Pass invalidi: esibire fotocopia non sempre è reato
Secondo la sentenza n. 19040/2015 della Suprema Corte, l'alterazione della copia fotostatica di un documento, priva di attestazione di autenticità, esibita come tale e senza farla valere come originale, non integra il delitto di falsità materiale, in considerazione del fatto che la copia, pur avendo la funzione di assumere l'apparenza dell'originale, mantiene tuttavia la sua natura di mera riproduzione e non può acquisire una valenza probatoria equiparabile a quella di un documento originale, se non attraverso l'attestazione di conformità legalmente appostavi.
La Corte di Appello di Milano oggetto di gravame di legittimità e che offre alimento al presente contributo, confermava la sentenza di primo grado con cui l’imputato Tizio veniva condannato siccome ritenuto responsabile del delitto di falsità materiale commessa dal privato in certificati o autorizzazioni amministrative e di cui al combinato disposto degli artt. 477 e 482 cod. pen., per avere contraffatto un pass per invalidi abilitante al transito nelle zone Z.T.L.
Nello specifico a Tizio veniva contestato il possesso e l’esposizione sul lunotto della propria autovettura della fotocopia di un permesso per invalidi, relativo alla propria madre, per l’accesso alla zona cittadina di traffico limitato. Ancora più nel dettaglio, a Tizio veniva contestato che oltre alla effettiva esistenza di un pass valido l’imputato avrebbe effettuato una fotocopia a colori della detta autorizzazione amministrativa e l’avrebbe apposta sul lunotto dell’autovettura, in ciò sostanziandosi la contestata condotta di contraffazione del supporto documentale.
Avverso il pronunciamento della Corte Distrettuale l’imputato interponeva personalmente ricorso di legittimità denunciando la violazione di legge oltre che l’illogicità della motivazione, in punto affermazione di penale responsabilità.
Il ricorrente osserva come la fotocopia di un documento originale, se priva di qualsiasi attestazione che ne confermi la sua originalità, non integra il protocollo di tipicità materiale di un delitto di falso documentale, potendo al più risultare integrato i lineamenti di tipicità strutturale del delitto di truffa ove risultasse l’attitudine decettiva della detta fotocopia rispetto alla buona fede dei consociati. Sennonché nel caso di specie il delitto di truffa non era stato contestato né ipotizzato, neppure in fase di indagini.
Il Giudice della Nomofilachia ha accolto il ricorso dell’imputato richiamando, peraltro, l’orientamento esegetico, oramai consolidato, a mente del quale anche l’alterazione della copia fotostatica di un documento, priva di attestazione di autenticità, esibita come tale e senza farla valere come originale, non integra il delitto di falsità materiale, in considerazione del fatto che la copia, pur avendo la funzione di assumere l’apparenza dell’originale, mantiene tuttavia la sua natura di mera riproduzione e non può acquisire una valenza probatoria equiparabile a quella di un documento originale, se non attraverso l’attestazione di conformità legalmente appostavi.
Sulla scorta di tali considerazioni la Corte di cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza gravata, avuto riguardo all’insussistenza del fatto contestato.
La pronuncia in commento consente di svolgere rapide considerazioni su di un tema che, per quanto apparentemente semplice, si staglia al centro di un singolare pendolarismo giurisprudenziale: trattasi della problematica della rilevanza penale della immutatio veri che abbia ad oggetto una copia fotostatica di un supporto documentale originale ed effettivamente esistente.
Secondo un, per il vero non molto risalente approccio ermeneutico, integra il reato di falsità materiale del privato in certificati e autorizzazioni amministrative ex artt. 477 e 482 cod. pen., la riproduzione fotostatica del permesso di parcheggio riservato agli invalidi, a nulla rilevando l'assenza del timbro a secco e, comunque, dell'attestazione di autenticità, la quale non incide sulla rilevanza penale del falso allorché, come nella specie, il documento abbia l'apparenza e sia stato utilizzato come originale, considerata anche la notevole sofisticazione raggiunta dai macchinari utilizzati, capaci di formare copie fedeli all'originale, come tali idonee a consentire un uso atto a trarre in inganno la pubblica fede (sic Cass. pen. Sez. V Sent., 19/03/2008, n. 14308, in CED Cassazione, 2008; analogamente v. Cass. pen. Sez. V, 11/07/2005, n. 35165). A mente di tale orientamento esegetico, pertanto, a rilevare è la modalità di impiego del supporto documentale: si vuole dire, in tale ottica interpretativa, che il falso documentale può sussistere anche nell'ipotesi in cui il falso ricada su una semplice fotocopia, allorquando questa risulti presentata non come tale, ma con l'apparenza di un documento originale, atto a trarre in inganno i terzi di buona fede; non sussistendo, per contro, quando la copia fotostatica sia presentata come tale, dal momento che essa è idonea a produrre effetti giuridici solo se autenticata o non espressamente disconosciuta.
