ricorrente evidenzia che si legge a pag. 5 della sentenza impugnata: "...in particolare ove la quantità della sostanza stupefacente sia non trascurabile come nel caso di specie, il dato ponderale può essere legittimamente reputato come un sintomo sicuro di un non trascurabile potenzialità diffusiva dell'attività di spaccio e, perciò, sufficiente a ritenere non integrata Ipotesi lieve di cui al V comma della legge stupefacenti":
Anche in questo caso i giudici di secondo grado avrebbero, dunque, attribuito decisivo valore al dato ponderale della sostanza stupefacente detenuta dall'imputato per giustificare il diniego dell'attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.
Ma, come affermato dalla più recente giurisprudenza di legittimità, l'elemento quantitativo non può considerarsi come unico ed esclusivo criterio valutativo della riconoscibilità o non dell'attenuante in parola, apparendo necessario tener conto anche dei mezzi, delle modalità e delle circostanze dell'azione che possono contribuire a delineare la concreta offensività del fatto reato.
Non potrebbe ignorarsi, allora, che la sostanza stupefacente sequestrata appartiene al genere delle droghe c.d. leggere, che l'imputato è immune da precedenti penali e che non risulta coinvolto in vicende di droga e che dispone di un lavoro stabile.
Chiede, pertanto l'annullamento dell'impugnata sentenza, ovvero, in subordine, la riforma della stessa, con ogni correlativa conseguenza di ragione e di legge.
- D.A.
a. Violazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per erronea applicazione della legge penale in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis, lett. a), relativamente alla non punibilità del cosiddetto "consumo di gruppo conseguente al mandato all'acquisto collettivo", altresì in relazione all'art. 605 c.p.p..
Il ricorrente ricorda che la corte di merito ha escluso, a suo avviso erroneamente, la fattispecie del cosiddetto acquisto per consumo di gruppo ritenendo il mero dato ponderale chiaro indice di una finalità di spaccio.
Viene ricordata la giurisprudenza di questa Corte di legittimità in materia di consumo di gruppo e, in particolar modo la pronuncia numero 25401/2013 delle Sezioni Unite per affermarsi che tutti i requisiti e parametri individuati in tale pronuncia ricorrerebbero nel caso di specie, essendo soddisfatti all'esito delle precise, univoche e concludenti dichiarazioni dei testi escussi e non ricorrendo alcun elemento di valutazione di segno contrario.
I testi escussi concordemente, infatti, avrebbero confermato le seguenti circostanze: 1) l'originaria volontà di provvedere all'acquisto di un unico quantitativo, da consumarsi all'interno del gruppo, in occasione di una festa cittadina, determinando altresì i tempi e modalità di assunzione; 2) l'originaria individuazione del gruppo dei coassuntori, coincidente con i soli imputati è testi escussi; 3) l'intendimento di procacciarsi lo stupefacente per il tramite degli stessi coassuntori e senza passaggi intermedi o ricorso a terzi estranei al gruppo; 4) l'effettivo conferimento ai soli D. e H. del mandato condurre le preliminari trattative e conseguentemente di procedere all'acquisto, il tutto per ragioni puramente logistiche essendo i prevenuti gli unici automuniti e liberi da concomitanti impegni lavorativi.
Non varrebbe pertanto, a contrario, così come erroneamente valorizzato dalla corte giuliana, l'esuberanza dello stupefacente rispetto alle rispettive aspettative di consumo, trattandosi di acquirenti-assuntori evidentemente ignari dei prezzi di mercato applicati al di sopra di una determinata soglia.
Invero, neppure la previsione di un consumo in tempi diversi (eventualmente frazionato, stante il quantitativo disponibile) condurrebbe ad una responsabilità penale (viene ricordato sul punto il precedente di questa Corte di legittimità numero 37989/2008 in cui si è precisato che il consumo di gruppo non richiede una fruizione contestuale.
b. Violazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per erronea applicazione del principio di colpevolezza "oltre ogni ragionevole dubbio" ex art. 533 c.p.p., comma 1, altresì in relazione all'art. 605 c.p.p.
Si lamenta che entrambi giudici di merito, fondando il proprio convincimento sul mero dato ponderale, avrebbero trascurato gli ulteriori elementi fattuali acquisiti agli atti del procedimento e l'esistenza di un'ipotesi alternativa dotata di razionalità e plausibilità pratica.
Le difese ricordano di avere introdotto, soprattutto attraverso l'escussione dei testi coassuntori, elementi di chiara giustificazione della disponibilità della sostanza e della sua finalità.
c. Violazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per manifesta illogicità della motivazione relativamente all'applicazione del principio di colpevolezza "oltre ogni ragionevole dubbio" ex art. 533 c.p.p., comma 1, altresì in relazione all'art. 605 c.p.p.
