Il caso
Semafori: cinquanta sfumature di giallo
A Genova li stanno mettendo a posto in queste settimane. Nei semafori pedonali il «giallo» viene allungato, per evitare che ci si ritrovi in mezzo alla strada quando le auto schizzano con il verde. «Serve a tutelare soprattutto gli utenti più deboli, anziani o mamme con passeggini» spiega Anna Maria Dagnino, assessore cittadina alla Mobilità. E ammette: «È un adeguamento graduale, per finire ci mancano ancora due semafori».
La regola, che impone di calcolare mediamente un secondo per ogni metro da percorrere, per la verità non è nuovissima. È stata prevista nel 1992 - ben 23 anni fa - dal regolamento del Codice della strada che chiedeva di armonizzare al più presto tutti gli impianti. Evidentemente non è andata così. Genova non è stata la più lesta ma purtroppo non è neanche l’ultima. Leggi applicate a rilento, ma soprattutto sconosciute.
Di fatto, se il giallo si allunga si accorcia il verde
«Si fa troppo poco per informare i cittadini - osserva Marco Pollastri del Centro Antartide, promotore della campagna “Siamo tutti pedoni” -. Non può bastare l’introduzione della norma se poi non si attivano le leve culturali. Pensate a un anziano che ha preso la patente cinquant’anni fa e a cui nessuno ha fatto un aggiornamento. Molti non sanno cosa fare in una rotatoria o, appunto, di fronte a un semaforo pedonale».
Di fatto, se il giallo si allunga - visto che le auto non si possono tenere ferme troppo, altrimenti si intasano le città - è il verde che si accorcia: spesso dura pochi secondi, giusto il tempo per segnalare che la strada è libera e si può passare. Insomma, si attraversa con il giallo e non più con il verde. Una rivoluzione, ma chi non lo sa (la maggioranza) entra nel panico, si ritrova in mezzo alla carreggiata e non sa se andare avanti o tornare indietro.
«È una regola che non mi piace e che non garantisce la sicurezza del pedone». L’ingenere Enrico Pagliari, coordinatore dell’area tecnica dell’Aci e membro dell’Aiit (l’Associazione per l’ingegneria del traffico e dei trasporti) non ha dubbi: «Intanto induce confusione, io stesso la prima volta me la sono fatta spiegare. E poi, il calcolo di un metro al secondo va bene per una persona normodotata che nemmeno si distrae, non per chi ha un passeggino o i pacchi della spesa».
Le altre opzioni: abolire il giallo
Proprio Aci e Aiit hanno proposto formule diverse: semafori con solo due colori, il verde e il rosso scanditi da un conto alla rovescia in secondi; e una stima della «velocità» del pedone più bassa del 25% per cento, 0,75 metri al secondo. «Nessuna invenzione. È quello che si fa in altre nazioni, come negli Stati Uniti o in Nuova Zelanda».
Soluzione che non convince Antonio Pratelli, docente all’Università di Pisa del corso di Tecnica del traffico. «In fase di progettazione - spiega - si tiene in considerazione in genere l’85% della popolazione, c’è sempre una coda che resta fuori. Non ha senso progettare un semaforo per la persona più lenta, oppure una strada a otto corsie in base al traffico del Lunedì di Pasqua».
Sicuramente non è affare semplice individuare i giusti tempi di un semaforo, e lo sanno bene i sindaci subissati da valanghe di proteste. «Se il verde pedonale è troppo lungo, l’automobilista che si ferma e non vede attraversare nessuno, il giorno dopo passerà con il rosso. E questo deve essere assolutamente evitato, la sicurezza viene prima di tutto» aggiunge il professor Pratelli.
Tra le vittime della strada, un pedone su tre perde la vita mentre attraversa sulle strisce
Le cifre sono drammatiche: il 42% dei morti in città per incidenti stradali sono pedoni o ciclisti; un pedone su tre perde la vita mentre attraversa sulle strisce (lì dove si sente più sicuro e abbassa l’attenzione), oltre il 50% delle vittime ha più di 65 anni. In dieci anni, oltre 7.000 morti e 200.000 mila feriti.
Non è dunque una banale questione cromatica, la durata e l’efficacia di un semaforo servono a misurare la vivibilità dei nostri centri, il grado di civiltà di una società. «Le nostre città sono delle giungle - riflette Angela Cattaneo, docente di Sociologia della sicurezza sociale alla Sapienza -. E gli attori sociali (pedoni, ciclisti e automobilisti) si fanno la guerra vestendo di volta in volta i ruoli di vittima o di carnefice».
Certo che regole poco chiare e male applicate non aiutano. «Il semaforo viene installato e abbandonato - conclude il professor Pratelli -. Dopo vent’anni a volte tutto è cambiato, magari attorno è nato un quartiere, ma lui funziona sempre allo stesso modo».
di Riccardo Bruno
da corriere.it