Ponendosi su altro versante ermeneutico la Suprema Corte di cassazione afferma molto opportunamente, nel caso in esame, che la copia fotostatica a colori di un permesso di parcheggio per invalidi, se priva di qualsiasi attestazione di autenticità, non integra il reato di falsità materiale commessa da privato e di cui al combinato disposto degli artt. 477 e 482 cod. pen., né altre ipotesi di falso documentale, quantunque risulti la titolarità da parte dell’imputato del permesso originale, anche se in possesso di una sola autovettura.
Tale approccio esegetico si registra anche con riferimento all’uso di copia fotostatica di una ricetta medica, priva di qualsiasi attestazione che ne confermi la autenticità. Anche tale fenomenologia non integra, infatti, i tasselli strutturali del reato di falsità materiale commessa da privato, né altre ipotesi di falso documentale; e ciò quantunque la fotocopia veicoli, in misura maggiore o minore, l'apparenza dell'originale, dal momento che la sua formazione non costituisce, in sé, comportamento penalmente rilevante, pur avendo detta copia, in astratto e per la sua verosimiglianza, attitudine a trarre in inganno i terzi.
Ed in effetti, proprio in ragione di tale coefficiente di decettività veicolato dalla copia fotostatica, al più la condotta di utilizzo improprio della detta fotocopia riproducente il documento originale, potrebbe detonare il modulo sanzionatorio del delitto di truffa.
In altri termini, la riproduzione fotostatica di un documento originale non integra sic et simpliciter il reato di falso quando, nell'intenzione dell'agente e nella valenza oggettiva, l'atto sia presentato come fotocopia, con la conseguenza, che se non ne è attestata la conformità all'originale, è priva di rilevanza ed effetti, anche penali; laddove, per contro, la fotocopia integra il reato di falsità materiale allorquando essa si presenti non come tale, bensì con l'apparenza di un documento originale, atto a trarre in inganno; e ciò in quanto è evidente che sarebbe un non senso parlare di attestazione di conformità all'originale (in tal senso, ex plurimis, cfr. Cass. pen. Sez. V, 17/06/1996, n. 7717, Riv. Polizia, 1997, 815).
Del resto, a parere di chi scrive, tale approccio ermeneutico trova diversi punti di sostegno, sia normativi che logico-giuridici.
Anzitutto tale orientamento interpretativo si pone in linea con il dato testuale della norma incriminatrice, la quale che si riferisce alla formazione di un atto falso o alla alterazione di un atto vero, mentre non fa riferimento alcuno alla copia fotostatica di esso.
Per altro verso, non può non considerarsi ed apprezzarsi l'assenza di capacità o valenza probatoria della fotocopia di un documento, inidonea per ciò stesso a ledere il bene giuridico della pubblica fede, presidiato dalle norme incriminatrici in tema di falso documentale. Con la conseguenza che una fotocopia potrà rilevare solo ove appaia oggettivamente come un atto originale (c.d. falso originale).
Peraltro, la Corte di cassazione, in talune sue pronunce ha finanche affermato che la copia fotostatica, se presentata come tale e priva di qualsiasi attestazione che ne confermi l'autenticità, non può mai integrare il reato di falso, addirittura nel caso di inesistenza del documento originale ed asseritamente duplicato, perché per sua natura priva di valenza probatoria. Ovviamente tale fenomenologia ben può detonare e rientrare nell’alveo di operatività del reato di truffa. In altri termini, in tanto potrà trovare applicazione la normativa sui delitti di falso, in quanto la copia fotostatica di un documento venga presentata con l'apparenza di un documento originale, atto a trarre in inganno i terzi di buona fede (per approfondimenti in materia di fenomenologie di falsificazione propria e impropria si rinvia, sommessamente, a voce CRIMI F., Falso (delitti di), in Digesto Discipline Penalistiche, Aggiornamento, IV ed., 2008, Torino, Utet).
A chiosa di tale sintetico contributo non può che condividersi il precipitato decisorio partorito dal Giudice della Nomofilachia a tenore del quale anche l’alterazione della copia fotostatica di un documento, priva di attestazione di autenticità, esibita come tale e senza farla valere come originale, non integra il delitto di falsità materiale, in considerazione del fatto che la copia, pur avendo la funzione di assumere l’apparenza dell’originale, mantiene tuttavia la sua natura di mera riproduzione e non può acquisire una valenza probatoria equiparabile a quella di un documento originale, se non attraverso l’attestazione di conformità legalmente appostavi.
(Nota di Francesco Crimi tratta da Il Quotidiano Giuridico Wolters Kluwer)