Si ricorda la giurisprudenza di questa Corte, e in particolar modo la sentenza 32494/2004 per affermarsi violato il principio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio", evidenziando ancora una volta come non basti il riferimento al dato ponderale e alla asseritamente eccessiva disponibilità patrimoniale dei giovani per sostenere la destinazione dello stupefacente allo spaccio.
Il valore ponderale poteva secondo il ricorrente essere utilizzato come dato indiziario, ma occorrevano ulteriori elementi idonei a confortare, a corollario, la tesi accusatoria. Infatti, anche qualora i ricorrenti avessero contribuito destinando se stessi una quota parte maggiore rispetto a quanto riservato gli altri mandanti, non vi sarebbe agli atti del procedimento alcun elemento idoneo ad escluderne la detenzione per un uso personale eventualmente prolungato, magari garantendosi una sorta di riserva approfittando del miglior prezzo d'acquisto legato al quantitativo.
d. Violazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per erronea applicazione della legge penale in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis, relativamente alla presunzione di destinazione dello stupefacente allo spaccio in ordine al quantitativo, altresì in relazione all'art. 605 c.p.p.
Viene ribadita con tale motivo la tesi secondo cui la Corte triestina avrebbe affermato la penale responsabilità degli imputati esclusivamente in relazione al dato ponderale e viene ricordata la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità che afferma non essere ciò possibile.
e. Violazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per erronea applicazione della legge penale in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis, lett. a), relativamente alla presunzione di destinazione dello stupefacente allo spaccio in ordine alla asseritamente eccessiva disponibilità economica, altresì in relazione all'art. 605 c.p.p.
Anche con tale motivo viene ribadita la tesi che, in relazione alle lamentando che si sarebbero dovute valutare anche altri elementi, quali la solida situazione familiare dei ricorrenti e altre circostanze che siano indicative di un uso non esclusivamente personale dello stupefacente detenuto.
f. Violazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per erronea applicazione dell'art. 530 c.p.p., comma 2, relativamente alla presunzione di destinazione dello stupefacente allo spaccio in ordine alla asseritamente eccessiva disponibilità economica, altresì relazione all'art. 605 c.p.p.
Richiamando l'argomentazione di cui al punto precedente, il ricorrente afferma che la sentenza violerebbe il principio di insufficienza della prova o diffonde il proprio convincimento su un elemento - ovvero sulla asserita esorbitante disponibilità economica- che non ha mai fatto ingresso nel giudizio. Tale aspetto non sarebbe stato mai dimostrato.
g. Violazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per erronea applicazione della legge penale in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, relativamente all'omesso riconoscimento dell'attenuante della cosiddetta lieve entità, altresì in relazione all'art. 605 c.p.p.
Sul punto si lamenta che la sentenza impugnata riporterebbe in parte motiva una decisa censura del dato ponderale, tuttavia omettendo ogni riferimento alle ulteriori complessive modalità dell'azione.
Nel caso di specie si sostiene che il collegio giudicante ha ritenuto che il quantitativo accertato sia stato da solo ostativo al riconoscimento dell'attenuante speciale e si ricorda la giurisprudenza in materia che assume essere ciò insufficiente (in particolar modo la sentenza numero 24432 del 2010).
h. Violazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per erronea applicazione della legge penale in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7, relativamente all'omesso riconoscimento dell'attenuante speciale del cosiddetto ravvedimento attivo, altresì in relazione all'art. 605 c.p.p.
Il ricorrente lamenta che la Corte d'appello avrebbe disconosciuto l'attenuante speciale, benchè il prevenuto avesse immediatamente collaborato spontaneamente con la polizia giudiziaria fornendo indicazioni sul soggetto cedente e sull'intero sistema di spaccio predisposto da quest'ultimo.
Tale contegno secondo il ricorrente gli doveva valere a riconoscere il cosiddetto utile contributo collaborativo ed avrebbe perciò errato la Corte territoriale nell'escludere lo stesso per la sola ragione che, in sede di riconoscimento fotografico, il D. avesse individuato un soggetto somigliante al M. (ovvero il pusher coimputato), il quale non era tuttavia compreso tra le immagini comparative sottopostegli dalla P.G.
Si evidenzia in ricorso che anche un contributo modesto e positivamente apprezzabile in relazione alla ridotta entità del traffico e tanto più quando l'errata identificazione fotografica del correo debba essere unicamente riconducibile - come nel caso di specie - ad una carenza investigativa non imputabili al dichiarante.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata, adottandosi i provvedimenti necessari e consequenziali.
