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L'interpretazione sul concetto della presenza di più persone nel nuovo oltraggio a pubblico ufficiale

(Tribunale, Padova, sentenza 16 febbraio 2015, n. 436)
Una recente pronuncia del Tribunale patavino ha fornito una nuova lettura del concetto della presenza di più persone, in relazione al delitto previsto e punito dall’art. 341 bis c.p., ritenendo non necessaria ai fini dell’integrazione dello stesso la percezione dell’offesa.
Preme quindi brevemente delineare la fattispecie di reato di cui trattasi.

Il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale è stato reintrodotto dalla L. 15 luglio 2009 n. 94, facendo seguito all’abrogazione dell’art. 341 c.p. ad opera della L. 25 giugno 1999, n. 205. La nuova formulazione riprende la disposizione dell'abrogato art. 341 c.p., ma contiene notevoli elementi di differenziazione.  Il legislatore ha difatti previsto elementi di tipicità della fattispecie più stringenti rispetto alla previgente formulazione. In adesione alla volontà legislativa di selezionare il novero delle condotte punibili, sono stati introdotti requisiti quali la contestualità tra l’offesa ed il compimento dell’atto d’ufficio, la verificazione del fatto in un luogo pubblico o aperto al pubblico e la necessaria presenza di più persone oltre all’agente ed alla persona offesa. Il reato ex art. 341 bis c.p. presenta natura plurioffensiva, poiché nel contempo lede il prestigio della Pubblica Amministrazione ed il regolare svolgimento della funzione pubblica esercitata, nonché l'onore del pubblico ufficiale quale persona fisica. Ciò è confermato dalla previsione, nell’ultimo comma, della causa di estinzione del reato, consistente nell'integrale risarcimento del danno, che deve interessare tanto il pubblico ufficiale offeso quanto l'ente di appartenenza. 

Gli elementi costitutivi del delitto di oltraggio a pubblico ufficiale sono: l'offesa recata all'onore ed al prestigio del pubblico ufficiale; il compimento della condotta nel momento in cui il pubblico ufficiale sta ponendo in essere un atto d'ufficio ed a causa o nell'esercizio delle sue funzioni; la presenza di più persone; il fatto che l’azione criminosa si svolga in un luogo pubblico o aperto al pubblico. A differenza dell’abrogato art. 341 c.p., la nuova norma richiede che i due elementi dell’onore e del prestigio siano lesi congiuntamente e non più alternativamente: per la sussistenza del delitto non è più sufficiente l’offesa dell’onore del pubblico ufficiale, ma è sempre necessario che la stessa si riverberi sulle qualità che riguardano il ruolo pubblico rivestito. La nozione di onore è comune al delitto di ingiuria ed indica le qualità morali della persona che concorrono a costituire il valore sociale dell'individuo; per prestigio deve invece intendersi quella particolare forma di decoro attinente alla dignità ed al rispetto da cui la pubblica funzione deve essere circondata. La definizione di pubblico ufficiale viene codicisticamente delineata all’art. 357 c.p.. L’oltraggio a pubblico ufficiale è un reato comune, poiché può essere commesso da parte di chiunque. La persona offesa è necessariamente un pubblico ufficiale durante il compimento di un atto d’ufficio, in quanto deve sussistere il nesso di contestualità e di causalità tra quest’ultimo e la condotta. Va rilevato che dottrina e giurisprudenza abbracciano una nozione ampia di atto d’ufficio, ricomprendendovi non solo l’atto giuridico, ma qualsiasi comportamento che costituisca esercizio della funzione svolta, incluse le attività connesse contestuali o successive e quelle preparatorie. Il delitto ex art. 341 bis c.p. è punito a titolo di dolo generico, essendo sufficiente la consapevolezza della qualità di pubblico ufficiale del destinatario delle espressioni ingiuriose e del significato offensivo della propria condotta.  Ciò premesso, devesi considerare che, nella fattispecie concreta oggetto della suindicata sentenza, la condotta incriminata presenta tutti gli elementi sopra elencati, tuttavia non è emerso all’esito dell’istruttoria dibattimentale che l’offesa sia stata effettivamente avvertita da altre persone rispetto all’imputato stesso ed alle due persone offese. Risulta opportuno a questo punto soffermarsi sulla mancata percezione da parte dei passanti delle frasi pronunciate dall’imputato e valutare se ciò rilevi ai fini dell’integrazione della fattispecie di reato de qua. Secondo l’approccio interpretativo adottato dal Giudicante, con la sentenza in commento, per la sussistenza del delitto ex art. 341 bis c.p., è sufficiente la presenza di due o più persone, oltre all’offeso e all’offensore, al momento del fatto, essendo irrilevante l’effettiva percezione dell’offesa. 

