Carabiniere morì in incidente durante inseguimento coi ladri, condannato anche il suo collega: “non fu prudente"
LECCE – Durante un inseguimento tra “guardie e ladri”, il suo capopattuglia morì sul colpo, mentre lui, che si trovava alla guida dell’Alfa dei Carabinieri, rimase ferito gravemente. Per il giudice, però, la “colpa” di quel sinistro mortale fu anche sua: non fu abbastanza prudente. E ora dovrà risarcire i familiari della vittima.
È questo il verdetto del processo scaturito – in sede civile – dalla morte dell’appuntato scelto Michelino Vese, originario di Galugnano, la frazione di San Donato di Lecce, tragicamente scomparso all’età di 38 anni nelle campagne a ridosso della strada provinciale Botrugno – Supersano, mentre insieme ad un collega tallonava un camion carico di mobili rubati a Bagnolo del Salento, ingaggiando un conflitto a fuoco con altri malviventi, che scortavano il mezzo a bordo di un’Audi. La pattuglia finì fuori strada e successivamente contro un albero, per poi terminare la sua corsa in un canale, durante lo spericolato inseguimento.
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Michelino Vese |
Lo ha deciso il got della prima sezione civile del Tribunale di Lecce, avvocato Grazia Carignani, che ha così accolto le richieste di risarcimento danni (riunite in un unico procedimento) formulate dalla moglie e dal figlio del carabiniere, nonché dalla sorella della vittima, nei confronti del Ministero della Difesa, del collega della vittima e dei due supersanesi Giuseppe Corrado ed Alessandro Musio, questi ultimi due condannati – in sede penale – per la morte dell’appuntato di Galugnano.
Alla vedova del carabiniere ed al figlio, alla data dei fatti di 34 e 7 anni, il Dicastero dovrà sborsare – in solido con Corrado e Musio – 250mila euro ciascuno oltre interessi. Alla sorella di Vese, invece, andranno 20mila euro, che saranno sborsati in solido dallo stesso Ministero della Difesa e dal carabiniere al volante dell’Alfa, originario della provincia di Potenza, ritenuto corresponsabile del drammatico incidente stradale.
I fatti risalgono alla notte del 14 dicembre 2004, quando Vese ed il collega – entrambi in forza al Nucleo operativo e radiomobile della Compagnia di Maglie – intercettano sulla provinciale il camion carico di mobili ed un’Audi S4 station wagon, che faceva da “scorta”. Dopo avere tentato di sbarrare la strada col furgone, i due malviventi a bordo del camion raggiungono i due complici a bordo dell’Audi, esplodendo nei confronti della pattuglia un colpo di pistola e dando il via, così, ad un inseguimento a forte velocità, scandito da numerosi colpi d’arma da fuoco.
La tragedia avviene all’improvviso, quando il militare che guidava affronta una curva e perde il controllo dell’Alfa, sbandando e finendo fuori strada, per poi sbattere contro un albero e quindi capovolgersi in un canale di raccolta delle acque. Lo schianto risulta fatale per lo sfortunato militare di Galugnano, mentre il collega sopravvive, pur restando ferito gravemente.
Secondo il giudice Carignani, come detto, la “colpa” di quel drammatico incidente fu anche del carabiniere che si trovava alla guida della pattuglia: “anche se era in corso un’operazione di polizia”, scrive il giudice, “il militare-conducente aveva l’onere di effettuare un ponderato contemperamento dei rischi”, badando a rispettare le regole della comune diligenza e prudenza.
La moglie ed il figlio di Vese erano assistiti dall’avvocato Antonio Lezzi, la sorella dall’avvocato Antonio Coluccia.
di Claudio Tadicini
da corrieresalentino.it
Una sentenza amara come il fiele che però deve fare riflettere. Secondo il giudice la “colpa” di quel drammatico incidente fu anche del carabiniere che si trovava alla guida della pattuglia: “anche se era in corso un’operazione di polizia”, scrive il giudice, “il militare-conducente aveva l’onere di effettuare un ponderato contemperamento dei rischi”, badando a rispettare le regole della comune diligenza e prudenza. (ASAPS)