Motivi della decisione
1. I sopra illustrati motivi sono tutti manifestamente infondati e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
2. Ricordato che già la Corte territoriale ha applicato agli imputati il più favorevole regime sanzionatorio che rivive per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, relativo alle droghe cosiddette "leggere" dopo la sentenza della Corte Costituzionale 32/2004, va rilevato che i motivi di cui all'odierno ricorso, in gran parte riproduttivi di quelli di appello, possono essere trattati raggruppati sotto tre questioni, comuni ad entrambi i ricorrenti: a) il mancato riconoscimento da parte dei giudici del merito del cosiddetto "consumo di gruppo", in quanto tale non punibile; b) l'avere i giudici del merito valorizzato quale prova della finalità di cessione a terzi il solo dato ponderale dello stupefacente caduto in sequestro; c) l'avere valutato solo il possesso del danaro senza avere considerato, al contempo, la situazione economica e familiare degli imputati.
Il secondo ricorrente si duole anche del mancato riconoscimento dell'ipotesi attenuata di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, e dell'attenuante di cui al comma 7, della medesima norma per la collaborazione.
Come visto in premessa, in relazione a tali temi, i ricorrenti propongono, alternativamente, violazione di legge e/o vizio motivazionale, ma in realtà, attraverso l'introduzione di elementi meramente fattuali, sollecitano a questa Corte di legittimità una rivalutazione del compendio probatorio non consentita in questa sede.
Sul punto va, peraltro, ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, vedasi questa sez. 3, n. 12110 del 19.3.2009 n. 12110 e n. 23528 del 6.6.2006).
Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l'illogicità della motivazione, per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (sez. 3, n. 35397 del 20.6.2007; Sez. Unite n. 24 del 24.11.1999, Spina, rv. 214794).
Più di recente è stato ribadito come, ai sensi di quanto disposto dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene nè alla ricostruzione dei fatti nè all'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento, (sez. 2, n. 21644 del 13.2.2013, Badagliacca e altri, rv. 255542).
Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto.
Non c'è, in altri termini, come richiesto nel presente ricorso, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. E ciò anche alla luce del vigente testo dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46. Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazìone dei fatti ovvero sè una rivalutazione del contenuto dette prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice dei merito.
Il ricorrente non può, come nel caso che ci occupa limitarsi a fornire une versione alternativa del fatto (il consumo di gruppo), senza indicare specificamente quale sia i punto della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta illogicità e, in concreto, da cosa tale illogicità vada desunta.
Com'è stato rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte, la sentenza deve essere logica "rispetto a sè stessa", cioè rispetto agli atti processuali citati.
In tal senso, la novellata previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da "altri atti dei processo", purchè specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha i trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto.
Avere introdotto la possibilità di valutare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti dei processo" costituisce invero il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto "travisamento della prova" che è quel vizio in forza del quale il giudice di legittimità, lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e dei contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato o meno trasfuso e valutato, senza travisamenti, all'interno della decisione.
In altri termini, vi sarà stato "travisamento della prova" qualora il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste (ad esempio, un documento o un testimone che in realtà non esiste) o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale (alla disposta perizia è risultato che lo stupefacente non fosse tale ovvero che la firma apocrifa fosse dell'imputato). Oppure dovrà essere valutato se c'erano altri elementi di prova inopinatamente o ingiustamente trascurati o fraintesi. Ma - occorrerà ancora ribadirlo - non spetta comunque a questa Corte Suprema "rivalutare" il modo con cui quello specìfico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito, giacchè attraverso la verifica del travisamento della prova.
Per esserci stato "travisamento della prova" occorre che sia stata inserita nel processo un'informazione rilevante che invece non esiste nel processo oppure si sia omesso di valutare una prova decisiva ai fini della pronunzia.
In tal caso, però, al fine di consentire di verificare la correttezza della motivazione, va indicato specificamente nel ricorso per Cassazione quale sia l'atto che contiene la prova travisata o omessa.
Il mezzo di prova che si assume travisato od omesso deve inoltre avere carattere di decisività. Diversamente, infatti, si chiederebbe al giudice di legittimità una rivalutazione complessiva delle prove che, come più volte detto, sconfinerebbe nel merito.
3. Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta questa Suprema Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato si palesano manifestamente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d'Appello di Trieste alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva.
Il ricorrente non contesta il travisamento di una specifica prova, ma sollecita a questa Corte una diversa lettura dei dati processuali non consentito in questa sede di legittimità.