Detto assunto si fonderebbe sul tenore letterale della norma, che recita “presenza” e non anche effettiva “percezione”. Conseguentemente, il Giudicante ha affermato che “ad avviso della scrivente la ‘presenza di più persone’ deve essere intesa come prossimità spaziale, senza necessità di contatto fisico e di diretta visuale, e che di conseguenza è sufficiente la possibilità che da costoro, per il luogo in cui si trovano e per la consapevolezza che di ciò ne ha il soggetto agente, venga percepita l’offesa”. 
Diversamente, il prevalente orientamento assunto dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Pen., sez. VI, 11 novembre 2014, n. 49544; Cass. Pen., sez. I, 27 settembre 2013, n. 42900), valorizzando la ratio legis dell’art. 341 bis c.p., interpreta il requisito del verificarsi dei fatti al cospetto di più persone non come mera presenza fisica, ma anche e soprattutto in termini di percezione dell’offesa.
Invero, la configurabilità del delitto è stata subordinata dal legislatore alla sussistenza di alcuni presupposti, che consentono di selezionare le condotte punibili con riguardo alla loro maggiore offensività. 
Secondo tale linea di pensiero, il legislatore con la nuova disposizione legislativa ha incriminato comportamenti ritenuti pregiudizievoli del bene protetto, a condizione del collegamento temporale e finalistico con l'esercizio della potestà pubblica, nonché della diffusione della percezione dell'offesa (Cass. Pen., sez. V, 12 febbraio 2014, n. 15367). 
A ben vedere, la presenza di più persone, senza che vengano udite le parole offensive, non determinerebbe di per sé il maggior disvalore sociale del fatto che è richiesto dall’art. 341 bis c.p., rispetto all’abrogato art. 341 c.p..
Risulta quindi maggiormente condivisibile ritenere che la norma non richieda la mera presenza di più persone al fatto di reato, ma che queste abbiano realmente avvertito l’offesa pronunciata ai danni dei pubblici ufficiali e dell’ente di appartenenza (e non anche che avrebbero potuto astrattamente udirla e ciò non è avvenuto).
Aderendo a tale impostazione, non risulta penalmente sanzionata ex art. 341 bis c.p. l’offesa non percepita. Al più, l'offesa arrecata, in assenza della presenza e della percezione da parte di almeno altre due persone, andrebbe qualificata in termini di ingiuria aggravata di cui all’art. 61 n. 10 c.p., per essere stato commesso il fatto contro un pubblico ufficiale nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni o del servizio.

Ne deriva che, applicando il sopra enunciato principio al caso in esame, si può correttamente concludere affermando che il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale non può dirsi integrato, stante la mancata percezione da parte dei passanti di quanto proferito dall’imputato, diversamente dalla soluzione adottata con la sentenza de qua, che non appare condivisibile in relazione all’interpretazione del concetto di presenza di più persone.

(Nota di Silvia Rossaro)

>LEGGI LA SENTENZA

 

da Altalex

Giovedì, 02 Luglio 2015
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