I giudici del gravame di merito con motivazione specifica, coerente e logica - e pertanto immune dai denunciati vizi di legittimità - hanno, infatti, dato conto, come si vedrà, del perchè non hanno ritenuto verosimile che si fosse di fronte ad un caso di c.d. consumo di gruppo e, ancora, di quali fossero gli indici avuto riguardo ai quali hanno ritenuto che lo stupefacente caduto in sequestro fosse destinato alla cessione a terzi.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia il ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma per quanto sin qui detto un siffatto modo di procedere è inammissibile perchè trasformerebbe questa Corte di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto.
Quanto al consumo di gruppo, la Corte triestina pare fare buon governo dei principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte Suprema secondo cui, anche all'esito delle modifiche apportate dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49, al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, il c.d. consumo di gruppo di sostanze stupefacenti, sia nell'ipotesi di acquisto congiunto, che in quella di mandato all'acquisto collettivo ad uno dei consumatori, non è penalmente rilevante, ma integra l'illecito amministrativo sanzionato dall'art. 75, stesso D.P.R., a condizione che: a) l'acquirente sia uno degli assuntori; b) l'acquisto avvenga sin dall'inizio per conto degli altri componenti del gruppo; c) sia certa sin dall'inizio l'identità dei mandanti e la loro manifesta volontà di procurarsi la sostanza per mezzo di uno dei compartecipi, contribuendo anche finanziariamente all'acquisto, (così Sez. Un. n. 25401 del 31.1.2013, Pc in proc. Galluccio, che in motivazione, hanno precisato che con il riferimento all'uso "esclusivamente personale", inserito dal D.L. n. 272 del 2005, art. 4 bis, conv. in L. n. 49 del 2006, il legislatore non ha introdotto una nuova norma penale incriminatrice, con una conseguente restrizione dei comportamenti rientranti nell'uso personale dei componenti del gruppo, ma ha di fatto ribadito che la non punibilità riguarda solo i casi in cui la sostanza non è destinata a terzi, ma all'utilizzo personale degli appartenenti al gruppo che la codetengono; conf. la recentissima sez. 3, n. 45926 del 9.10.2014, Carini, non mass.).
Nel solco di tale pronuncia è stato poi, di recente ribadito che non ricorre l'ipotesi di consumo di gruppo di sostanze stupefacenti, che implica l'irrilevanza penale del fatto, quando difetti la prova della parziale coincidenza soggettiva parziale tra acquirente e assuntore dello stupefacente; della certezza sin dall'origine dell'identità dei componenti il gruppo; della condivisa volontà di procurarsi la sostanza destinata al paritario consumo personale; dell'intesa raggiunta in ordine al luogo e ai tempi del consumo; dell'immediatezza degli effetti dell'acquisizione in capo agli interessati senza passaggi intermedi (sez. 4, n. 6782 del 23.1.2014, Cheggoue e altro, rv. 259285).
Nella motivazione del provvedimento impugnato, non risulta nè affermato, nè documentata la destinazione dello stupefacente all'uso di gruppo, a fronte del sottostante mandato all'acquisto - secondo quanto sostenuto dai difensori - conferito all' H. e al D. dai quattro amici escussi in sede di abbreviato condizionato, le cui deposizioni (pagg. 6 e 7 della sentenza di primo grado) la Corte triestina ha richiamato.
La Corte territoriale, infatti, con motivazione logica, fa proprie le conclusioni del giudice di primo grado, secondo cui, dalle suddette deposizioni si trae, al più, la prova del finanziamento da parte di T.T., R.M., F.M. e H.T. per l'acquisto di stupefacente per 38-40 grammi (T., infatti, riferisce che si aspettava di ricevere 8 grammi, a differenza degli altri tre testi che riferiscono di aspettative per 10 grammi a testa); che non risulta neppure certo che i quattro versarono ciascuno 100 Euro a testa perchè il R., nel rispondere alla domanda sulla somma sborsata, ha riferito di cento Euro, ma ha detto anche che c'era "... chi magari ne ha messi 40 (di Euro), chi 60, se è una colletta" (cfr. pagina 10 dello stenotipico) (non i 150 Euro a testa cui si riferisce la difesa del D.) di tal che il quantitativo che i quattro amici si aspettavano di ricevere era di gran lunga inferiore al quantitativo di 200 grammi acquistato da ciascuno dei due imputati, cosicchè difetta la prova della codentezione per uso di gruppo.
In altri termini la Corte territoriale ha logicamente ritenuto che non fosse comprensibile per quale ragione, se davvero era destinato ad un consumo di gruppo ed era poi da spartire nel gruppo, i due acquirenti o presunti tali avrebbero dovuto dividersi già tra loro lo stupefacente.
Per escludere il consumo di gruppo - e anche la riconducibilità del caso concreto all'ipotesi attenuata di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, oltre a ciò, sono stati valorizzati altri elementi, quali l'occultamento dello stupefacente all'interno degli slip, l'inversione di marcia cercando di eludere l'intervento della polizia e le contraddittorie dichiarazioni rese nell'immediatezza dei fatti dagli arrestati. A ciò è stato poi certamente aggiunta anche la valutazione del rilevante valore economico globale della sostanza detenuta, valore assolutamente sproporzionato rispetto alle condizioni patrimoniali dei due odierni ricorrenti, che la Corte territoriale ricorda essere privi di occupazione lecita e di dimostrate fonti di reddito.
La conclusione, coerente con tali evidenze probatorie, è stata, dunque, che la condotta degli odierni appellanti non appare correlabile al consumo (personale o di gruppo) in termini di immediatezza, laddove, di contro indici sintomatici della finalità di spaccio - da apprezzarsi sia nella detenzione individuale che in quella di gruppo - sono rappresentati da quanto sopra evidenziato in ordine alla quantità della sostanza detenuta, alla sua composizione, al numero di dosi ricavabili, anche in relazione alle condizioni di reddito dei detentori.
4. Quanto al dato ponderale, è effettivamente principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che il solo dato ponderale dello stupefacente rinvenuto - e l'eventuale superamento dei limiti tabellari indicati dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 bis comma 1, lett. a), - non determina alcuna presunzione di destinazione della droga ad un uso non personale, potendo essere considerato solo un mero indizio (così sez. 6, n. 39977 del 19.9.2013, Tayb, rv. 256611).
Tuttavia, non è vero che nella sentenza impugnata è stato valorizzato il solo dato quantitativo non modico.
La circostanza che ciascuno dei due arrestati fosse in possesso di un panetto di hashish da cui si potessero ricavare 340 dosi, infatti, è stato elemento sì preponderante, ma valutato in via logica unitamente con la contemporanea presenza sulla stessa vettura di un altro soggetto.
Si è tenuto conto, infatti, sia di tutti i dati già illustrati che avevano consentito di non ritenere sussistente il consumo di gruppo, che, anche del fatto che fosse era stato acquisito alcun elemento probatorio idoneo a fornire la dimostrazione dell'esistenza di uno stato di tossicodipendenza da hashish, potendosi trarre solo dagli esami clinici prodotti dall' H. la sua qualità di occasionale assuntore della sostanza.
5. In ultimo, la Corte territoriale motiva in maniera logica e congrua sul perchè non ritenga che qualificazione del fatto possa essere sussunta nella autonoma fattispecie di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, ritenendo non versarsi in ipotesi di minima offensività penale della condotta e ricordando in proposito che - secondo la giurisprudenza di questa Corte di legittimità - per concedere la circostanza attenuante del fatto di lieve entità occorre che la fattispecie risulti di "offensività trascurabile", sia in relazione all'oggetto materiale del reato (per le caratteristiche qualitative e quantitative della sostanza stupefacente), che in relazione all'azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), di tal che il vaglio negativo di uno solo dei parametri di riferimento individuati dalla legge, con decisività almeno pari a quella di tutti gli altri, comporta ineluttabilmente l'inconfigurabilità dell'ipotesi attenuata.
Alla luce di tali principi, è stato ritenuto che nel caso di specie che la quantità della sostanza stupefacente (più di duecento grammi lordi di sostanza occultata negli slip da ciascuno dei componenti l'equipaggio fermato dai carabinieri, nonostante il tentativo messo in atto di eludere il controllo da parte del D.) non fosse trascurabile, avendo la Corte territoriale legittimamente reputato tale dato quantitativo come sintomo sicuro di una non trascurabile potenzialità diffusiva dell'attività di spaccio e, perciò, sufficiente a ritenere non integrata l'ipotesi lieve di cui al comma 5, della legge stupefacenti.
Analogamente, la Corte triestina ha già dato risposta alla doglianza, oggi riproposta, spiegando che non poteva accordare l'attenuante speciale di cui al all'art. 73, comma 7, perchè gli imputati si erano limitati ad operare una individuazione fotografica dei fornitori, peraltro neppure coincidente tra loro, così facendo non arrecando alcun contributo significativo alla repressione del traffico illecito mediante l'arresto dei fornitori ovvero la sottrazione al mercato di sostanze illecite.
6. Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell'art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2015